«Covid: quarta ondata giunta al termine, ma ora si aprono nuovi scenari»

L’intervista Secondo l’esperto di Igiene e Sanità pubblica, Carlo Signorelli, d’ora in poi i danni maggiori arriveranno dai ritardi nelle diagnosi delle altre malattie.

«La discesa dei contagi e dei ricoveri prosegue senza particolari intoppi. La quarta ondata volge al termine e non vi sono segnali di un’inversione di tendenza, ma la partita non è ancora chiusa. Stiamo uscendo infatti da questa ulteriore fase del Covid, non dalla pandemia. La malattia potrebbe diventare endemica come tante altre». Carlo Signorelli, docente di Igiene e Sanità pubblica all’Università Vita e Salute-San Raffaele di Milano, invita a considerare le tante variabili che possono incidere ancora sull’evoluzione del quadro epidemico, anche se la lotta al Covid ora appare in discesa.

Professor Signorelli, come bisogna allora interpretare i numeri delle ultime settimane?

«Il trend è positivo. In Lombardia si naviga sui 4mila casi giornalieri, i 10 mila positivi al giorno che si registravano un mese fa appaiono lontani. Si avvicina la primavera e la discesa della curva epidemica è coerente con il calo progressivo dell’incidenza e dell’indice ospedaliero. La parte finale della curva della quarta ondata coincide con il rafforzamento dello scudo vaccinale, tra i migliori in Europa. Ciò ci deve lasciare relativamente tranquilli e con la bella stagione il virus fa più fatica ad attecchire».

«Abbiamo un calo del 35% degli screening, il che vuol dire non fare le diagnosi precoci»

Quali sono le variabili o i fattori imponderabili cui prestare attenzione?

«In questi giorni stiamo assistendo a migrazioni massicce dall’Ucraina, Paese teatro di guerra e dove si è vaccinato pochissimo. Per quelle popolazioni c’è un rischio reale immediato di contrarre il Covid, perché vivono in condizioni a rischio di trasmissione. Ora per le popolazioni che ricevono migranti da quelle aree il rischio sarà ancora più alto quanto meno è vaccinata la comunità che li accoglie. In questo senso l’Italia dovrebbe essere al sicuro, seppure con una potenziale criticità per gli operatori che assistono i rifugiati».

A proposito di Ucraina, l’escalation militare di questi giorni sembra aver oscurato il tema Covid. Cosa ne pensa?

«Forse è un bene. Alcune reazioni all’uso dei vaccini, spesso irrazionali, sono state condizionate anche dal fatto che si sia parlato troppo di Covid e vaccini, con tesi non scientifiche. Ora si sta tornando quasi alla normalità, trattando il Covid come le altre malattie. Prima o poi doveva succedere, anche con l’Aids trent’anni fa si registrò un picco iniziale e poi migliaia di infetti all’anno da gestire».

Arriveremo a richiami annuali di vaccino anti Covid?

«Con i prossimi dati dei vaccini potremo capire come gestire le politiche vaccinali in futuro. Al momento non sono in agenda i richiami per la quarta dose, opportuna solo per i pazienti gravi e immunocompromessi. Chi ha fatto tre dosi dovrebbe essere protetto, poi si vedrà. Non dobbiamo insinuare il dubbio, meglio lasciare la gente tranquilla per l’estate».

«I tumori non si fermano con il Covid, li vedremo in fase più avanzata con costi più elevati»

Lo stato d’emergenza terminerà a fine marzo. Una scelta giusta?

«È una decisione politica, non scientifica. La percezione potrebbe essere quella che sia tutto finito, invece bisogna tenere ancora alta l’attenzione, indossando per un po’ le mascherine negli ambienti chiusi, mentre all’aperto sarei più tollerante».

Il Green pass va ricalibrato?

«Anche qui si tratta di una scelta politica. È importante continuare a vaccinare. Inizialmente il Green pass tutelava ad ampio raggio i vaccinati, poi si è avuta la brutta sorpresa che anche i vaccinati si infettano. Questo strumento ha fatto il suo corso ed è stato utile, ma non attesta più la non infezione certa del soggetto. Comunque la scelta di come gestire la parte burocratica spetta all’organo politico, non sempre in linea con gli indirizzi scientifici. E difficilmente si raggiungerà l’immunità di gregge».

Perché ci sono ancora tanti morti per Covid?

«Il decesso mediamente arriva circa un mese dopo il ricovero, stiamo ancora scontando le conseguenze del momento epidemico con la curva alta e la variante Delta dentro che circolava molto a gennaio. È possibile che alcuni di questi decessi derivino dalla variante più aggressiva. Si sta pensando a tal fine di fare qualche test di tipizzazione sui deceduti. La curva dei decessi comunque cala sempre alla fine, in Italia a metà febbraio i morti giornalieri erano 500 e ora sono 200, in Lombardia si è passati da 70 a 30 decessi. Si aprono però nuovi scenari».

Quali?

«I danni maggiori d’ora in poi deriveranno dalle attività di screening non eseguite rispetto ai danni provocati direttamente dal Covid. Cioè le mancate diagnosi di tumore, i ritardi diagnostici, le mancate vaccinazioni anti Covid rischiano di arrecare un danno sanitario nei prossimi anni maggiore del Covid, che pure ha causato quasi 200mila morti. Abbiamo un calo del 35% degli screening, il che vuol dire non fare le diagnosi precoci. Ma i tumori non si fermano con il Covid, li vedremo in fase più avanzata con costi più elevati per le cure. E pagheremo quindi un conto più alto con le liste di attesa da smaltire. Un dato esemplificativo: in Lombardia per una mammografia non urgente ci vuole un anno per ottenere una visita».

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