Varianti, vaccini e Green pass: un altro anno con il Covid a Bergamo

Lo sfogliabile Il dovere di ricordare per chi non c’è più, il numero di vittime più alto che nella seconda guerra mondiale, le parole della pandemia, i vaccini. In due inserti «L’Eco di Bergamo» ripercorre l’emergenza dal 2020 a oggi.

«Finchè vive il ricordo, vive anche chi – di quel ricordo – è la scintilla». E per il 18 marzo, Giornata nazionale in memoria delle vittime del Covid, abbiamo il dovere di ricordare. Due volte, come abbiamo scritto un anno fa in occasione della prima commemorazione di quella data in cui a Bergamo, increduli, abbiamo visto sfilare i mezzi dell’esercito con le bare dei nostri cari morti per la pandemia. La prima volta abbiamo il dovere di ricordare per tutti coloro che se ne sono andati in solitudine, senza una carezza dei loro cari, una preghiera a fil di voce, come ha scritto il direttore de «L’Eco di Bergamo», Alberto Ceresoli, nell’editoriale dell’inserto speciale pubblicato il 18 marzo 2021 (si può sfogliare qui sotto). La seconda per noi che siamo rimasti, su cui pesa il dolore di non avere potuto fare nulla di più per i nostri affetti portati via in ambulanza e mai più visti, costretti da una legge giusta e inevitabile quanto terribile e dura da accettare.

«Ripercorrere quei primi tre mesi del 2020 (marzo - maggio) in cui Bergamo, più di ogni altra città italiana, è stata travolta dal Covid, è difficile, lascia un misto di incredulità e di domande ancora senza risposta (perché proprio qui, perché con questa forza devastante), di dolore, ma anche di senso forte di una comunità che ha cercato di reagire»

Più vittime che nella seconda guerra mondiale

Ripercorrere quei primi tre mesi del 2020 (marzo - maggio) in cui Bergamo, più di ogni altra città italiana, è stata travolta dal Covid, è difficile, lascia un misto di incredulità e di domande ancora senza risposta (perché proprio qui, perché con questa forza devastante), di dolore, ma anche di senso forte di una comunità che ha cercato di reagire, grazie ai suoi operatori sanitari, ai volontari che hanno costruito un ospedale da campo in una settimana, alle aziende che hanno prodotto in tempi record presidi medici, ai tanti piccoli commercianti dei paesi che hanno lavorato giorno e notte per portare pane, frutta e cibo nelle case degli ammalati, alle scuole che da un giorno all’altro hanno convertito la didattica in presenza a quella virtuale per stare in qualche modo vicini ai nostri ragazzi, grazie alle tante famiglie che hanno cercato di reggere l’urto dell’ignoto che irrompe nelle nostre vite.

Dal 23 febbraio 2020 Bergamo piange almeno 7.250 vittime di Sar Cov 2, più dei morti della nostra terra registrati durante la seconda guerra mondiale (7.172). Come per un conflitto mondiale anche per l’epidemia di coronavirus purtroppo le cifre ufficiali non corrispondono mai totalmente alla realtà ma bastano forse a darci l’idea di che impatto abbia avuto sulle nostre vite questa tragedia.

Lo potete leggere nelle pagine dell’inserto speciale che anche quest’anno avete trovato con «L’Eco di Bergamo» del 17 marzo e che potete sfogliare qui sotto. Un giorno zero, ovvero un giorno senza contagi per almeno 24 ore, da quel 23 febbraio non lo abbiamo mai più registrato a Bergamo. Lo abbiamo solo sfiorato con un singolo caso il 22 giugno 2021, e poi il 29 giugno , il 5 luglio e il 19 luglio.

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Almeno un bergamasco su cinque infettato da Covid

Si calcola che da 23 febbraio 2020 a oggi ci siano stati almeno 200 mila contagi ufficiali in Bergamasca: un bergamasco su cinque è risultato positivo a Covid. Un dato sicuramente sottostimato se si tiene conto che nella prima ondata (da fine febbraio al 4 maggio, data simbolica della fine del primo lockdown) risultavano ufficialmente solo 11.538 casi in provincia mentre il tasso di positività era all’80% (il tasso che indica il numero di persone positive rispetto ai tamponi effettuati). Uno studio di Ats Bergamo e Università degli studi di Bergamo dice che solo nella prima ondata potrebbero essere verosimilmente 318 mila gli infettati da Sar-CoV-2.

Lockdown, Dpcm, Green pass: le parole della pandemia

Dal febbraio 2020 abbiamo iniziato a familiarizzare con parole fino a fine 2019 sconosciute: lockdown, zone rosse, colori, Dpcm, Green pass, delivery, dad e smart working. Il 31 marzo sarà annunciata la fine dello stato d’emergenza, una condizione in cui siamo piombati più di due anni fa senza soluzione di continuità: da allora sono stati prodotti 911 atti dalle istituzioni centrali per gestire la pandemia (secondo uno studio della Fondazione Openpolis). Il primo lockdown è stato quello più duro, forse perché ci ha colti di sorpresa, perché le strade erano vuote e nelle case si combatteva una battaglia solitaria con un virus ignoto, perché mancavano le bombole di ossigeno e i disinfettanti, i saturimetri e in fondo anche un modo qualsiasi per curarsi. Mancava l’ossigeno.

«Per la prima volta i nostri figli non sono andati all’asilo, a scuola, non hanno visto i compagni, non hanno fatto feste di compleanno e non hanno giocato nei giardini pubblici, per un po’ non sono proprio usciti di casa. Per molto tempo non abbiamo potuto vedere i nostri anziani nelle case di riposo. Solo a pensarci viene da trattenere il respiro. Cinema, teatri, stadi, musei, luoghi di cultura e di sport spenti. Chiusi. Molti di noi hanno perso il lavoro»

Per la prima volta i nostri figli non sono andati all’asilo, a scuola, non hanno visto i compagni, non hanno fatto feste di compleanno e non hanno giocato nei giardini pubblici, per un po’ non sono proprio usciti di casa. Per molto tempo non abbiamo potuto vedere i nostri anziani nelle case di riposo. Solo a pensarci viene da trattenere il respiro. Cinema, teatri, stadi, musei, luoghi di cultura e di sport spenti. Chiusi. Molti di noi hanno perso il lavoro: pensiamo solo a tutto il mondo del turismo e della ristorazione messo in ginocchio dallo stop dei voli e dei viaggi di piacere, delle connessioni internazionali e degli eventi della nostra cittadella globale. Altri hanno imparato che cos’è lo smart working, il lavoro è entrato tra le mura domestiche rivelando criticità e opportunità inesplorate.

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Per le giovani generazioni si è sperimentata la scuola a distanza, forse un ossimoro, perché la scuola va vissuta in presenza con i compagni e gli amici, ma pur sempre una possibilità. La scuola finalmente, gioco forza, si è scoperta digitale. E poi il Green pass, entrato in vigore il 6 agosto 2021, quel lasciapassare per chi si è vaccinato, è guarito o ha effettuato un tampone che permette una ripresa seppur timida della vita sociale.

L’anno delle varianti: dall’«inglese» alla Omicron

L’estate ci ha dato un po’ di scampo ma a Ferragosto il virus correva carsico tra noi e con l’autunno abbiamo fatto i conti per la prima volta con la parola «variante»: il virus assume un nuovo volto. Compare la variante «inglese» (o Alfa) nel febbraio 2021, che innesca la terza ondata più contagiosa del ceppo di Wuhan. La nostra provincia regge meglio rispetto alle altre realtà lombarde forse per l’eredità immunitaria. Dopo la variante Alfa arriverà la Delta dall’India e poi la Omicron che genera a cavallo di Natale (2021) uno tsunami di infezioni anche se meno «cattive».

L’onda buona dei vaccini che fa scendere la mortalità

Il V-day è il 27 dicembre 2020: il personale medico sanitario si sottopone alla prima dose di vaccino Pfizer. Come ricorda nell’intervista a «L’Eco di Bergamo» Franco Locatelli, presidente del Consiglio superiore della sanità e coordinatore del Comitato tecnico scientifico per l’emergenza Covid «Il mondo ha avuto una capacità quasi inimmaginabile di mettere a punto e rendere disponibili vaccini sicuri ed efficaci in meno di un anno senza saltare alcuno step». Oggi il 90% della popolazione italiana - una risposta incredibile - è coperta con ciclo primario completo. Grazie alla somministrazione dei vaccini oggi possiamo dire che l’indice di mortalità da Covid è sceso allo 0.2%.

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