Cividini torna a fare l’artigiano
A Milano sfila una donna raffinata

Cividini non manca il suo appuntamento con la settimana della moda milanese e, mentre sabato 22 febbraio ha sfilato nella Sala Pirelli di Palazzo Clerici, l’azienda di moda bergamasca, con sede a Dalmine, ritorna alle origini.

Cividini non manca il suo appuntamento con la settimana della moda milanese e, mentre sabato 22 febbraio ha sfilato nella Sala Pirelli di Palazzo Clerici, l’azienda di moda bergamasca, con sede a Dalmine, ritorna alle origini.

È di poche settimane fa l’avvio di un progetto dal sapore manuale: a Ponte di Nanto, una piccola località veneta ai piedi dei Monti Berici, Piero e Miriam Cividini hanno aperto un laboratorio di maglieria: «Tessitura a maglia – commenta lo stilista -. Abbiamo recuperato dei macchinari degli anni Cinquanta in Val Seriana e in Valle Imagna, da anziane signore provette magliaie che ormai a causa del passare degli anni e della perdita di interesse per questo tipo di prodotti, non ne facevano più uso».

In tutto otto vecchie macchine in ghisa che sono state rimesse in azione: il laboratorio servirà per una collezione speciale, parallela alla produzione prêt-à-porter che resta alla padovana Paci, mentre la maglieria è in mano ad una rete selezionata di artigiani veneti. «Questa linea si chiama “Fatto a mano” – continua Cividini -, con un packaging specifico». E Piero Cividini racconta questo ritorno alle origine, di «artigiano speciale»: «La nostra azienda è nata alla fine degli anni ‘80 con il recupero delle tradizioni artigianali che avevano contraddistinto la realizzazione della maglieria italiana nel primo dopoguerra – commenta -. Iniziammo proprio così a proporre maglie infilati pregiati fatte su macchine di maglieria a mano, un’evoluzione che molti hanno seguito e che è diventato anche a livello industriale il “nuovo” modo di fare la maglieria».

Ora la chiusura del cerchio: «Dalla prossima collezione questa linea limitata, una decina di pezzi, darà valore aggiunto al nostro prodotto». E commenta: «Mia moglie Miriam ed io volevamo fare gli artigiani, poi l’evoluzione del sistema moda ci ha portato al normale processo di industrializzazione. La crisi del settore ha però modificato il modo di guardare il prodotto e il fenomeno di massificazione e dell’omologazione ha riposizionato il prodotto di nicchia». Perché Piero Cividini è sì uno che guarda i conti, che ha saputo fermarsi quando il sistema moda dava segnali negativi, sospendendo per tre anni le passerelle, ma è anche uno che sa come dare valore aggiunto al prodotto: «Bisogna essere consapevoli di come il mercato si muove, soprattutto in Italia, dove il sistema è ancora fermo, con un gap tra chi è in crescita e chi si scontra, ed è la maggioranza, con la staticità dei consumi». E questo non è il tempo per aprire un monomarca: «Non in Italia, investendo invece con il Made in Italy sul Far East e sugli Usa». E sul «fatto in Italia» sottolinea: «Quella etichetta non basta più: serve anche l’idea, la storia del prodotto, una filosofia nuova di distribuzione, più dinamica e snella. Serve crescere nel servizio: il Paese ha bisogno di rigenerarsi». Lo hanno insegnato bene i mercati asiatici dove Cividini è cresciuto negli ultimi anni: 18 punti vendita nei department store del Giappone, da poche settimane ha allestito a Shanghai 100 metri quadrati: «In un vero quartiere della moda: 16 palazzine, di 5 piani».

Questo mentre il fatturato del 2013 si è chiuso con un +10%, poco più di 13 milioni: «Siamo sempre più forti sull’export, che copre l’85% del nostro fatturato: solo il 40% arriva dal Giappone». Sorride Cividini, signorile con quel capello brizzolato e il girocollo in cashmere che fa tanto stilista: ha sempre amato la sobrietà, uno di poche parole: «Però una cosa la sta sbagliando: noi non facciamo moda. Solo cose belle, che ci piacciono e che durano nel tempo». Il vizio dell’artigiano, Piero Cividini, non riesce a perderlo.

Senza dimenticare la sfilata di sabato, sempre raffinata e di un’eleganza composta e di gran classe: 

Cividini ha giocato in passerella sulla fusione di elementi apparentemente in contrasto tra di loro ma che il savoir faire di Miriam e Piero riesce a stemperare creando una fusione armonica. I piccoli quadri multicolor del bomber con bordo di pelle si armonizzano con la gonna stampata a quadretti con bordo di maglia a coste mentre i pantaloni affusolati in crepe di lana stampata a micro check si amalgamano sia con la t-shirt di jersey a quadri che con la giacca a doppio petto di Mouflon di lana/mohair tessuto a piccoli quadri.

Un trench di Baby Alpaca a disegno tartan si appoggia con armonia su gonna di flanella con inserto geometrico e micro cardigan intarsiato di cashmere e da un gilet di cashmere con balza agugliata di pelliccia d’agnello di Xiangao spuntano maniche a grandi quadri stampati che armonicamente si sposano con la gonna a tubo con inserti geometrici. Una gonna longuette di tweed burro e nero si abbina armoniosamente con un top dipinto a mano, effetto spatolato, a motivi geometrici sui toni del grigio e del beige mentre un collo di visone a righe intarsiate completa il look e contemporaneamente il cappottino in macro check bianco/nero di baby alpaca lascia intravedere il piccolo pull effetto tweed burro /nero con frange su gonna diritta in tweed burro /nero.

Per gli accessori la borsa di crepe di lana stampata a piccoli quadri multicolor, con profili di serpente, si armonizza alla decollettè con sottile cinturino alla caviglia di serpente. Le sciarpe di cashmere realizzate su antichi telai a mano e disegnate con le piegature shibori a motivi grafici completano armonicamente molti look aggiungendo loro una inaspettata morbidezza. Lo zainetto metà pelle e metà panno a disegni tartan portato sul trench dello stesso tessuto quasi scompare. La borsa con tracolla in catena di metallo è decorata a mano con spatolate parallele che formano un disegno a righe irregolare ma i cui colori si fondono tra loro armoniosamente.

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