Delta Index
Venerdì 10 Ottobre 2025
«Carriera? Arriva dopo: prima ci sono competenza, motivazione e valori»
CAPITALE UMANO. Dal vertice di IBM alla Dallara «per andare avanti, non indietro»: Pontremoli invita i giovani a non inseguire titoli e stipendi, ma l’allineamento tra passioni e radici
Pagava per entrare in autodromo, oggi lo pagano per andarci. In mezzo, una decisione che molti definirono «da pazzi»: lasciare la presidenza e la guida di IBM in Italia – 25 mila persone – per approdare in Dallara, un’azienda che allora contava 107 dipendenti. «Non sono tornato indietro, sono andato avanti» racconta Andrea Pontremoli, ceo di Dallara e presidente di Motor Valley, nell’ultima puntata della video-intervista all’Osservatorio Delta Index. In questa traiettoria, che sembra una curva di Lesmo con la corda presa al millimetro, c’è un messaggio semplice e controcorrente per chi inizia: «Il segreto è non pensare alla carriera. Fai le cose che ti piacciono: sarai bravo, non ti peseranno, porterai risultati. La carriera – come i soldi – è la conseguenza del fare bene le cose giuste».
La scelta ha tre radici, dice Pontremoli. La prima ha il suono metallico dei box: la passione per la velocità coltivata fin da ragazzo. «Spendevo per andare alle gare; oggi mi pagano per andarci: è un cambio di prospettiva». La seconda è il richiamo di casa: «Tornare nella mia valle, dove sono cresciuto facendo il mugnaio con mio padre. Non conta quanto alta diventa una pianta: le foglie, alla fine, cadono sulle radici». La terza è un imperativo etico: restituire. «Un mio capo diceva: nella vita ci sono tre fasi, learn, earn, give back. Impari, guadagni e poi restituisci un po’ della fortuna che hai avuto». Tre coordinate che non parlano di titoli, benefit e gerarchie, ma di senso, appartenenza e responsabilità.
«Non sono stati i soldi a portarmi qui»
C’è poi l’incontro con Giampaolo Dallara, che non è un contratto ma una convergenza. «Stessi valori, stesso scopo, stesso modo di pensare: non sono stati i soldi a portarmi qui, ma la comunanza valoriale». Da qui l’equazione che Pontremoli ripete come un promemoria, utile ai giovani e alle imprese che vogliono attrarli: «Competenza. Motivazione. Sistema valoriale». Se i tre elementi sono allineati, l’energia si libera; se sfarfallano, arrivano il disallineamento, il turnover, la fuga.
In un’epoca di “tutto e subito”, la sua è un’apologia della costruzione paziente. Non significa restare fermi: significa scegliere bene la direzione prima di accelerare. «Pensare alla carriera è come pensare ai soldi: se diventa l’obiettivo, hai già sbagliato mira. Concentrati su ciò che ti appassiona davvero e lavora perché quelle passioni diventino competenza. Il resto seguirà». È un invito a cambiare la domanda iniziale dei colloqui – «Che ruolo avrò?» – con una più essenziale: «Che problema posso imparare a risolvere qui, con queste persone?».
Le aziende chiamate in causa
Pontremoli parla ai ragazzi, ma chiama in causa anche le aziende. Perché l’allineamento non è solo responsabilità del candidato: è un dovere organizzativo. «Se prometti flessibilità e poi misuri solo la presenza, se dichiari autonomia e poi controlli ogni dettaglio, l’incoerenza si vede. E i giovani la vedono per primi». Le imprese che trattengono talento, suggerisce, sono quelle che danno un orizzonte (scopo), una strada (percorsi di crescita reali) e una squadra (leader che insegnano davvero). Non serve la retorica dei “valori al muro”; serve che quei valori si vedano nelle scelte di tutti i giorni.
Il riferimento alla «valle» non è nostalgia, è un criterio. Radici e ritorno come bussola per orientarsi nelle transizioni: la tecnologia cambia, i mercati oscillano, ma il nodo resta sempre lo stesso – sapere perché si fa quello che si fa. In questo senso il “give back” non è un ultimo capitolo della carriera, un gesto filantropico a fine corsa; è una postura che si impara presto: condividere conoscenza, aprire porte, costruire opportunità per chi arriva dopo. È così che una passione personale diventa valore collettivo.
«Meno razionale» non è avventato
Non mancano i passaggi quasi pedagogici. «Le decisioni apparentemente meno razionali sono spesso quelle che ci fanno andare davvero avanti», dice pensando al salto da IBM a Dallara. “Meno razionali” non vuol dire avventate: vuol dire che non si lasciano schiacciare dall’aritmetica dei vantaggi immediati. È il calcolo – diverso – di chi valuta anche l’energia che una scelta sprigiona, le competenze che costringe a sviluppare, la coerenza che restituisce tra quello che sei e quello che fai.
E la carriera? Arriva dopo, quando serve. Accade quando ti ritrovi – senza averlo pianificato – a essere punto di riferimento proprio perché sei rimasto fedele al perimetro delle cose ben fatte. Accade quando la passione ha fatto chilometri sufficienti da diventare mestiere, e il mestiere ha costruito fiducia. «Se fai bene, ti cercano. Se ti diverti lavorando, sarai costante. Se sei coerente, sarai credibile». È una catena causale più umana che algoritmica, ma continua a valere anche nell’era dell’IA.
Rallentare non è perdere terreno
L’ultima lezione è anche un monito: rallentare non è perdere terreno, è guadagnare traiettoria. Vale per chi comincia, bombardato da paragoni e classifiche; vale per chi guida aziende, tentato di misurare tutto e capire poco. «Scegliete il posto dove potete crescere – professionalmente e umanamente – e dove potete restituire qualcosa al territorio», dice Pontremoli. Perché, alla fine, la linea del traguardo non è il titolo stampato sul biglietto da visita, ma la coincidenza tra passioni, radici e responsabilità. È lì che la curva, anche la più difficile, smette di fare paura e diventa la parte più bella del circuito.
Per approfondire il tema del rapporto tra AZIENDE e GENERAZIONE Z collegarsi al sito dell’Osservatorio Delta Index
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