Assunti per formarli, non per il Cv.
Modello «Skill-based» con i giovani

CAPITALE UMANO. Martina Mauri (Politecnico): «Non è una moda, ma la via per riconoscere e trattenere davvero i ragazzi in azienda che cercano opportunità di esprimersi. Gli Hr devono mappare le competenze, non i titoli»

In molti colloqui, la prima domanda è ancora: «Quanta esperienza hai?». Ma se sei un giovane, la risposta è sempre troppo breve. E se sei un’azienda, oggi è una domanda sbagliata. Lo dimostra un dato: il 54% dei lavoratori italiani ritiene di avere competenze non riconosciute. E nel caso della Gen Z, il problema non è solo la mancata valorizzazione, ma anche l’incapacità di intercettare il potenziale.

Per invertire questa rotta, c’è un modello che sta emergendo anche in Italia: si chiama Skill-Based Organization, e mette le persone davanti ai ruoli. A spiegarne l’efficacia è Martina Mauri, direttrice dell’Osservatorio HR Innovation Practice del Politecnico di Milano, che da anni analizza l’evoluzione del lavoro e dei suoi paradigmi, nonché autorevole e preziosa voce scientifica per i contenuti sviluppati dal Delta Index. «Le aziende – spiega – sono ancora strutturate per ruoli, ma i ruoli stanno diventando fluidi. Partire dalle competenze, invece, consente di valorizzare le persone in modo più equo, soprattutto i giovani che oggi si trovano spesso esclusi. Una giovane laureata in filosofia che sa usare strumenti di Ia può diventare una risorsa preziosa in una funzione data-driven, se l’azienda è in grado di vederlo. Ma se guardiamo solo al titolo di studio o al job title precedente, perderemo persone con grande potenziale nascosto».

Ruoli rigidi, persone invisibili

«Il sistema attuale – prosegue Mauri – funziona così: ti cerco se hai già fatto qualcosa. Ma se non l’hai ancora fatto, anche se potresti farlo benissimo, non ti vedo». È la logica del curriculum, che penalizza chi ha meno esperienze, ma anche chi ha sviluppato competenze fuori dai canoni classici.

Nelle Skill-Based Organization, invece, si parte da una domanda diversa: quali competenze servono davvero per svolgere un’attività? E chi le possiede – anche in modo trasversale – può essere coinvolto, formato, promosso. È un cambio di paradigma. «Significa uscire dalla logica “ti assumo per fare X” e passare a “ti assumo perché sai fare A, B, C e posso farti crescere in più direzioni”. Questo approccio funziona anche nelle Pmi: non servono strutture complesse, serve solo la volontà di ragionare per skill».

Quello che le aziende non vedono

Il Delta Index, l’Osservatorio sull’attrattività delle imprese verso la Gen Z, ha misurato anche sul territorio lombardo quanto questo modello sia lontano dalla realtà. Meno di un’impresa su tre ha attivato processi strategici per il reskilling o l’upskilling. E anche in fase di selezione, la valutazione è ancora centrata sul percorso e non sul potenziale. «È un peccato – osserva Mauri – perché la Generazione Z è ricca di risorse: competenze digitali, capacità di adattamento, pensiero critico. Ma se li valutiamo solo per quello che hanno fatto, non ci accorgiamo di quello che possono diventare».

I numeri che premiano

I benefici della Skill-Based Organization non sono solo teorici. I dati raccolti dal Politecnico, sintetizzati in un confronto con le aziende «tradizionali», parlano chiaro: il coinvolgimento e la motivazione raddoppiano (dal 17% al 42%); il benessere percepito cresce dal 10% al 18%; l’intenzione di dimettersi cala drasticamente, dal 41% al 36%. «Sono risultati che non si ottengono con un benefit o con un corso di formazione ogni tanto – chiarisce Mauri – ma con un cambio strutturale di approccio. Quando le persone si sentono viste, riconosciute, ascoltate per ciò che sanno fare, lavorano meglio e restano più volentieri».

«Dobbiamo imparare a guardare dentro, non solo fuori. Quante persone in azienda hanno capacità che non usiamo? Quanti giovani hanno potenziale per ruoli che non immaginano nemmeno? Se non costruiamo strumenti per mappare le competenze in modo dinamico, questo tesoro resta nei cassetti».

La scuola non basta

Il tema del mismatch tra formazione e lavoro è spesso affrontato accusando il sistema scolastico. Ma l’analisi dell’Osservatorio Delta Index mostra che le responsabilità sono diffuse. In Lombardia il 40% delle imprese non ha relazioni attive con scuole, Its o università, e solo il 22% arriva a co-progettare percorsi di apprendistato. Difficile trovare giovani pronti se il dialogo con la formazione è interrotto. Mauri è netta su questo aspetto: «Il mondo delle imprese deve imparare a parlare con quello della scuola. Non possiamo pretendere candidati perfetti se non li aiutiamo a diventarlo. Il ruolo degli Its, ad esempio, può essere cruciale se costruito con le imprese e orientato alle reali competenze richieste».

Un tesoro nascosto non mappato

La metà dei lavoratori italiani sente che le proprie competenze non sono utilizzate. E la Gen Z, spesso, viene confinata in ruoli standard, senza reale valorizzazione. «Dobbiamo imparare a guardare dentro, non solo fuori – sottolinea Mauri –. Quante persone in azienda hanno capacità che non usiamo? Quanti giovani hanno potenziale per ruoli che non immaginano nemmeno? Se non costruiamo strumenti per mappare le competenze in modo dinamico, questo tesoro resta nei cassetti».

Formazione, cultura quotidiana

Secondo il Delta Index, nella classifica delle priorità Hr, la formazione è indicata come urgente solo dal 17% delle imprese prima del questionario. Ma dopo l’assessment, la percentuale sale al 28%. Segno che serve consapevolezza. «La Gen Z cerca identità, senso, crescita – afferma Mauri –. E la formazione è il modo per offrirglieli. Ma non bastano corsi spot o piattaforme. Serve un tutor che ascolta, un onboarding ben pensato, un manager che fa coaching. Serve una cultura del feedback continuo e dello sviluppo personalizzato. Solo così la formazione diventa retention, non solo adempimento. I giovani non vogliono pacchetti preconfezionati. Vogliono sapere che c’è un progetto per loro. Che qualcuno li seguirà. Che avranno voce. E questo vale più di tanti benefit materiali. Dove trovano questo, restano».

Nuovo patto tra giovani e imprese

La logica della Skill-Based Organization è al centro anche del modello di valutazione sviluppato dal Delta Index. Attraverso un questionario certificato, le aziende vengono valutate non solo sulla capacità di attrarre, ma anche di formare, selezionare e trattenere i giovani. Chi supera la soglia ottiene un bollino «Gen Z friendly», visibile sui propri canali. Ma, prima ancora, ottiene una bussola per capire dove migliorare.

«La sfida – conclude Mauri – è costruire un nuovo patto con i giovani. Non basato su promesse, ma su riconoscimento, fiducia, ascolto. E questo patto può iniziare solo se impariamo a guardarli per ciò che sono: pieni di potenziale, anche quando il curriculum è ancora vuoto».

SCHEDA

Che cosa è la Skill-based Organization

Una Skill-Based Organization è un’organizzazione che fonda i propri processi HR non su ruoli fissi o posizioni gerarchiche, ma sulle competenze reali e attualizzabili delle persone. È un approccio sempre più urgente, in un mercato del lavoro in cui le tecnologie evolvono rapidamente e il ciclo di obsolescenza delle competenze si è ridotto a 2–3 anni. L’Osservatorio HR Innovation Practice del Politecnico di Milano ha definito tre pilastri fondamentali di questo modello: a) de-costruzione del lavoro: le attività vengono assegnate in base alle competenze necessarie, non ai ruoli. Le persone non sono incasellate, ma coinvolte in progetti coerenti con ciò che sanno fare (o possono imparare a fare); b) analisi strategica delle competenze: mappare, aggiornare e prevedere le competenze future diventa un processo continuo, non un esercizio annuale: c) strutture orizzontali e team auto-organizzati, dove responsabilità e autonomia sono distribuite. A supporto di questo modello, le tecnologie digitali (soprattutto l’Ia) giocano un ruolo chiave: permettono di personalizzare la crescita, prevedere i fabbisogni futuri e connettere le persone alle opportunità.

Per approfondire il tema del rapporto tra AZIENDE e GENERAZIONE Z collegarsi al sito dell’Osservatorio Delta Index

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