Un viaggio nella tenacia e nella forza dei bergamaschi

L’Alpino di Oltre il Colle che, dopo la ritirata di Russia e la Resistenza, è stato campione nello sci azzurro. Il fondatore del Cinema Ariston che collaborò anche all’apertura del Capitol, del Nuovo, dell’Arlecchino e del San Marco in città. A proposito di tenacia, da Tagliuno l’invalido di guerra che da solo fu insieme messo comunale e portalettere per il comune di Castelli Calepio. Infine il medico che, notte e giorno, rispondeva alle chiamate dei pazienti, restando al servizio anche oltre la pensione. Sono solo alcune delle storie di questa settimana

Portato in spalla dai suoi alpini, come voleva lui

Adolfo Maurizio
Adolfo Maurizio
Oltre il Colle, 29 dicembre 1980

Circondato da tanti gagliardetti e bandiere e portato a spalle dai suoi alpini se ne andava all’ultima dimora il 3 gennaio 1981 Adolfo Maurizio, classe 1921. Uomo di poche parole, ma dalle molte attività, forgiato fin da giovane alle dure battaglie della vita di montagna, seppe distinguersi in ogni campo dove la vita lo portava ad agire. Prima fu un valido campione nello sci azzurro e fece conoscere il suo paese di Oltre il Colle fuori della bergamasca, e poi fu istruttore per tanti anni dei ragazzi. Come imprenditore lo si vide sempre molto impegnato alla guida di camion e ruspe. Per anni ha fatto parte del corpo bandistico parrocchiale. Alpino puro sangue, prese parte con il 5° alpini alla campagna di Russia e alla triste ritirata. Se ne tornò a casa segnato nel fisico, ma indomito. Dopo l’8 settembre militò nelle «Fiamme verdi», operanti nella Conca di Oltre il Colle. Dopo la guerra ricostituì il locale Gruppo Alpini. «I tuoi alpini - scrissero gli amici su L’Eco - hanno esaudito il tuo ultimo desiderio, quello di portarti a spalla al cimitero».
Archivio de L’Eco di Bergamo

Il suo negozio era per tutti la casa della musica

Giovanni Ghisleri
Giovanni Ghisleri
Bergamo, 16 novembre 1979

Giovanni Ghisleri era conosciutissimo nell’ambiente musicale bergamasco, così ricco di antiche tradizioni, un ambiente cui la sua famiglia era strettamente collegata da sempre. Infatti Giovanni Ghisleri portava il nome di suo nonno che aveva lasciato il negozio di Via Verdi a suo figlio Achille. Uomo di esemplare attività, si era sempre premurato di rifornire la sua azienda di aggiornatissimi strumenti, seguendo la naturale evoluzione tecnica verificatesi anche in questo campo. Inoltre aveva con amore seguito e incoraggiato il sorgere e lo sviluppo di corpi bandistici in Bergamo e provincia. Giovanni possedeva una cultura musicale notevole, era amico di professori d’orchestra, maestri di musica, appassionati dell’arte musicale.
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Ciao papà, sei volato in cielo troppo presto

Lorenzo Pozzi
Seriate, 27 settembre 1964

Ciao papà, sei volato in cielo troppo presto, prima che io nascessi; sono passati tanti anni ormai ma sento che da lassù tu hai sempre vegliato e protetto me e la mamma.
Lorenza Pozzi
Seriate

Cara Silvana, «vivrai per sempre nel mio cuore»

Silvana Lo Dico
Silvana Lo Dico
Seriate, 12 maggio 2001

Sono trascorsi 23 anni da quel 12 Maggio 2001, ma vivi sempre nel mio cuore, insieme ai ricordi. Ti vorrò sempre bene.
Tuo nipote Riccardo
Seriate

Dalla Francia vennero a salutarlo i compagni di cantiere

Aveva 55 anni Marino Birolini quando una congestione polmonare lo colpì sul lavoro in Francia. Una vita dura la sua: dopo il Servizio militare è stato prigioniero in Germania e, al ritorno, è subito emigrato in Svizzera e poi in Francia come carpentiere. Per le sue capacità e la sua buona volontà si era meritato l’incarico di capo-cantiere presso la «Botomarme», un’impresa che operava nella zona di Parigi. Dopo la sua morte, un gruppo di compagni di lavoro ha voluto recarsi ad Albino per rendergli l’estremo saluto, recando una corona di fiori e una targa ricordo. Il personale del cantiere ha annunciato quanto prima una visita collettiva alla tomba del Birolini.
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Autista di bus in Val Seriana, di camion in Africa

Alessandro Moretti di Branzi è stato sin da bambino abituato alle fatiche e al sacrificio e ha saputo lottare e superare tutte le difficoltà. Appena adolescente era andato a lavorare lontano dalla famiglia in qualità di garzone. Ha partecipato poi alla Prima Guerra Mondiale dalla quale è tornato decorato al valore militare. Alessandro ha sempre amato definirsi un «ragazzo del ’99». Dopo la guerra ha iniziato la sua carriera di autista della linea Branzi-Piazza Brembana fino alla pensione. Nel 1936 i tempi economicamente duri lo hanno indotto a partire per L’Africa Orientale con la speranza di aiutare la sua famiglia. È rimasto in Africa per sette anni: dapprima come camionista, poi per 3 anni come prigioniero di guerra non ricevendo alcuna notizia da casa. Nel 1943, rientrato a Bergamo, ha ripreso il suo mestiere di autista e ha partecipato attivamente alla vita civile del suo paese come commissario prefettizio prima e come giudice conciliatore poi. Nel 1948 suo figlio, Don Emilio è diventato prete e parroco a Villa d’Ogna. Giunto alla pensione Alessandro non si è fermato e è diventato volontario fabbriciere in parrocchia e membro del consiglio pastorale meritandosi come premio terreno una medaglia d’oro per l’impegno.
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Il medico che «correva» dai pazienti giorno e notte

Nato a Calusco d’Adda il dott. Villa si è laureato in medicina a Milano cominciando la sua professione come medico supplente proprio a Calusco. Ha proseguito l’attività come ufficiale medico nell’Ospedale Militare di Trieste durante la Seconda Guerra Mondiale e successivamente ha ricevuto la nomina di medico condotto a Dezzo di Scalve dove è rimasto per 6 anni prodigandosi per i suoi ammalati noncurante dei disagi e delle difficoltà che l’esercizio della sua professione, in quei luoghi disagiati di montagna, comportava. Nel 1953 è rientrato a Calusco dove ha proseguito la sua attività. Con la sua morte se ne è andato un medico cordiale, generoso, serio e sensibile. Villa ha svolto la sua professione con senso del dovere e spirito di sacrificio, sempre pronto ad accorrere alle chiamate dei suoi pazienti, per tanti anni, di giorno e di notte, prima che la riforma medica riconoscesse al medico l’umano diritto al riposo notturno. Bergamasco per origine e per tradizione, ha voluto esercitare la professione fino all’ultimo, anche se da alcuni anni avrebbe potuto concedersi un giusto e meritato riposo.
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Erano altri tempi, erano altre persone, pronte al sacrificio

Isacco Boffelli
Isacco Boffelli
Castelli Calepio, 3 gennaio 1980

Aveva 84 anni Isacco Boffelli e, sebbene fosse da tempo sofferente, rimaneva gioviale così come era sempre stato. Non ha mai smentito lo spirito di corpo dei Bersaglieri, nel quale corpo militò durante il servizio militare e durante la Grande Guerra quando fu ferito alla testa, diventando mutilato e invalido di guerra. Al rientro è stato assunto come portalettere alle poste di Tagliuno. Doveva servire tutto l’intero territorio di Tagliuno da solo e con i pochi mezzi di trasporto allora esistenti. Per tutti aveva una parola di conforto e con le sue battute spiritose si faceva voleri bene da tutti. Per circa 30 anni servì anche il Comune di Castelli Calepio in qualità di messo comunale: abbinando i due lavori, seppe svolgere al meglio entrambi gli uffici. Era in ufficio sin dalle prime ore del mattino, diceva un suo collega, e quando gli impiegati si presentavano al lavoro, Boffelli aveva gli uffici pronti e riscaldati (allora funzionavano le stufe a legna). Ha svolto con diligenza anche la funzione di messo comunale: nelle rigide giornate di inverno partiva a piedi, o al massimo in bicicletta e correva nelle frazioni del comune di Castelli Calepio (Cividino.Quintano e Castel dei Conti) per notificare o per chiamate urgenti. «Erano altri tempi, mi si dirà, - diceva un collega - ma io ribadisco che erano altre persone e altre volontà sempre pronte al sacrificio. Durante l’epidemia del tifo nel 1944 in Castel de’ Conti, era lui che correva a prelevare gli ammalati e portarli all’ospedale e nel contempo confortava le famiglie colpite dal morbo».
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Contribuì all’epoca d’oro dei cinema in città

Cav. Mario Riboli
Cav. Mario Riboli
Bergamo, 9 gennaio 1981

Mario Riboli era nato a Crema nel 1911, ma dal 1950 ha risieduto a Bergamo Lo sport l’ aveva nel sangue, era come il segno distintivo del suo animo cavalleresco e schietto. Fin da giovanissimo amava correre in bicicletta e fu, intorno agli anni 1920-21, vice campione italiano dei dilettanti. Avvicinatosi al calcio, portò il Crema in Serie B, profondendo nell’impresa tutto l’entusiasmo di cui era capace. Erano i tempo di Ghiandi, Mazza e altri campioni. A Crema fondò la Pergolettese (poi Pergo_Crema), squadra che riuscì a portare dalla seconda divisione in serie C. Stabilendosi a Bergamo nell’immediato dopoguerra, dedicò le sue attenzioni anche all’Atalanta, alla quale cedette tra l’altro, un promettente giocatore, allevato nella Pergolettese: Zavaglio. Ma tra le passioni del Cav. Riboli ci fu anche il cinema. Nel 1945 rilevò dalla Camera del lavoro il cinema Enal in via Gian Maria Scotti – che in seguito chiamerà Ariston – e, grazie al suo intuito e alla sua tenacia, lo trasformò in quegli anni nel più frequentato cinema della città. Aveva una sua radicata idea del cinema come spettacolo sano, per tutti. Quando non riuscì più a mandare avanti le sale, ne affidò ad altri la conduzione. Partecipò alla fondazione dei cinema San Marco e Arlecchino, ristrutturò il vecchio Teatro Nuovo, si associò nella gestione del cinema Italia (poi Studio Capitol e ora Cinema Capitol). Dopo la morte della moglie faticò non poco a rialzarsi, nonostante gli fosse vicino il nipote Luciano, che aveva cresciuto come un figlio. Si sentiva comunque ancora utile e andava incontro alle necessità di chiunque. «Chi ben fa – soleva dire - ben riceve».
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Nonna Lucia voleva il funerale nella sua Città Alta

Lucia Spini Ved. Caffi
Lucia Spini Ved. Caffi
Bergamo, 29 dicembre 1980

Nativa di Almenno San Salvatore, Lucia Spini dopo il suo matrimonio si era trasferita in Città Alta, in via Colleoni dove seppe guadagnarsi stima e simpatia di tutti per l’affidabilità di carattere e la bontà d’animo.
Era tanto affezionata alla sua «Bergamo antica» da insistere presso i figli (i 3 rimasti dei 5 nati dal suo matrimonio) fino ad ottenere la promessa che l’avrebbero riportata su per i funerali nel caso la malattia per cui aveva dovuto essere ricoverata in ospedale non si fosse conclusa in modo favorevole.
I figli (Diacle, Silvana e Luigi) e i nipoti hanno mantenuto la promessa: «Nonna Lucia è tornata nella sua Città Alta, dove ha risieduto per oltre mezzo secolo».
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