«Nelle campagne del Surrey
curo gli animali e formo veterinari»

Gaia Pagnoni, 31 anni da Martinengo a Frimley Green. Partita dopo la laurea, non è più tornata in Italia. «Fin dai primi passi valorizzata per le mie competenze». I suoi pazienti sono criceti, cavie, conigli e furetti. Ma anche cani, gatti, uccellini e qualche volpe. Il suo ruolo però non è solo quello di curare gli animali, ma anche di sostenere i medici appena laureati e aiutarli a fare le loro prime esperienze in corsia. Niente male per una giovane dottoressa di appena 31 anni, che se fosse rimasta in Italia, com’era nei programmi, oggi probabilmente vedremmo ancora circolare alla ricerca di un’occupazione stabile.

Il suo rammarico è di non potersi prendere cura di Ruggine, la gatta rossa che le ha fatto compagnia fin dai tempi del liceo e che papà Beppe ha voluto restasse con lui nella loro casa di Martinengo. Da tre anni e mezzo Gaia Pagnoni si è stabilita in Inghilterra, dove oggi vive nelle campagne del Surrey, a una cinquantina di chilometri dal centro di Londra.

Quella di Gaia è la storia di una vocazione, più che di una semplice passione, covata nel tempo ed esplosa a un paio d’anni dalla maturità artistica, conseguita al liceo Manzù di Bergamo. Decisa ad abbandonare bozzetti, disegni e sculture, Gaia si è lasciata ispirare dall’amore per gli animali e si è iscritta alla Statale di Milano, dove si è laureata in Medicina veterinaria. Dalla laurea al primo volo in Inghilterra, il salto è stato breve: «Era la primavera del 2018 – ricorda lei – e dopo aver sostenuto l’esame di Stato per diventare medico veterinario, ho avuto la possibilità di partire per l’Inghilterra grazie al programma “Erasmus +”».

La scelta è caduta su Guildford, una cittadina di quasi centomila abitanti, capoluogo del Surrey e nota in ambito medico perché ospita una clinica specializzata nella cura dei piccoli animali. In quell’estate di tre anni fa è successo a Gaia quello che spesso accade a tanti altri nostri connazionali che partono alla volta di una breve esperienza all’estero: «Nei miei programmi – spiega – c’era un soggiorno di due-tre mesi, giusto il tempo di introdurmi nel mondo del lavoro attraverso un’esperienza lontano dall’Italia che potesse in qualche modo rafforzare il mio curriculum. Tra l’altro, stavo già cercando lavoro in provincia di Bergamo». Questi i propositi ma la vita, si sa, a volte ti fa imboccare strade del tutto inaspettate, come quella che ha riservato alla giovane dottoressa bergamasca. «Durante la mia permanenza in Inghilterra – dice ancora Gaia – ho pensato che sarebbe stato utile iscrivermi all’Ordine dei medici veterinari inglesi. Non tanto perché avevo intenzione di rimanere, ma perché avrei potuto sfruttare meglio quell’occasione».

L’idea di trattenersi al di là della Manica è arrivata in realtà quando i motori dell’aeroplano che l’avrebbe riportata in Italia erano già praticamente accesi. «Il mio periodo in Inghilterra stava terminando – racconta Gaia – e così mi sono detta che forse avrei potuto cercare un posto qui». È bastato inviare un curriculum a una compagnia sudafricana, proprietaria di circa 300 cliniche veterinarie in tutto il Regno Unito, per trovare un posto di lavoro proprio nella cittadina del Surrey dove Gaia Pagnoni era appena approdata: «Mi avrebbero potuto mandare ovunque – ricorda – e invece si era liberato un posto proprio a pochi chilometri da casa. Ho iniziato a lavorare per alcuni mesi con un programma di formazione, insieme ad altri colleghi più esperti; ho acquisito esperienza e sicurezza e nel frattempo ho imparato a conoscere ed amare anche la città».

Pochi mesi di «praticantato» a Guildford, poi il trasferimento in una clinica di Frimley Green, dove lavora ancora adesso e dov’è stata assunta nel febbraio del 2019. «Oggi, a distanza di nemmeno tre anni – racconta Gaia Pagnoni – faccio da mentore agli studenti universitari e seguo i neolaureati nelle loro prime esperienze di lavoro».

Inevitabile, a questo punto, una riflessione su cosa sarebbe successo, se nell’estate di tre anni fa Gaia avesse preso quell’aereo per tornare in Italia: «Non so cosa sarebbe successo – dice –; certo in Inghilterra non esiste il tirocinio non pagato: in Italia un giovane laureato rischia di prendere 600 euro al mese, con cui non può mantenersi né tantomeno sperare di vivere da solo. La domanda ci sarebbe anche, ma spesso non incontra l’offerta proprio per motivi economici. Senza contare che per entrare in tante strutture servono ancora conoscenze e raccomandazioni. Se la mia famiglia e i miei amici fossero qui, l’Italia non mi mancherebbe neppure tanto, ma è chiaro che a qualcosa si deve pur sempre rinunciare». Oggi per amore Gaia Pagnoni ha rinunciato, per esempio, all’idea di aprire una clinica tutta sua: «Mi è stato proposto – dice – ma avrei dovuto trasferirmi in un’altra città e siccome nel frattempo ho trovato un fidanzato, in questo momento non sono pronta a trasferirmi; certo è un’opportunità che in futuro prenderò in considerazione».

Anche la figura del veterinario, in Inghilterra, è diversa rispetto all’Italia: «Da noi passa ancora il messaggio che sia un po’ a metà tra un mestiere e un’azione di volontariato – dice Gaia – ma non lo è affatto. Nonostante sia innamorata degli animali, questo è il mio lavoro ed è giusto che possa esercitarlo al meglio. Qui in Inghilterra quasi tutti hanno un’assicurazione per i loro animali domestici e questo fa sì che le persone siano disposte a pagare il giusto per guarirli, senza che il medico veterinario sia costretto a scegliere quale cura operare in base a un determinato budget a disposizione. In Italia, ancora troppo spesso le persone si rivolgono ai veterinari chiedendo, dopo una visita, “le devo qualcosa”?».

Presupposti che rendono quasi superflua la domanda, che pure rivolgiamo a Gaia: immagini di rientrare un giorno in Italia? «Se dovessi tornare, anche con l’esperienza che ho maturato in questi anni, so che lo stipendio sarebbe molto più basso e che farei fatica a trovare una posizione come quella che ricopro qui. Purtroppo, o cambia la mentalità, altrimenti non c’è paragone: resto qui, d’altronde non è giusto sentirsi frustrati perché non si riesce a fare bene il proprio mestiere».

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