
Ogni vita un racconto / Bergamo Città
Giovedì 26 Giugno 2025
Perché è importante partecipare ai funerali
Partecipare a un funerale non significa solo organizzare e sostenere i costi per chi è rimasto solo, ma ricostruire la memoria di una vita sconosciuta, offrendo un ultimo saluto che ne preservi il ricordo nel tempo
Prendo spunto da un articolo di Massimo Gramellini, apparso sul Corriere della Sera del 18 giugno, che racconta il funerale di uno sconosciuto al quale avrebbe partecipato l’intero paese e provo capire perché questa notizia mi commuove. È avvenuto in una comunità di tremila anime in provincia di Savona, Cengio. Nicola, dopo 10 anni vissuti alla «Casa degli Scapolo» (struttura assistenziale del paese) ha chiuso nell’anonimato la sua vita. Nessuno lo ha conosciuto davvero e quindi i dettagli si compongono con i singoli ricordi: forse Nicola veniva dal Veneto, forse è rimasto orfano da piccolo e forse questa ferita non è mai guarita. Forse per un po’ ha fatto il gelataio, ma la sua riservatezza lo ha sempre protetto. Da altre ferite vero, ma soprattutto dal balsamo dell’amore e dell’amicizia che avrebbe potuto curarlo. Quando Nicola è morto, don Meo, tra i pochi a conoscerlo, ha rivolto un appello ai compaesani, esortandoli a partecipare al suo funerale. Sono intervenuti in tantissimi. Perché? La psicologia dice che, verosimilmente, sono andati a salutare Nicola per esorcizzare la paura che, prima o poi, loro stessi avrebbero potuto essere al suo posto. Nessuno vorrebbe morire da solo con nessuno che si ricordi che siamo esistiti.
Ad Amsterdam ci sono un poeta e un funzionario pubblico. Si occupano dei funerali delle persone sole che lì sono una ventina l’anno. Senzatetto, migranti o semplicemente persone senza (più) relazioni significative. Ger Frits, il dipendente pubblico, sceglie la musica da suonare in quelli che lui chiama i «funerali solitari». Mette fiori sulla bara e accompagna ognuna di queste persone fino alla sua ultima dimora. Con il poeta Frank Starik ha deciso che anche queste persone meritano di essere celebrate per la loro vita passata. Il loro intento è di non lasciare che per nessuno l’ultimo viaggio sia solitario e anonimo. Insieme, Ger e Franz scavano nelle vite delle persone che muoiono senza nessuno che le reclami. Entrano nelle loro case, parlano con chi li ha conosciuti e che ricordano parti della loro storia. Con queste informazioni Frank compone una poesia da leggere durante la funzione. «Il funerale è un momento di resa dei conti e qualcuno deve portare una buona parola per te», dice Starik che ha fondato ad Amsterdam «Poule des Doods», un gruppo di poeti che scrivono e recitano poesie ai funerali solitari per restituire ad ognuno la sua storia, anche quando sembra persa definitivamente.
Un’altra storia riemerge da un quotidiano di 10 anni fa. È quella di Nadia Goglia che, a 37 anni, era una dipendente della società incaricata dal Comune di Torino di occuparsi dei funerali dei poveri. Ho provato a contattarla ma, come immaginavo, non è tipo che risponde al volo sui social (anzi, oltre ad aver aperto il profilo, non fa grande attività). In otto anni di lavoro, si raccontava nell’articolo, ha seguito oltre 2400 funerali. Lei si occupa quasi esclusivamente delle persone che sono morte sole, senza famiglia e senza redditi, o con familiari non in grado di pagare le cerimonie d’addio. Oppure degli sconosciuti. Scava nel loro passato, principalmente tramite gli uffici anagrafe dei Comuni, entrano nelle case vuote cercando biglietti di saluto, lasciando poi alla magistratura la gestione degli immobili e degli oggetti rimasti che vanno all’asta oppure sui mercatini. «Con il suo piccolo team di collaboratori - descrive l’articolo - cura ogni dettaglio; chi muore a Torino e non ha un centesimo, avrà una bara di buona qualità, il carro funebre, la cerimonia religiosa, la lapide con il nome, le date con l’alfa e l’omega di ciascuna singola vita, perduta o no». Lo raccontava senza enfasi, «come se quei morti fossero parte di un’unica grande famiglia, per un momento anche della sua».
Tra le circostanze più tristi ci sono quelle in cui i familiari ci sono, ma sono schiacciati da antichi o recenti odi, ex mogli o mariti ostili ad impedire la presa in carico delle esequie. «Scene penose, vissute con astio e rancore, e noi dobbiamo così sostituirci a loro, non solo per le questioni finanziarie». Ci sono poi gli anziani soli che non hanno abbastanza soldi per il funerale del coniuge. «Vengono qui, gli occhi bassi. Spesso sono anziani rimasti soli, che non hanno niente. Spieghiamo che i loro cari avranno un funerale dignitoso, come tutti. Se ne vanno rincuorati. Condividerne talvolta anche le lacrime fa bene anche a noi, è uno scambio alla pari». A Bergamo, nel 2024, i funerali di povertà sono stati 11.
Le storie che iniziano quando la vita finisce
«I funeracconti» è un libro di Benedetta Palmieri (2011, Feltrinelli) che raccoglie una decina di storie che prendono avvio quando la vita cessa. Il primo è il «funeralista», un presenzialista di funerali, il mio personaggio preferito. Poi c’è la proprietaria di una blasonata agenzia di pompe funebri, un parco a tema che promette di far morire dal divertimento, la redazione di «Glamourt». C’è un collezionista di rarissimi carri funebri. Una dama di condoglianza, un tumulatore di animali domestici, un necroforo di fiori di appartamento. Dieci racconti che hanno come filo conduttore la morte come evento ineluttabile da mettere in conto e programmare nei minimi dettagli come si fa con i matrimoni, i battesimi e qualsiasi cerimonia di passaggio. A maggior ragione con il funerale, che è l’ultimo e che rimarrà nella memoria dei più.
Partecipare per non rimanere soli
Partecipare al funerale di una persona che non si conosce, è opportuno? Il gesto può considerarsi terapeutico rispetto alla paura di restare soli. «Se partecipo a questo funerale, forse qualcuno verrà al mio». Un aggettivo usato nella necrologia, il soprannome, la qualifica professionale o il mestiere possono essere stimoli per scegliere una o l’altra cerimonia. Qualcuno ha pensato anche di dare vita ad una società che fornisce comparse per esequie. Veri e propri interpreti da funerali per creare la giusta atmosfera che a tratti si sta perdendo. A dire la verità questo qualcuno non ha inventato nulla: nella storia della nostra Chiesa ci sono i sacrestani, vero patrimonio dell’umanità e le confraternite, i chierichetti e le «pie donne» che recitano il rosario. Secondo la logica produttiva perdono tempo. Forse non è così. Riflettiamoci.
I «custodi fedeli» dell’ultimo saluto
Abbiamo parlato di sagrista e il pensiero è andato al nostro portale che ospita le necrologie dagli anni Cinquanta ad oggi.
Con la qualifica di «sagrista», sono ospitati Ambrogio Pellegrinelli, sagrista di Strozza (1959), Angelo Magri di Gromo (1967), Battista Locatelli di Villa d’Almé (1982), Giuseppe Deretti di Nese (1991), Mario Acquilina di Gromo (1995), Cav. Battista Torri di Gandino (2001). Come «sacrista» (con la “c”) invece vengono alla luce Faustino Locatelli di Villa d’Almé (1956), Piero Tassis di San Pellegrino Terme, Giuseppe Caroli di Cenate Sotto (1967), Santino Tassis di San Pellegrino (1972), Leone Viganò di Mapello (1976), Angelo Vavassori di Madone (1984), Pietro Moleri di Gazzaniga (1996), Antonio Bassi di Bariano (1999), Giuseppe Ghilardi di Luzzana (1999), Giuseppe Malerba di Urgnano (2000), Enrico Pacchiani di Bossico (2001), Luigi Tomasoni di Bratto (2009), Giassi Giacomo di Pognano (2014), Francesco Loglio di Gandoni (2018), Andrea Corna di Ponte San Pietro-Mapello (2019), Eugenio Bassani di Bergamo (2021).
Nelle prossime puntate daremo spazio anche ai «sacrestani» e ai «sagrestani».
© RIPRODUZIONE RISERVATA