Genova, il nuovo ponte Morandi
Un’opera che parla anche bergamasco

Dal direttore del grande cantiere ai materiali hi-tech: significativo l’impegno delle aziende orobiche Miriam Gualini: ci ha scelti Renzo Piano, grande orgoglio.

È un piccolo esercito quello dei bergamaschi che hanno lavorato alla costruzione del ponte San Giorgio di Genova che verrà inaugurato martedì alle 18,30. A cominciare dal direttore di cantiere Stefano Mosconi, ingegnere civile, 44 anni, da dieci nel gruppo Webuild, la società che con Fincantieri ha costruito la grande opera firmata da Renzo Piano, 19 campate e 1.067 metri che ricordano la chiglia di una nave.

I bergamaschi ci sono stati fin dalla demolizione del ponte Morandi, il cui crollo il 14 agosto 2018 spazzò via 43 vite. Del taglio delle campate con il filo diamantato si è occupata la Demco di Seriate, chiamata da Omini Spa. «Abbiamo iniziato il lavoro il 28 gennaio 2019 e in otto mesi lo abbiamo portato a termine - racconta Pierluigi Magri, uno dei titolari di Demco -. Abbiamo lavorato in condizioni difficili giorno e notte a una quota alla quale non eravamo abituati: di solito saliamo a 30 metri, il Morandi arrivava a 50. Tempi strettissimi, bisognava assolutamente rispettare la tabella di marcia. Ci si fermava solo quando c’era troppo vento, ma il giorno dopo era tassativo recuperare».

Per il nuovo ponte hanno schierato tutte le loro competenze Italcementi e Calcestruzzi: 70 persone tra tecnici specializzati, operatori di impianto e tecnologi dei materiali, prodotti 100% certificati lungo tutta la filiera, 6.000 analisi di laboratorio, 67.000 metri cubi di calcestruzzo, pari a 160.000 tonnellate, per la realizzazione di fondamenta, pile di sostegno e soletta, con un centinaio di automezzi al giorno impegnati nel trasporto dei materiali. «Fin dall’inizio eravamo consapevoli della sfida che ci aspettava - racconta Giuseppe Marchese, consigliere delegato di Calcestruzzi -. Ci era stato richiesto un calcestruzzo di qualità, rapido nella messa in opera, sostenibile, sicuro e durevole nel tempo. In più c’era l’aspetto estetico: le pile dovevano essere belle e «da abbracciare», perché faranno parte del parco urbano del Polcevera che sorgerà alla base del ponte San Giorgio».

La formulazione è stata messa a punto nei laboratori Italcementi del Kilometro Rosso. Il semilavorato partito dallo stabilimento di Calusco d’Adda è passato per l’impianto di Novi Ligure fino ad arrivare a Genova, dove è stato miscelato con aggregati inerti forniti da Unicalce, leader italiano del settore con stabilimenti bergamaschi a Valbrembilla, Sedrina e Casnigo.

Deborah Floris, 49 anni, ingegnere civile con un dottorato in Tecnologia dei materiali, è stata una delle poche donne in un cantiere di uomini. In Italcementi dal 2007, come responsabile tecnologico si è occupata di un aspetto cruciale: garantire un prodotto sicuro per far sì che non si ripeta mai più la tragedia del 2018. «È stata un’esperienza entusiasmante, per molti versi una sfida - racconta -. Bisognava coniugare le performance meccaniche richieste dal consorzio PerGenova a quelle estetiche volute da Renzo Piano. Allo studio in scala 1:1 nel nostro I.Lab usando anche camere climatizzate sono seguite ulteriori prove sul campo. E alla fine siamo anche riusciti a ottenere una finitura simile al marmo tagliato».

Ci sono invece voluti otto autotreni per portare dalla Val Seriana a Genova i grigliati metallici per le passerelle pedonali del viadotto realizzati da MP Metalli di Vertova per conto della bresciana Nuova Defim Orsogril, 3.200 pezzi da 80 centimetri per un metro, l’equivalente di oltre tre chilometri di grigliato sul quale cammineranno i tecnici e gli operai che d’ora in avanti provvederanno alla manutenzione del ponte. «Per noi ha significato molto - sottolinea Cristian Sala, titolare insieme al fratello Ettore della ditta fondata dal papà Remigio nel 1995 - non tanto dal punto di vista economico, ma per l’orgoglio della nostra valle, martoriata durante le settimane drammatiche dell’emergenza Covid».

Gualini Lamiere di Bolgare ha, invece, realizzato per conto di Fincantieri le predalle in metallo del ponte San Giorgio, cioè le lastre piane per il solaio su cui è stato gettato il manto stradale, 480 tonnellate di materiale prodotto per le tre campate centrali da 100 metri ciascuna e le due laterali da 50 metri, più la rampa d’innesto di un’altra cinquantina di metri. «Abbiamo dedicato a questa commessa ben cinquemila metri quadri del nuovo stabilimento», racconta Miriam Gualini, amministratore delegato dell’azienda, che ricorda la sfida contro il tempo in piena emergenza Covid: «Servivano consegne velocissime, in giornate fissate da un cronoprogramma che non ammetteva deroghe».

Di Gualini Lamiere sono anche i 42 kit dei carter di rivestimento della sommità delle pile del ponte: «Ci ha scelti personalmente Renzo Piano dopo aver visionato proposte di diverse ditte: questo ci riempie di orgoglio».

E sono bergamaschi anche i 1.537 vetri fotovoltaici che alimenteranno le utenze del ponte, dall’illuminazione ai sistemi di controllo, capaci di fornire un totale di oltre 200 kilowatt di potenza e posizionati a sbalzo sui due lati del viadotto con un’inclinazione di 30 gradi. A realizzarli è stato il GruppoStg della famiglia Spada, sede legale in via Paleocapa, impianti a Cantù (Como) e Cossato (Biella).«Con lo studio di Renzo Piano abbiamo individuato una soluzione che si integrasse esteticamente con il disegno del viadotto - racconta Renato Macconi, responsabile della divisione Energy Glass di GruppoStg - e abbiamo scelto vetro stratificato di sicurezza per garantire massime prestazioni e durata nel tempo».

Per tutti dietro il lavoro c’era l’emozione di partecipare a un’opera che resterà negli annali, chiamati a muoversi in coordinamento perfetto. Come i musicisti di una grande orchestra.

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