«Il salto a Parigi in una stanza di 7 metri quadrati per fare lo chef»

La storia. Alberto Suardi a 20 anni si è trasferito in pochi giorni dalla cucina del «Colleoni & Dell’Angelo» in Città Alta a quella del famoso gruppo «Ducasse Paris». Un sogno.

Una chiamata inaspettata, e dalla cucina del ristorante «Colleoni & Dell’Angelo» in Città Alta, lo chef Alberto Suardi, si è ritrovato a Parigi. Era il settembre 2015 quando arrivò la chiamata del gruppo Ducasse Paris (fondato dal famoso chef Alain Ducasse): tempo una settimana, il giovane era già ai fornelli nella capitale francese, e da lì non si più spostato. «Pochi giorni dopo quella chiamata – confessa lo chef, originario di Bergamo –, ero a Parigi a vivere in una piccola stanza di sette metri quadrati nel quinto “arrondissement” (circondario), senza padroneggiare la lingua e senza conoscere nessuno. Sono rimasto con loro per un anno e mezzo. Dal 2018 invece lavoro per “Big Mamma”, progetto dedicato alla ristorazione informale di maggior successo in Francia, Inghilterra, Spagna e Germania e creato nel 2015 da due trentenni francesi; attualmente ricopro la posizione di Exécutif Chef, e mi occupo principalmente di sviluppo e nuove aperture all’estero».

Una carriera brillante, iniziata sin da ragazzino con esperienze in importanti ristoranti della Bergamasca. «Dopo aver terminato gli studi all’Istituto alberghiero di San Pellegrino Terme – racconta il 28enne –, la mia prima esperienza è stata lavorare al fianco dello chef Fabrizio Ferrari al “Roof Garden” che proprio in quel periodo prese la stella Michelin, successivamente ho lavorato con lo chef Francesco Gotti al “Bobadilla” a Dalmine, una breve parentesi al ristorante “Lio Pellegrini” a Bergamo, e in seguito con lo chef Chicco Coria al “Cappello d’Oro” in Porta Nuova, nel centro città. Sono poi approdato al “Colleoni & Dell’Angelo”, dove sono rimasto due anni prima di venire qui. Esperienze estremamente formative, ma tra tutti i miei formatori ricordo con stima e affetto il professor Carlo Calvetti, mio mentore che ci ha lasciati nel 2019. A lui devo chi sono oggi, come cuoco e come persona».

Un salto nel vuoto, «ma lo rifarei» – commenta soddisfatto ripensando al trasferimento a Parigi. «All’inizio ero completamente spaventato, continuavo a ripetermi che sarei voluto rientrare subito in Italia, anche se penso che fosse il mio modo per esorcizzare la paura di quei primi tempi. Fortunatamente sono riuscito a superare quel primo periodo durante il quale ogni cosa sembrava una ripida montagna da scalare. Le aspettative le ho lasciate a Bergamo: mi sono rimboccato le maniche e ho cercato di dimostrare fin da subito quello che era il mio valore e la mia voglia di emergere, giorno per giorno. A oggi se dovessi ripensare a quelle che potevano essere le aspettative direi che sì, sono state ampiamente ripagate. La cosa che apprezzo più di Parigi è sicuramente la multiculturalità e le possibilità che questa città mi ha dato nel corso degli anni, trovo che il viaggiare e il sapersi mettere in gioco aprano quelli che sono i nostri orizzonti e le nostre vedute, permettendoci così di migliorarci ogni giorno. Proprio come in cucina, nella vita, non si smette mai d’imparare e per questo Parigi è magica, si ha l’opportunità d’apprendere sempre, da qualcuno o dalle situazioni che si vivono quotidianamente. Una metropoli che corre e non si ferma mai, proprio come me. Le differenze tra la Francia e l’Italia sono innumerevoli».

«Per quanto concerne le abitudini delle persone, il cibo e quant’altro mi sento di dire che l’impatto con la Francia non è stato cosi scioccante - riflette -, paradossalmente ho conosciuto un sacco di italiani provenienti dal Sud Italia ed è con loro che ho scoperto davvero quanto sia variegato il nostro Bel Paese; mi sembrava quasi di non conoscere per davvero la mia patria. La Francia inoltre ha un approccio diverso verso il lavoro e i diritti dei lavoratori, soprattutto giovani: non ne parlo con rabbia ma piuttosto con una nota di rammarico. Immaginate soltanto che il primo giorno di lavoro mi dissero: “Siamo chiusi sabato e domenica ogni settimana, e anche a Natale, puoi già prendere i biglietti per tornar a casa”. Pensavo scherzassero, invece no, tutto verissimo. Si sa che fare il cuoco significa lavorare durante le festività, ma questo è un buon compromesso per avere un giusto equilibrio tra vita professionale e privata. Nell’azienda dove sono ora, puntiamo molto su questo aspetto, lo riteniamo estremamente fondamentale. Io stesso ho fatto questa scelta per riuscire a dedicare più tempo alle persone a me care e alla mia vita privata».

In futuro, il 28enne, non nasconde il desiderio di tornare in patria. «Un domani avrei sicuramente voglia di tornare in Italia. Vivo in Francia da ormai otto anni, ma non dimentico le mie origini e la mia famiglia; nonostante la mia ragazza Margherita, che mi ha sempre sostenuto, mi abbia raggiunto da ormai un anno e viva stabilmente a Parigi, vorrei poter vivere vicino a tutti i miei affetti. Sicuramente tra le cose che mi mancano più dell’Italia c’è il verde e la natura, camminare in montagna e le passeggiate nel bosco che mi rimettono al mondo. Durante la pandemia ho avuto la fortuna di poter rientrare a casa, e stare vicino a tutti i miei familiari».

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