Zingonia, sogno infranto
La sua storia alla Biennale di Venezia

Tra innovazione e contraddizione. Dal progetto della «città ideale» degli anni ’60 al degrado di oggi. In mostra alla Biennale di Venezia la tanto criticata Zingonia, con documenti e fotografie per una ricerca di un pool di architetti.

Un’utopia modernissima, che pensava a una città vivibile, a ridurre il pendolarismo e a garantire alle persone servizi e spazi verdi. Nasce da lì Zingonia, dal progetto avveniristico e solitario di un imprenditore, Renzo Zingone, e di un architetto, Franco Negri. E se oggi, cinquant’anni dopo quel sogno, a finire sulle cronache sono soprattutto il degrado (riassunto in modo quasi simbolico nelle famose «Torri») e le difficoltà sul piano sociale, quel quartiere rimane una realtà dai diversi volti, che ospita anche eccellenze industriali e coltiva una forte identità.

Ce n’è quanto basta, in questa storia, per suscitare interesse, attenzione, e pure un «innamoramento» di tutto rispetto: quello di Argot ou la Maison Mobile (con gli architetti Luca Astorri, Matteo Poli, Riccardo Balzarotti e Rossella Locatelli) e Marco Biraghi. Insieme hanno portato Zingonia nientemeno che alla Biennale di Venezia, nell’ambito della 14ª Mostra internazionale di architettura. L’esposizione «MondItalia», all’Arsenale, presenta 41 progetti di ricerca che raccontano il nostro Paese.

Quel che il visitatore trova, nel ricco allestimento del padiglione, è da una parte la documentazione sul progetto per come era stato pensato negli anni ‘60, dall’altra un reportage fotografico di Filippo Poli sulla Zingonia di oggi. Oltre a materiale (dagli opuscoli ai giornali di quartiere) per raccontare la quotidianità di una realtà che, rileva Matteo Poli, «mantiene un forte senso di identità, e forse questo è l’aspetto più riuscito di quel progetto di Zingone». Accanto a questo, un ampio grafico intreccia lungo la linea della storia lo sviluppo del quartiere con le vicende italiane (e mondiali), i governi, l’andamento del debito pubblico e della disoccupazione. Il tutto illuminato da un «sole» che è in realtà frutto di un’innovativa tecnologia: l’ambiente è chiuso, ma la luce simula perfettamente quella naturale.

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