Governo e sindacati: meno ditte aperte
Rientra il rischio dello stop benzinai

Arriva un’ulteriore stretta sulle aperture di fabbriche e imprese. Dopo un lungo confronto, tra diverse videoconferenze e contatti telefonici andati avanti fino a notte, governo e sindacati raggiungono un’intesa per rivedere l’elenco delle attività produttive essenziali, modificando l’allegato dell’ultimo Dpcm firmato domenica scorsa.

Sul fronte dei benzinai, dopo le parole del premier Giuseppe Conte ed una riunione col Mise, rientra per ora la protesta della categoria, che aveva avvertito del rischio di chiudere gli impianti, per una questione di sicurezza e di sostenibilità economica.

Alla fine, dunque, sul fronte del lavoro, la lista delle attività che possono restare aperte fino al 3 aprile viene rivista. Cgil, Cisl e Uil insistevano da giorni per limitare le attività industriali e commerciali alle sole ritenute davvero essenziali e indispensabili in questa fase, ripetendo che l’obiettivo comune è contenere il rischio di contagio da coronavirus e tutelare innanzitutto la salute e la sicurezza dei lavoratori.È lo stesso Dpcm del 22 marzo a prevedere che l’elenco delle attività possa essere modificato con decreto del ministero dello Sviluppo economico, sentito il ministero dell’Economia e delle finanze einfatti con i ministri Stefano Patuanelli e Roberto Gualtieri che si apre il confronto dei sindacati con i segretari generali Maurizio Landini, Annamaria Furlan e Carmelo Barbagallo e che porta al nuovo elenco. Il numero delle voci resta sostanzialmente lo stesso (80 contro 82) ma escono capitoli più estesi ed entrano voci più circoscritte.

Tra le novità, fuori la fabbricazione di macchine per l’agricoltura e l’industria alimentare ma anche degli articoli in gomma, come pneumatici; dentro quelle per imballaggi e batterie, ma entrano anche le agenzie interinali e i servizi di sostegno alle imprese per le consegne a domicilio. Limiti, invece, ai call center (stop per quelli in uscita e ricreativi).

Cgil, Cisl e Uil parlano di «ottimo risultato». «Abbiamo ridefinito l’elenco delle attività produttive indispensabili. La tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori è oggi l’obiettivo prioritario», rimarca Furlan. «Abbiamo ridotto il numero delle attività essenziali» e, quindi, «il numero di persone che dovrà andare a lavorare e abbiamo chiarito quelli che sono i settori essenziali e le produzioni che invece in questo momento è utile sospendere», sottolinea Landini. Positivo il giudizio anche di Barbagallo, che sottolinea anche come resti «un fatto fondamentale» l’applicazione del Protocollo per la sicurezza nelle fabbriche e non solo firmato lo scorso 14 marzo.

Dopo l’intesa interviene anche Confindustria: ora «bisogna mettere da parte polemiche, strumentalizzazioni ed eccessi nel linguaggio, ingenerosi verso chi sta responsabilmente affrontando assieme a tutto il Paese la peggiore crisi sanitaria ed economica dal dopoguerra e lavorare tutti nella medesima direzione e con senso di responsabilità», dicono gli industriali, avvertendo che «siamo di fronte a due guerre, una al virus e una per difendere i fondamentali economici di Italia ed Europa».

Con il blocco delle attività previsto dall’ultimo decreto del 22 marzo, il numero dei lavoratori italiani «fermi»è già di oltre 7,8 milioni, calcolano i Consulenti del lavoro. Sullo sfondo gli scioperi già messi in campo dai sindacati dei metalmeccanici nel Lazio e in Lombardia, che secondo Fiom, Fim e Uilm hanno avuto un’alta adesione. Da vedere come prosegue la mobilitazione già fissata fino al 29 marzo dalle tute blu a livello nazionale.

Rientrato per ora il rischio di uno stop dei benzinai, che nel pomeriggio hanno avuto una videoconferenza con i ministri delle Infrastrutture e dei trasporti, Paola De Micheli, e dello Sviluppo economico, Stefano Patuanelli. Le associazioni di categoria Faib (Confesercenti), Figisc/Anisa (Confcommercio) e Fegica (Cisl) avvertono però che «urge liquidità».

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