Mattia, il triatleta formato a Brisbane
che insegna etica ai manager

«Sono da sempre un amante della natura, delle montagne e della neve. Inoltre, mi sono sempre interessato di problematiche sociali, credo principalmente grazie ai miei genitori e al loro lavoro nel campo della fiscalità ma anche dei diritti dei lavoratori». Mattia Anesa, 39 anni, originario di Gazzaniga, racconta così i motori principali che lo hanno spinto nel tempo a vivere in diverse parti del mondo, affrontando tantissime sfide e tutte diverse (ma da un triatleta, anche se non professionista, cosa aspettarsi?), fino a settembre 2013, quando si è trasferito a Brisbane, in Australia, e poi a Sydney, nel 2018, dove vive e lavora tuttora.

«Ho vissuto tante esperienze diverse nella mia vita. Dai 14 ai 17 anni, durante le vacanze estive, costruivo e installavo infissi nell’azienda di mio zio, poi ho lavorato nello studio di mio padre (commercialista). Dopo la maturità mi presi invece un anno sabbatico e nel frattempo lavorai come elettricista prima di partire per qualche mese per le montagne norvegesi per un’esperienza da cameriere. Al rientro in Italia, mi fu offerto un lavoro nell’organizzazione eventi sportivi (per la Coppa del mondo di sci alpino e per il Giro d’Italia) e accettai in parallelo agli studi. Nel 2008 andai a Melbourne per 3 mesi di volontariato con una Ong che si occupa di educazione ambientale. Esperienza riconosciuta come stage per la laurea triennale presso l’UniBg (laurea in Commercio Estero, conseguita nel 2008). Nel 2009 poi andai in Madagascar per un progetto di ricerca indipendente che mi impegnò nella verifica del rispetto di norme etiche dettate dalle Nazioni Unite di una multinazionale svizzera operante nell’industria del cemento e dopo andai proprio nel dipartimento delle Nazioni Unite (United Nations Global Compact, New York) che detta queste regole, per uno stage di sei mesi dove fui coinvolto nello sviluppo di un training online sulla prevenzione della corruzione per manager di multinazionali. Due esperienze, queste, parte del Master di ricerca in governance sostenibilità alla Norwegian University of Life Science, conseguito nel 2011, e che chiarificarono la mia passione per la ricerca e l’etica gestionale».

Dopo due anni da assistente ricercatore al Doughty Centre for Corporate Responsibility presso la Cranfield University, nel Regno Unito, però, Mattia ha sentito la mancanza dello sport e dei paesaggi in cui organizzava gli eventi. «Quindi nel 2012 mi dedicai di nuovo a entrambi, eventi e ricerca, e nel frattempo feci domanda per iniziare un dottorato sul tema dell’etica e fiscalità. Dopo il Giro d’Italia del 2013 mi trovai a un bivio: Rcs mi offrì di essere parte del team che avrebbe lanciato il Tour of Abu Dhabi, mentre l’University of Queensland (Brisbane, in Australia) mi offrì una borsa di studio per un dottorato in strategia e management (terminato nel 2018). Il resto è storia».

Una storia in cui Mattia non si è fermato un minuto, anzi. «Oltre all’interesse per la ricerca, il motivo per cui mi trasferii a Brisbane è la mia passione per il triathlon. L’università mi offrì una borsa di studio aggiuntiva per finanziare i costi relativi ai viaggi per competizioni nazionali e internazionali di mezzo Ironman in cambio di un video basato su una mia giornata tipo, tra allenamenti, studio e ricerca, che il direttore utilizzò per promuovere il campus di Brisbane all’estero. L’ambientamento fu facile, sia grazie alle numerose esperienze estere alle spalle, sia al gruppo di triatleti che incontrai al mio arrivo, un mix di studenti, lavoratori e accademici sia australiani che internazionali, che divennero la mia seconda famiglia e lo sono tutt’ora anche se non vivo a Brisbane da qualche anno. Durante gli studi, o meglio, durante gli allenamenti, conobbi la mia attuale partner Kate, una fisiologa dell’esercizio ed ex nuotatrice di livello nazionale che dopo la carriera professionale ha deciso di fare triathlon per tenersi in forma. Dopo aver conseguito il dottorato con un progetto di ricerca focalizzato sull’etica nelle strategie fiscali delle multinazionali ho fatto parte di un progetto di ricerca sulla la fiducia nelle organizzazioni senza scopo di lucro e nel 2018 mi venne offerta la posizione di docente di Etica nel dipartimento di strategia dell’University of Sydney, che occupo anche attualmente. Inoltre, insegno un corso di analisi critica e leadership di pensiero sul Master of business administration (Mba), frequentato da manager: in pratica insegno basi di logica ed etica derivanti da teorie filosofiche, sociologiche, psicologiche e antropologiche, che poi faccio applicare agli studenti nel loro campo lavorativo, con l’obiettivo di formare manager attenti a finalità che vanno al di là del profitto».

Nel futuro a lungo termine Mattia vorrebbe mantenere la propria posizione di docente in Australia per 7-9 mesi l’anno e passare il resto dell’anno come docente in un’università in Europa. Anche perché l’Italia gli manca. «Al me manca i mùc, la polenta, la formagèla e l’Atalanta. E il nostro dialetto. Mi mancano i paesaggi montani orobici (il panorama che si vede dal Bivacco Frattini, ma anche il Rifugio Brunone). Ho cercato negli ultimi anni di far combaciare il mio rientro con partite dell’Atalanta che ho avuto la fortuna di veder vincere con Everton e Dinamo Zagabria dagli spalti con mio padre». Un rientro nella bergamasca che però ora manca da un po’, causa pandemia. «Da dicembre 2019 non ho avuto l’opportunità di rientrare. La situazione Covid-19 non l’ho vissuta troppo bene. Ho perso anche mio nonno a inizio aprile 2020. La mia compagna, poi, stava lavorando in ospedale e fu assegnata al tracciamento del virus. Quindi entrambi cercammo di limitare il più possibile i contatti con altre persone per un senso di responsabilità personale, vedendo quello che stava succedendo in Europa. La situazione personale quindi era quella di isolamento e molto tempo per riflettere su una potenziale prospettiva di veder morire i miei familiari “in remoto”. In quel periodo ho contribuito alla realizzazione di un libro virtuale dove accademici di tutto il mondo parlano delle loro esperienze durante la pandemia».

Essere più vicini ai bergamaschi che vivono all’estero e raccogliere le loro esperienze in giro per il mondo: è per questo che è nato il progetto «Bergamo senza confini» promosso da «L’Eco di Bergamo» in collaborazione con la Fondazione della comunità bergamasca onlus. Per chi lo desidera è possibile ricevere gratuitamente per un anno l’edizione digitale del giornale e raccontare la propria storia. Per aderire scrivete a: [email protected] .

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