«Chiara e Serafina» torna in scena dopo 200 anni tra balletti, gag e mille colori

Il Festival Do Al Teatro Sociale il 19 novembre l’opera di Donizetti che fece fiasco alla Scala nel 1822. In scena un rutilante varietà con un cast rodato ed efficace. Il 20 novembre tocca a «L’aio nell’imbarazzo».

«Chiara e Serafina», come vari titoli della prima produzione donizettiana, è un bel mistero. Come mai, al debutto alla Scala, teatro di primo piano, il giovane Donizetti - compositore di belle speranze - fece fiasco, anzi «fiascone» come lui stesso scrisse? Il 19 novembre al Teatro Sociale, al completo, il titolo è tornato sulla scena dopo 200 anni, per il noto progetto #donizetti200. Il mistero - come già Pigmalione, o Enrico di Bordogna per stare a due titoli recuperati dal Festival diretto da Francesco Micheli - da un lato si è infittito e dall’altro, forse, ha trovato una risposta. Potremmo dire che il primo Donizetti è come il primo Mozart (nell’opera) e le sue fatiche giovanili (almeno quelle fin qui riproposte) sono vestite di una musica splendida, magnifica dalla prima all’ultima battuta.

Il filo conduttore

Il difetto è dunque nel libretto, per altro firmato da un «poeta» di punta come Felice Romani? Sì e no. Nel senso che in quest’opera, e nel libretto il vero problema è che c’è troppo: troppi caratteri, tantissimi personaggi, troppi assiemi, continui colpi di scena, cambi di situazioni. E seguire l’evolversi serratissimo della vicenda, non proprio lineare di suo, diventa difficile, è quasi un’impresa. Facile quindi che alla fine il risultato complessivo sia quello di un certo disorientamento. Il regista Gianluca Falaschi ha scelto la via maestra per tessere un filo conduttore il più lineare possibile: quello di raccordare in un solo tragitto la ridda di accadimenti e personaggi in un rutilante varietà, ricchissimo di colori, movimenti, balletti e, ovviamente (l’opera in specie nella figura dell’improbabile Don Meschino, è semiseria) anche gag. Lo spettacolo fila che è un piacere, anche se - come può capitare, in specie in una ripresa mondiale, con questa del Donizetti Opera Festival - si affronta il titolo per la prima volta. Notevole, anzi pirotecnica, è ancora una volta la maestria degli assiemi, in cui il Donizetti venticinquenne dimostra di non aver nulla da invidiare a un gigante come Rossini.

La produzione - Accademia della Scala e Fondazione Teatro Donizetti - si è dimostrata molto solida anche per la parte musicale, con un cast vocale rodato ed efficace, compresa la sostituzione all’ultimo di Don Meschino, gestito con disinvoltura e aplomb adeguato nel ruolo dal basso Giuseppe De Luca (in vece di Pietro Spagnoli docente dei corsi). Timbro incisivo, abile nel fraseggio, il basso Matías Moncada, come Don Alvaro. Brillanti e incisivi il soprano Fan Zhou come Serafina, il soprano Greta Doveri, vocalità dolce ed espressiva nei panni di Chiara, il tenore Huyn-Seo Davide Park (Don Ramiro), il basso scoppiettante e carismatico Sung-Hwan Damien Park, nei panni di Picaro. La bacchetta di Sesto Quatrini, generosa nel gesto e nelle sollecitazioni, si è mossa con disinvoltura guidando l’Orchestra «Gli originali» e il Coro dell’Accademia Teatro alla Scala diretto da Salvo Sgrò.

Con L’aio nell’imbarazzo (il 20 novembre alle 15.30, pre opera sul Sentierone un’ora prima, repliche 26 e 2 dicembre) il Do Festival chiude il trittico operistico 2022. Si chiude ridendo - l’Aio è il primo grande successo comico di Gaetano (Roma, 1824) - e si chiude proiettandosi nel futuro, nel 2040. La nuova produzione pensata per la Bottega Donizetti con le star come Alessandro Corbelli e il basso - baritono bergamasco Alex Esposito è pensato dal regista e direttore artistico Francesco Micheli in un futuro virtuale. Ma anche reale, perché le dinamiche della vicenda (su delizioso e irripetibile libretto di Jacopo Ferretti) sono fuori da contingenze temporali, sempre attuali. Sul podio dell’Orchestra del Donizetti Opera il giovane direttore Vincenzo Milletarì per un allestimento proiettato nel futuro. Protagonisti sono gli allievi della Bottega Donizetti, in scena insieme ad Alex Esposito – nella parte dell’aio, l’insegnante, e a un altro maestro dei palcoscenici internazionali, il baritono Alessandro Corbelli, nei panni del padre don Giulio. Scene di Mauro Tinti, costumi di Giada Masi, luci di Peter van Praet, drammaturgia di Alberto Mattioli. Video concept di Studio Temp con le animazioni di Emanuele Kabu. Il Coro del Festival è diretto da Claudio Fenoglio. I giovani allievi della Bottega Donizetti sono: il tenore Lorenzo Martelli (Il marchese Enrico), il soprano Marilena Ruta (Madama Gilda Tallemanni), il tenore Francesco Lucii (Il marchese Pippetto), il mezzosoprano Caterina Dellaere (Leonarda), il basso Lorenzo Liberali (Simone) e il piccolo Vittorio Giuseppe Degiacomi (Bernardino).

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