Droga, la Bergamasca
snodo cruciale del narcotraffico

Il duplice omicidio di Bariano, il ruolo delle bande criminali nordafricane e le alleanze con gruppi albanesi e italiani.

Sono spesso piccole storie dai contorni tragici, storie di un’emarginazione e di un disagio che trovano sfogo nella criminalità spicciola. Ma, sommati l’uno con l’altro, questi tasselli tratteggiano un mosaico articolato, dalle proiezioni ampie e significative, da tempo sotto gli occhi degli investigatori. Nell’era delle gang globalizzate, sulla scena s’affacciano nuovi clan che al Nord trovano terreno fertile a partire dal business più redditizio, la droga, occupando gli spazi lasciati liberi dalle mafie tradizionali. C’è anche la criminalità nordafricana – stessa provenienza dei due giovani freddati a Bariano – a spartirsi l’affare del narcotraffico: gruppi criminali divisi in «cellule», che «pur mantenendo una notevole autonomia operativa nei rispettivi ambiti territoriali, avrebbero creato un vero e proprio network», annotava l’ultima relazione della Direzione investigativa antimafia.

E «forti di questa efficiente rete relazionale», i clan provenienti da quello spicchio del pianeta «sarebbero ora in grado di gestire l’intera filiera del traffico, associandosi anche con gruppi albanesi e italiani». Non a caso, nel faldone degli inquirenti c’è la sottolineatura di un’operazione emblematica, con epicentro a Bergamo. È l’inchiesta «The End», storie di traffici di eroina e cocaina con vere e proprie «raffinerie» (una a Romano di Lombardia, ad esempio), scattata ad aprile 2016 dopo un lavoro imponente della procura e dei carabinieri orobici: tra i quaranta soggetti coinvolti, 18 erano albanesi, 17 marocchini, tre italiani, due i tunisini.

Un paio di mesi fa, anche la Commissione parlamentare antimafia ha passato ai raggi X le gang straniere in ascesa nel Settentrione. Nella relazione, commissionata all’Osservatorio sulla criminalità organizzata della Statale di Milano, le pagine setacciano anche Bergamo e Brescia, «province che giocano un ruolo di rilievo per i gruppi a cui partecipano soggetti nordafricani». Addirittura con alcune «peculiarità», come certe «joint venture» sorte attorno alla gestione della prostituzione, dall’hinterland cittadino fin verso la Bassa, dove si sono registrati casi in cui i gruppi nordafricani hanno creato uno «sfruttamento combinato» con i clan albanesi, solitamente «dominus» del mercato (insieme alle bande romene).Sulle strade del crimine, anche quelle bergamasche, s’intrecciano dunque matrici diverse.

Si è parlato della mafia cinese poco più di un anno fa, quando i boschi attorno ad Albano consegnarono il cadavere incaprettato di un giovane orientale, gestore di una sala slot, freddato come in un’esecuzione, ma è un altro «vento dell’Est» quello più monitorato dalla Direzione distrettuale antimafia di Brescia, competente anche per Bergamo: nell’ultimo report, consegnato lo scorso aprile, si fotografa il «ruolo dominante di soggetti di nazionalità albanese, ma residenti sul territorio nazionale, alle cui dipendenze operano correi di nazionalità diverse, tra cui italiani e rumeni». In un’inchiesta recente, i magistrati antimafia bresciani sono anche riusciti a scalfire il muro d’omertà della rampante mafia balcanica: dal pentimento di un trafficante di origine serba, pizzicato con quattro chili di «coca» ed entrato poi in regime di «protezione», è scattata un’operazione con oltre sessanta indagati che ha fotografato traffici internazionali con «cuore» a due passi dalla Bergamasca.

Tratti in comune tra le diverse «mafie» comunque ci sono: come la «tipologia dei bersagli preferenziali», tanto nei regolamenti di conti che in certi tipi di reato (estorsioni, vittime della prostituzione), dove gli aguzzini mettono nel mirino «quasi esclusivamente gli appartenenti alle medesime comunità etniche», sottolinea ancora la relazione stilata dall’Osservatorio per la Commissione. Poi, ancora, c’è il discorso dei business illegali. Che possono essere i «reati a bassa competizione», quei mercati abbandonati o snobbati dalle mafie di casa nostra (è il caso della prostituzione o dell’eroina, oggi in mano a soggetti dell’Est Europa e del Nordafrica), oppure i mercati in cui la «straordinaria ampiezza della domanda assicura profitti a tutti gli “operatori”». Come il narcotraffico, appunto.

Che Bergamo sia uno snodo cruciale per grandi e piccoli organizzazione votate allo spaccio, lo dicono i numeri crudi: quasi nove tonnellate di stupefacenti sequestrate in provincia negli ultimi dieci anni, 911 chili solo lo scorso anno. Il trend non pare fermarsi: sommando i report mensili della Direzione centrale per i servizi antidroga del Viminale, nel 2017, da gennaio a maggio, in Bergamasca sono stati finora messi i sigilli su 433 chili di droga, di cui 329 di hashish. Uno stillicidio praticamente quotidiano: 110 le operazioni antidroga, 178 le persone arrestate o denunciate per i traffici.

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