
Bergamo senza confini / Bergamo Città
Domenica 27 Luglio 2025
Maria Allegra, le radici sulle Mura e i sogni di un futuro per il Rwanda
LA STORIA. La storia di Maria Allegra Magnini, gli studi alla Luiss e Harvard. Ora con Avsi impegnata nella riforestazione in Africa: «Anche un piccolo fornelletto qui può cambiare la vita».

Certe volte la geografia è solo un disegno su una carta. Le distanze, quei chilometri che separano Bergamo da Kigali, diventano piccole quando ci sono passioni che ardono e occhi che sanno vedere oltre il quotidiano. Maria Allegra Magnini, classe 1998, nata e cresciuta sotto le mura venete, non immaginava che la sua strada l’avrebbe portata così lontano. Eppure, quando la si ascolta parlare del Rwanda, sembra che il Paese africano le appartenga da sempre.
«Sono partita per Kigali a luglio 2024, per iniziare il mio anno di Servizio civile universale con Avsi. Dopo aver concluso questa esperienza a fine maggio 2025, sono stata assunta come Project manager dalla fondazione stessa. E da giugno 2025 sto seguendo un progetto finanziato dal ministero italiano dell’Ambiente e della Sicurezza energetica». Figlia di una famiglia bergamasca ben radicata - mamma notaio, papà consulente finanziario - Maria Allegra ha sempre avuto nel sangue il desiderio di esplorare il mondo.
Kigali, la Svizzera d’Africa
Il liceo scientifico al Mascheroni, la laurea alla Luiss di Roma, un master in antiterrorismo a Durham, un internship ad Harvard e poi ancora Parigi, alla scuola di Politica dove insegna Enrico Letta. Un curriculum costruito passo dopo passo, con la determinazione silenziosa di chi sa che la vita vera è spesso dove non te l’aspetti. E così, mentre aspettava di partecipare a concorsi per la carriera diplomatica o nei servizi di sicurezza nazionale, ha deciso di partire. Un viaggio che le ha cambiato la vita. «Vivere in Rwanda è stata e continua a essere una grande scoperta. Spesso in Europa si conosce solo il passato tragico del Paese, ma oggi il Rwanda è un modello africano di efficienza, ordine e sicurezza. Kigali, dove vivo, è una città estremamente moderna, con infrastrutture ben sviluppate, quartieri ordinati, strade pulite e un forte senso civico. Si parla spesso di Kigali come della “Svizzera d’Africa” - ed effettivamente, a volte mi sento più sicura qui che in alcune città italiane». Maria Allegra sorride quando racconta le domande curiose degli amici rimasti in Italia. «Molti mi chiedono, quasi preoccupati, se riesco a farmi una doccia o se ho accesso alla corrente elettrica: sorrido ogni volta, perché la mia realtà quotidiana non è poi così diversa da quella che vivevo a Bergamo. Certo, ci sono differenze, ma la vita a Kigali è molto più vicina agli standard europei di quanto si possa immaginare da fuori».
Ruhango, povertà e speranze
Ma la sua Africa non è solo Kigali. Il suo lavoro la porta spesso nel distretto rurale di Ruhango, tra terre aride e colline scolpite dal vento, dove la vita si misura in piccole conquiste quotidiane. «Il progetto a cui lavoro si sviluppa principalmente nel distretto rurale di Ruhango, una delle aree più povere, aride e colpite dalla deforestazione del Paese, dove ci occupiamo di clean cooking e riforestazione. Il mio ruolo è quello di coordinare le attività sul campo, organizzando missioni, supervisionando il lavoro dei partner locali, facilitando il dialogo con le autorità distrettuali e assicurandomi che le attività previste siano portate avanti nei tempi e nei modi giusti». Non sono solo numeri o statistiche. Nella sua voce si avverte la consapevolezza di chi ha visto il volto della povertà ma anche quello della speranza. «Collaboriamo con giovani cooperative locali che producono cucine migliorate: le abbiamo formate sul mestiere e ora cerchiamo di rafforzarne le competenze imprenditoriali, affinché siano capaci di proseguire in autonomia una volta concluso il progetto».
La povertà e la speranza
Racconta con semplicità l’impatto concreto del suo lavoro: «Non avrei mai pensato, per esempio, che la semplice consegna di un fornelletto potesse avere un impatto così ampio: non solo aiuta a cucinare in modo più sano e veloce, ma libera tempo per le donne, favorisce la scolarizzazione dei bambini e protegge l’ambiente riducendo l’uso di legna. È un piccolo gesto che si riflette su tanti livelli, e vederlo con i propri occhi è incredibilmente motivante». Dietro ogni fornelletto distribuito ci sono vite che cambiano. Bambini che possono andare a scuola invece di raccogliere legna. Donne che respirano meglio, che risparmiano tempo e fatiche. E foreste che possono rinascere. «L’obiettivo generale è duplice: da un lato, sensibilizzare le famiglie rurali sull’importanza di cucinare in modo più sicuro e pulito, con benefici diretti sulla salute, sull’ambiente e sulla qualità della vita delle donne; dall’altro, generare un impatto economico duraturo, aiutando le cooperative a diventare sostenibili nel tempo».
Il futuro? Magari all’Onu
Il Rwanda, però, è anche un Paese dove le differenze culturali si fanno sentire. «Naturalmente non mancano le sfide, soprattutto a livello lavorativo: sono l’unica expat in ufficio e spesso il confronto tra modelli culturali e approcci al lavoro è molto marcato. Ad esempio, il concetto di puntualità è piuttosto elastico e la comunicazione diretta, a cui ero abituata, lascia spesso spazio a dinamiche più lente e indirette. Ma anche queste difficoltà sono parte dell’apprendimento: sto imparando ad ascoltare, a essere paziente, a leggere tra le righe e a capire quando e come adattarmi senza snaturare il mio approccio». Ma il Rwanda sa anche sorprendere, con il suo calore umano e la sua capacità di far sentire a casa chi arriva da lontano. «Un aspetto che non mi aspettavo era di trovare così tanti italiani a Kigali. La comunità è molto più ampia e vivace di quanto pensassi, ed è formata da persone di tutte le età e professioni: si va dal settore della ristorazione alla cooperazione, dall’ingegneria alla costruzione. Mi ha fatto particolarmente sorridere scoprire quanti bergamaschi ci siano: alcuni di loro si trovano allo stadio a tifare per la nazionale del Rwanda, senza mai rinunciare alla sciarpa, alla bandiera o alla maglia dell’Atalanta. Un piccolo pezzo di casa portato con orgoglio ovunque».

Il legame con Bergamo
A Kigali, a Ruhango, in mezzo alle colline verdi o alle strade trafficate della capitale, Maria Allegra ha trovato un senso nuovo al suo cammino. Eppure, il filo rosso con Bergamo resta sempre intatto. «Vorrei anche ringraziare due persone che per me sono state fondamentali in questo percorso. La prima è Sonia Roma, la mia compagna di viaggio in questa avventura: siamo partite insieme per il Servizio Civile e la sua presenza mi ha fatta sentire come a casa, anche quando tutto era nuovo. La seconda è Maria Olivero, che ha seguito questo progetto prima di me e che mi ha formata e accompagnata durante tutto l’anno. È anche grazie a lei se oggi riesco a gestire le attività e affrontare le sfide del progetto con più consapevolezza». «Per il futuro, mi piacerebbe continuare a lavorare nella cooperazione, approfittando della mia giovane età e del desiderio di conoscere nuovi contesti. So che questo percorso comporta spostamenti frequenti e una certa instabilità, ma per ora è una sfida che sento mia. A lungo termine, sogno di poter contribuire anche in ambito più strategico o globale, magari in una agenzia delle Nazioni Unite, per unire la dimensione del campo a quella della politica internazionale».
Bergamo senza confini
Essere più vicini ai bergamaschi che vivono all’estero e raccogliere le loro esperienze in giro per il mondo: è per questo che è nato il progetto «Bergamo senza confini» promosso da «L’Eco di Bergamo» in collaborazione con la Fondazione della comunità bergamasca onlus. Per chi lo desidera è possibile ricevere gratuitamente per un anno l’edizione digitale del giornale e raccontare la propria storia. Per aderire scrivete a: [email protected].
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