
Ogni vita un racconto / Bergamo Città
Mercoledì 11 Giugno 2025
La forza del cambiamento: cuore (e gambe) che dipingono la vita
Dalla fantasia di Arianna Mariani, trail runner bergamasca, prendono forma e colore sul marmo delle lapidi le immagini di oggetti quotidiani che rappresentano l’essenza della vita stessa delle persone
Tra i capovolgimenti che il Covid ha portato con sé, c’è quello della vita professionale di molte persone. In quel periodo Arianna Mariani faceva la barista da almeno vent’anni e aveva archiviato un diploma di liceo artistico, ma soprattutto gli studi di restauro all’Accademia di Belle Arti «Lorenzo Lotto» di Bergamo. «Appena uscita dall’Accademia vivevo da sola e mi sono dedicata alla pittura in un piccolo studio. Non ho seguito la carriera di restauratrice perché i 3 euro l’ora che mi avevano proposto non bastavano per vivere. Dopo qualche tempo ho iniziato a fare la barista. E mi piaceva anche molto».
Il sorriso e lo sguardo accogliente le viene, probabilmente, dal bancone del bar. Arianna aveva anche un’altra passione: amava correre, principalmente su strada. La sua potenza e la velocità le davano pure parecchie soddisfazioni in termini di risultati. Con la pandemia però la chiusura totale delle attività di ristorazione e l’impossibilità di muoversi su strada ha cambiato la sua vita. «Ho lasciato il lavoro e ho cambiato i tragitti da percorrere di corsa. Ho estratto dalle tasche con potenza il dremel (un multiutensile capace di incidere, imprimere, fresare, affilare, smerigliare, pulire, lucidare, tagliare e sabbiare tutti i tipi di materiali) e i colori acrilici». Dalla sua fantasia hanno preso vita sul marmo alcune immagini che risultano particolarmente efficaci: un ramo di un fiore blu, l’ingresso in un bosco, il calore di una baita, la quiete di una spiaggia, un pugno di castagne e l’allegria dei funghi.

«Oggetti e temi quotidiani, che ho realizzato, rappresentano l’essenza della vita delle persone: i loro hobby, il lavoro, la gioia di vivere». Per oltre un anno Arianna ha prestato la sua arte al servizio delle famiglie che si rivolgevano ad un’agenzia di onoranze funebri di provincia, poi si è messa in proprio e ora lavora su commissione per conto di diverse agenzie. «Il mio lavoro è quello di rappresentare sulle lapidi la bellezza dell’esistenza del defunto». Come? Con il dremel incide il marmo e lascia un solco ruvido che viene riempito di colore. Con la lama si toglie il colore in eccesso e resta l’immagine voluta. «Il marmo che lavoro più frequentemente è il marmo di Carrara, ma a volte mi capitano lapidi in Botticino». Tra i disegni che l’artista più ama ci sono un paio di guantoni da boxe, un’automobile, una chiave di violino, papaveri, farfalle, uccellini e tanta uva (sia per chi l’ha coltivata, per chi l’ha lavorata e per chi ne ha goduto i benefici del vino). Non mancano nel catalogo di Arianna anche le diverse versioni della Madonna (da quella di Medjugorje a quella di Lourdes o di Fatima). «La dimensione personale e familiare delle lapidi per i defunti lascia poco spazio alla creatività dell’artista, tuttavia cerco sempre di interpretare il carattere della persona che riposa dietro al marmo. Rispetto ai primi lavori c’è un’abitudine che ho abbandonato: quella di leggere le date di nascita e di morte scritte accanto al disegno. Spesso mi intristivo e mi fermavo a pensare all’ingiustizia di certe morti precoci. Così ho deciso di astenermi e mi sento decisamente più libera». Già trent’anni fa nelle necrologie del Nord Europa questi aspetti molto umani avevano preso il posto dei simboli sacri. Dalle nostre parti invece le due dimensioni resistono ancora una a fianco dell’altra.
Per Arianna Mariani, classe 1979, il Covid ha cambiato anche un altro terreno di sfide. Se sotto le sue mani ora scorre la pietra al posto delle tazzine del caffè, sotto i suoi piedi la montagna ha preso il posto della strada. Abitando a Ponteranica, ha cominciato a trovare i sentieri nei boschi, ad allenarsi in salita e a sentire l’ebbrezza delle discese. «Da allora non mi sono più fermata!». Lo scorso fine settimana a partecipato al Campionato italiano trail corto alla «Trail Oasi Zegna» correndo in 4 h 25’ lungo 35 km, con una differenza di quota tra partenza e arrivo di +1800 metri. In aprile aveva corso la Dolomiti Beer trail DBT ultra 55 km 3000 M+ in 6:51 posizionandosi al terzo posto nella classifica femminile. «Non mi sento una superdonna, ma mi piace da matti correre. Ho cominciato verso i 25-30 anni con il classico male alla milza che però presto è sparito. È arrivata la prima mezza maratona e ora sono a quota 17 maratone. Siamo fortunati a vivere sulle Orobie che sono un’ottima palestra per il trail running».
Tra la corsa e la pittura sulle lapidi delle tombe, quando capita Arianna si trova a dipingere anche trompe-l’oeil e a decorare o restaurare cassettoni in legno a soffitto.
Arianna, testa, cuore e gambe. Arianna, sorriso e forza. Arianna, una donna.
Giuliano Boffelli: il pittore che portava l’arte in Valle Brembana
Con la scomparsa di Giuliano Boffelli di Zogno, avvenuta nel marzo 2015, si chiudeva una pagina della storia della pittura brembana. Un mondo in cui Boffelli era stato protagonista e di cui era stato promotore e animatore. Erano gli Anni Settanta quando, con Luciano Steffenoni, pure lui appassionato di arte, fu promotore della costituzione del Gruppo artistico di Valle Brembana. Il Gruppo aveva sede e sale espositive a Palazzo Rimani di Zogno dove si svolsero personali di notissimi pittori bergamaschi, da Trento Longaretti a Giulio Masseroni, da Angelo Capelli a Piero Urbani. Ma anche le mostre di Filippo Alcaini e Mario Giupponi, Giacomo Gervasoni e Vico Dadda. Questo Gruppo diede vita al Premio di pittura Comunità montana di Valle Brembana, che annoverò tra gli espositori alcune delle più note «firme» della pittura bergamasca. Boffelli era stato particolarmente attivo nella promozione di queste iniziative artistiche, tra le più significative per la valle e lui stesso era partecipe con le proprie opere a questi momenti artistici. Sapeva esprimersi bene nei ritratti , ma era la natura ad ammaliarlo. In particolare, immagini della valle soffuse da un’atmosfera verde che era dominante nei suoi colori. Era insomma un promotore di arte: nella vita quotidiana e professionale, è stato per anni agente sulla ferrovia di Valle e quindi tecnico nella più nota delle aziende di acque minerali brembane, ma approfittava di qualsiasi opportunità per promuovere arte e cultura.
Giacinto Galizzi amava Sarnico, la pittura e il genio di Van Gogh
Schivo, introverso, figlio di un pescatore e di poche parole; anche se pochi come lui hanno saputo raccontare attraverso la pittura volti di bambini, contadini al lavoro, paesaggi collinari e nature morte.

Si è spento nell’aprile 2009 a 83 anni a Sarnico Giacinto Galizzi, conosciuto come «Cinto». Innamorato degli impressionisti e in particolare di Vincent van Gogh, Cinto Galizzi aveva passato l’intera vita a disegnare. Una passione la sua, che però gli aveva permesso di crescere una numerosa famiglia in anni particolarmente difficili. Già a dieci anni «Cinto» aveva capito la sua propensione per il disegno creativo. Negli anni ’40, spronato dal parroco di Sarnico, riuscì ad entrare all’Accademia Carrara di Bergamo che frequentò per cinque anni. Nel ’46, espose alla «Mostra nazionale d’arte sacra» a palazzo Tre Passi a Bergamo. Cinto aveva un grande amore e attaccamento alla sua cittadina e alla sua storia. Infatti la mostra voluta dall’artista nel maggio dell’anno prima della morte a Sarnico, nella chiesa di San Rocco, era stata promossa per raccogliere fondi a favore dei lavori di restauro della chiesa parrocchiale di San Martino.
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