Panattoni: «Non ci sono libertà senza responsabilità. Il vaccino, un dovere»

Il titolare del ristorante e dei bar «La Marianna» in ospedale ha vissuto il Covid in prima linea: «Un vero incubo».

«Dopo quello che ho visto, ho sentito, dopo le lacrime dei medici, il dolore dei pazienti e dei familiari, il vaccino è un dovere, per proteggerci e proteggere gli altri. Per fare scudo contro il virus e per fare in modo che quello che è successo nella prima ondata del Covid non si ripeta più». Mirko Panattoni, titolare del ristorante e dei bar de «La Marianna» in ospedale, è molto consapevole di quello che è avvenuto tra le corsie e non parla volentieri dei mesi di marzo e aprile 2020 quando lui e i suoi fratelli e nipoti hanno svolto un servizio di volontariato tra le mura del «Papa Giovanni XXIII» di Bergamo.

Il ristorante e i bar dell’ospedale erano chiusi ma voi avete provveduto ugualmente ai pasti dei medici .

«Ci sembrava giusto dare una mano anche se non ne abbiamo mai parlato. Da sei anni lavoriamo internamente all’ospedale: ci siamo sentiti coinvolti da quello che stava succedendo, parte di quella grande tragedia e di quel sistema che si è attivato per soccorrere e curare. I medici in azione, gli infermieri e tutto il personale è quello a cui ogni giorno servivamo il caffè, la colazione, il pranzo».

Ma il vostro staff però era a casa: i locali erano chiusi, il laboratorio fermo.

«I miei fratelli ed io ci siamo messi al lavoro. Preparavamo i box lunch e ogni giorno ero autorizzato a consegnare i pasti in ospedale».

Cosa si ricorda di quei giorni?

«Non me li dimenticherò mai, è stato come vivere in un incubo. È stato un periodo davvero difficile, emotivamente durissimo da affrontare. Ricordo ancora con sgomento la disperazione sui volti dei medici, quando li incontravo e piangevano. Ricordo la disperazione delle infermiere, le ambulanze che continuavano ad arrivare, le barelle cariche di malati».

Non aveva paura di ammalarsi?

«Si, avevo timore per mia moglie e i miei figli chiusi in casa. Arrivavo attraversando una Bergamo vuota, deserta e silenziosa; mi fermavo sulla porta di ingresso della mia abitazione e mi spogliavo sull’uscio. Avevo paura di ammalarmi e di contagiare qualcuno a me vicino, ma non ho mai pensato di non fare quello che ho fatto, così come appena il vaccino è stato annunciato non ho fatto altro che prenotarmi, subito a febbraio. Non vedevo l’ora».

Dove si è vaccinato?

«La prima e la seconda dose direttamente in ospedale: come personale in attività nella struttura, abbiamo potuto vaccinarci all’interno. La terza dose l’ho fatta proprio in questi giorni nell’hub di Dalmine».

Il suo staff?

«Tra bar, laboratorio, ristoranti e comunque tutto il mondo de La Marianna parliamo di oltre 100 dipendenti. Siamo tutti vaccinati ad accezione di un dipendente che effettua regolarmente il tampone. La scelta è ovviamente libera, ma il green pass è una condizione sine qua non come da legge: per noi, così come per la nostra clientela».

Mai avuto problemi?

«Con i dipendenti assolutamente no, anche perché nessuno di noi può dimenticare chi nel nostro gruppo di lavoro si è ammalato. Penso ai dipendenti dei bar: ancora la pandemia non era stata dichiarata e avevamo i primi contagiati. In tutto si sono ammalati 15 dipendenti: ragazzi anche giovani, alcuni di loro ricoverati in gravi condizioni. Per me e la mia famiglia è stato un dolore immenso, una grande preoccupazione. Abbiamo avuto la fortuna che si sono ripresi tutti. Anche per questo tra di noi è stata una corsa a vaccinarsi: la malattia, con il suo dolore, l’abbiamo vista in faccia, in tutta la sua crudeltà».

E tra i clienti?

«Soprattutto all’inizio dell’avvento del green pass c’è chi contestava o polemizzava. C’è anche stato qualche caso di disdetta perché alcuni clienti non accettavano di mostrare il green pass al ristorante. Anche ai bar dell’ospedale c’è stata qualche tensione sulla richiesta di mostrare il certificato anti-Covid se si consuma seduti, ma il personale su questo aspetto è molto severo soprattutto in una struttura sanitaria. Credo sia una questione di competenza e rispetto di chi si è ammalato».

A lei personalmente capita di dover difendere la sua scelta di vaccinato?

«Io non ho mai avuto dubbi sul vaccino, difendo la mia scelta e la faccio rispettare motivando sempre le mie ragioni e soprattutto partendo dal presupposto che io, così come chi mi contesta, non siamo medici. Ognuno faccia il suo mestiere: lasciamo lavorare i ricercatori, i virologi. Per quanto mi riguarda io ho seguito la mia coscienza».

C’è chi contesta il vaccino perché lo considera una limitazione delle libertà individuali.

«Credo molto in quello che ha dichiarato qualche giorno fa il presidente della Cei, il cardinale Gualtiero Bassetti, che lo scorso anno tra l’altro si è ammalato gravemente di Covid. Noi siamo responsabili verso gli altri, verso chi ci sta vicino e soprattutto i più fragili e i più deboli, ma soprattutto credo che non ci sia libertà senza responsabilità. La vera libertà è rispettare le decisioni di una comunità e soprattutto agire senza abusare della libertà individuale quando intacca la libertà comunitaria. Inoltre dobbiamo vaccinarci perché il diritto alla salute sia rispettato e si torni a curare in maniera completa e senza ritardi quelle patologie gravi che sono state messe in secondo piano dal Covid».

Si riferisce alla riduzione delle operazioni, delle terapie no-Covid, delle degenze per patologie estranee al coronavirus?

«Questa situazione è stata una grande sofferenza. L’emergenza ha rallentato terapie, ricoveri, interventi molto importanti: c’è chi si è aggravato, chi è morto perché non curato in tempo. A cascata, il Covid ha causato anche questi decessi: una sofferenza nella sofferenza».

Lei come si sente?

«Sicuramente aver “vissuto” l’ospedale durante la pandemia è stato un duro colpo, emotivamente molto pesante, ma mi ha reso molto consapevole. Inoltre, per come sono fatto io e per la mia modalità di relazione con il prossimo, sicuramente le norme anti-Covid hanno limitato il mio essere espansivo. Io sono sempre stato una persona affettuosa, estroversa: ero uno che stringeva mani, abbracciava. Mi sento sicuramente molto limitato nelle relazioni e questo mi fa ancora soffrire».

Cosa pensa di chi contesta il vaccino?

«Cerco sempre di argomentare la mia posizione, di spiegare l’importanza del vaccino. Nel mio piccolo faccio opera di convincimento. Sono invece infastidito da chi bypassa le regole e cerca di ingannare il prossimo».

A chi si riferisce?

«A chi presenta green pass falsificati, chi usa quello dell’amico o del parente. Non condivido questi atteggiamenti, li ritengo subdoli, ancora più rischiosi del non vaccinarsi. Puoi non condividere una regola, ma devi sempre rispettarla. Al contrario si tratta di un atteggiamento meschino oltre che fraudolento».

Ha bloccato situazioni del genere?

«È capitato e non me ne capacito. Ci sono persone che mi lasciano esterrefatto».

A cosa si riferisce?

«A chi parla di montatura, ancora di semplice influenza. Chi ha avuto il coraggio di parlare di camion finti e polemizza sulla politica, attaccandosi a ogni decisione presa».

Cosa ne pensa?

«In merito alle illazioni sui camion finti, da bergamasco mi vergogno che qualcuno lo possa solo pensare. Ritengo questi comportamenti, queste prese di posizione, un’occasione persa per essere una comunità civile. Il Covid è stato ed è anche ora una grandissima prova per tutti, ma per ripartire, ricostruire, serve credere nelle istituzioni e agire con coscienza. Sempre».

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