Pesista e discobolo: «Grazie all’atletica
porte aperte nell’ateneo Usa»

LA STORIA. Gioele Tengattini a 21 anni studia Ingegneria chimica all’Università dell’Idaho e ormai da 2 anni vive a Moscow. L’impegno in Nazionale nel 2023 e il sogno americano.

Gioele Tengattini è un giovane pesista e discobolo, ha 21 anni e un bagaglio di esperienze che molti coetanei possono solo immaginare. Nato a Seriate l’11 maggio 2004, cresciuto tra Stezzano e Grassobbio, oggi vive da due anni a Moscow, in Idaho, una cittadina americana lontana migliaia di chilometri dalle piste dell’Atletica Bergamo e dalla pizzeria Ghiottone dove ha fatto il suo primo lavoro. La sua è una storia di sacrifici e scelte nette, costruita metro dopo metro, come un disco che prende il volo dopo la rincorsa. «Sono partito ad agosto 2023, dopo essermi diplomato all’istituto tecnico Giulio Natta di Bergamo, per frequentare l’Università dell’Idaho. Studio Ingegneria chimica, ho una borsa di studio che copre tutte le spese, circa 40 mila dollari all’anno, grazie ai miei risultati scolastici e sportivi. Non potevo farmela scappare».

La borsa di studio Usa

La partenza è stata un salto nel buio: «Ero solo, era la mia prima vera esperienza all’estero. L’inglese mi spaventava perché non lo conoscevo molto bene, ma dopo un paio di mesi riuscivo a farmi capire e tutto è diventato un po’ più semplice». A spingerlo oltre oceano, oltre alla possibilità concreta di combinare sport e studio, è stato il desiderio di crescita. «In Italia, purtroppo, è difficile conciliare un percorso universitario impegnativo con l’attività sportiva ad alto livello. Qui tutto è pensato per far funzionare entrambi: lezioni al mattino, allenamenti al pomeriggio, strutture moderne e facilmente accessibili. È faticoso, ma non è un peso». Nel primo semestre, da agosto a dicembre, l’atletica resta in secondo piano per dare spazio allo studio.

Da gennaio in poi inizia la stagione sportiva, con gare quasi ogni settimana. «Si viaggia molto, spesso anche in altri Stati come Oregon, Montana e California. È stimolante, ma anche impegnativo. Nella scorsa stagione mi sono classificato quinto alla Conference nel lancio del

«L’inglese mi spaventava perché non lo conoscevo molto bene, ma dopo un paio di mesi riuscivo a farmi capire e tutto è diventato un po’ più semplice»

disco e diciannovesimo a livello nazionale tra i ragazzi del primo anno. Un risultato che mi ha dato fiducia». La scintilla per l’atletica si è accesa alle scuole medie, quasi per caso. «Durante una lezione di educazione fisica il mio professore, Ivan Bassis, ci fece provare il getto del peso. Me la cavavo bene e mi portò alle gare studentesche. Fu lì che mi notò l’Atletica Brusaporto (con Achille Ventura come presidente e affiliata come settore giovanile all’Atletica Bergamo), e iniziai ad allenarmi seriamente. In parallelo giocavo a calcio, come portiere, ma presto ho scelto di concentrarmi solo sull’atletica».

L’impegno in Nazionale

Il talento di Gioele non tarda a farsi notare: argento ai campionati italiani cadetti (under 16), medaglie nel peso e nel disco, il debutto con la nazionale italiana nel 2023 a Liévin. «Quella

gara è stata la svolta. Ho capito che volevo provare a diventare un professionista. Senza quell’esperienza forse non avrei mai avuto il coraggio di partire». A sostenerlo nel percorso, due allenatori: Marco Duca, nella prima fase della carriera, e Guido Sgherzi, che oggi lo segue a distanza, con pazienza e metodo. Intanto, la vita americana procede tra soddisfazioni e qualche difficoltà. «Il sistema universitario qui mi piace: è più distribuito, ci sono compiti settimanali, crediti per la presenza e più appelli. Questo aiuta a non farsi travolgere. Anche a livello sportivo, la media è altissima: magari i top player sono equivalenti a quelli italiani, ma qui il numero di atleti bravi è molto più alto. E questo ti stimola a migliorare». E aggiunge: «La mia stagione sportiva l’anno scorso è andata molto bene dato che nel lancio del disco mi sono posizionato quinto alla Conference (una specie di campionato di tutte le scuole nei 4 stati vicini a noi) e tra i ragazzi del primo anno ero diciannovesimo in tutta America nel lancio del disco».

Vivere in Idaho non è tutto rose e fiori

«A Moscow non c’è molto da fare. Il primo anno l’ho passato nei dormitori, ora vivo in un piccolo appartamento vicino al campus. La solitudine si fa sentire, soprattutto nei momenti morti» racconta Gioele Tengattini. E poi c’è la cucina. «Il primo anno, vivendo nel dormitorio, mangiavo in mensa ed è stato uno shock passare dal cibo italiano a quello della mensa universitaria americana. Ora che vivo da solo posso cucinare da solo e va meglio, ma la cucina italiana resta davvero lontana». Anche la distanza dagli affetti pesa. «Mi mancano la mia famiglia, i miei amici. Il fuso orario (9 ore) rende complicato sentirsi. Il mio pomeriggio coincide con la notte in Italia, quindi spesso ci sentiamo solo con messaggi. Ho perso alcuni legami, e fa male. È il lato più duro di questa esperienza».

Gli studi in Ingegneria

Per fortuna Gioele riesce a tornare a casa due volte l’anno: a Natale e durante l’estate. «Sono momenti fondamentali, che mi ricaricano. Ma ogni volta ripartire è difficile». Durante i mesi americani, mantiene i contatti attraverso messaggi e videochiamate, ma non è la stessa cosa. «Una chiamata può aiutare, ma non sostituisce una cena insieme o una passeggiata in centro. Ho capito quanto contino certi piccoli gesti che prima davo per scontati».

Oltre allo sport e allo studio, Gioele si è trovato anche a dover imparare a vivere da solo, con tutte le difficoltà pratiche e psicologiche che questo comporta. «Gestire tutto in autonomia ti fa crescere, ma ti mette anche alla prova ogni giorno. Dall’organizzazione dei pasti alla gestione del tempo, non puoi contare su nessuno. E questo ti cambia». Nel frattempo, Gioele continua ad allenarsi e a studiare con determinazione, tenendo lo sguardo fisso sul futuro. «Il mio obiettivo è diventare un atleta professionista in Italia, magari entrando in un corpo d’arma. Vorrei affiancare a questo un lavoro part-time come ingegnere chimico. Come piano B, se le cose andassero diversamente, potrei restare qui e lavorare a tempo pieno come ingegnere. Un ingegnere chimico può guadagnare anche 100.000 dollari l’anno fin dalla prima esperienza». Il legame con l’Italia resta fortissimo. «Anche se restassi qui per motivi economici, non mi vedo vivere tutta la vita lontano da casa e dalla Bergamasca. Vorrei tornare, magari dopo qualche anno, con un lavoro che mi consenta di passare parte dell’anno a casa o anche la maggior parte dell’anno. Lì vedo la mia vita, lì vorrei invecchiare».

Oggi, quando lancia il disco in una gara universitaria americana, Gioele porta con sé molto più di una tecnica affinata: porta l’eco di una voce bergamasca che lo ha spinto a provarci, la memoria di una pizzeria dove si guadagnava i primi stipendi, le giornate a Brusaporto e i messaggi spediti con nove ore di fuso. Ogni metro in più è un passo verso un sogno costruito con tenacia. E mentre la pedana gira sotto i piedi, lui resta ancorato a quelle radici che dalla provincia di Bergamo lo hanno spinto fino all’altra parte del mondo, a cercare una strada, senza mai perdere la direzione di casa.

Bergamo senza confini

Essere più vicini ai bergamaschi che vivono all’estero e raccogliere le loro esperienze in giro per il mondo: è per questo che è nato il progetto «Bergamo senza confini» promosso da «L’Eco di Bergamo» in collaborazione con la Fondazione della comunità bergamasca onlus. Per chi lo desidera è possibile ricevere gratuitamente per un anno l’edizione digitale del giornale e raccontare la propria storia. Per aderire scrivete a: [email protected].

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