Anna, volata in cielo a soli sette mesi
Il suo amore continua a scaldarci

Vittima di un tumore raro. La famiglia: il ricordo ci arricchisce. In sua memoria un premio letterario.

Il primo movimento di un bambino nella pancia della mamma è come un battito d’ali di farfalla. Una vibrazione delicata, ma capace di scatenare una tempesta. È un’immagine che descrive bene le emozioni dei genitori nei mesi dell’attesa. Fin da quel momento, in un modo profondo e misterioso, capiscono che, come scrive Massimo Recalcati, «Il compito del figlio è diventare una poesia, cioè diventare qualcosa che non era previsto». Così è stato anche per Anna Francesca Trevisan: nata con un tumore raro, è volata in cielo quando aveva solo sette mesi. Quel periodo per la mamma Silvia, il papà Alberto e i quattro fratelli Matteo, Chiara, Luca e Sara, è stato «una continua corsa sulle montagne russe». Neanche per un solo minuto, però, hanno rinunciato alla speranza, si sono lasciati guidare da lei, «una bambina sempre sorridente». Così Anna è riuscita a compiere, anche in una vita così breve, il suo piccolo miracolo: continua ad essere presente come un dono per la sua famiglia, per gli amici, per tutti quelli che sentono raccontare la sua storia. In sua memoria ora è nato un premio letterario, che segue il tema della rassegna Molte fedi sotto lo stesso cielo: «In mare aperto. Abitare l’incertezza, ripensare il futuro» (bando e info su www.moltefedi.it, premioannafrancesca@gmail. com).

«Abbiamo sempre sognato di avere una famiglia numerosa - racconta Alberto - abbiamo quattro figli, due maschi e due femmine, il più grande frequenta la seconda liceo e la più piccola la terza elementare. Anna è la quinta, ed è nata il 4 ottobre di un anno fa. La gravidanza è andata bene, non immaginavamo che la nostra bimba potesse avere problemi di salute. Mia moglie aveva scelto di partorire con un cesareo proprio per essere più tranquilla».

Subito dopo la nascita, però, Anna ha mostrato uno stress respiratorio: all’inizio Alberto e Silvia speravano che fosse un problema temporaneo, e che tutto potesse risolversi, purtroppo non è stato così: «L’hanno trasferita in terapia intensiva all’ospedale Papa Giovanni XXIII e l’11 ottobre è stata sottoposta alla prima risonanza magnetica. È emerso che c’era una massa nella zona cervicale. Si è capito subito che doveva essere un tumore». Così una settimana dopo la nascita Anna è stata sottoposta alla sua prima chemioterapia e a tanti esami di approfondimento. «Quando ci siamo incontrati con gli oncologi pediatrici, il 25 ottobre - continua Alberto - gli specialisti hanno iniziato il loro discorso con il fatidico “purtroppo” che non avremmo mai voluto sentire. Ci hanno parlato di malattia, di percentuali di sopravvivenza», e ad ogni frase Silvia e Alberto perdevano un pezzo di cuore. Si sono fatti coraggio: «Ci siamo fidati dei medici, che non hanno lasciato nulla di intentato. La malattia era aggressiva, lei era troppo piccola, la posizione era infelice, su di noi, insomma, si è scatenata una tempesta perfetta. Ma ci siamo impegnati al massimo».

Lo scenario cambiava continuamente, facendo sperimentare alla famiglia Trevisan una sensazione costante di fragilità: «A volte gli esami sembravano incoraggianti, poi all’improvviso le condizioni di Anna crollavano. Lei doveva affrontare cicli di chemioterapia e poi trasfusioni per riprendersi». Erano come equilibristi sospesi su un filo sottile di speranza: «Abbiamo accettato di farci aiutare, sia dal nucleo familiare più stretto sia dagli amici e dal personale dal Papa Giovanni. Abbiamo capito che per noi il problema non era Anna ma la nostra intera famiglia, che aveva bisogno di continuare a vivere. Abbiamo cercato nuove strade per incanalare le emozioni e lenire la disperazione che provavamo di fronte a ogni nuovo ostacolo. Non potevamo permetterci di mandare all’aria tutto quello che avevamo costruito fino a quel momento con i nostri ragazzi».

All’ospedale Alberto e Silvia sono stati affiancati anche dai volontari dell’Associazione «Amici della pediatria»: «Abbiamo capito che potevamo accettare di non essere per tutto il tempo con Anna nei suoi periodi di ricovero. I volontari coprivano per esempio alcuni turni al mattino per permetterci di stare con gli altri figli e di accompagnarli a scuola, mentre un infermiere, Ilie, che di fatto è diventato parte della nostra famiglia, copriva i turni di notte. Fra le eccellenze del Papa Giovanni abbiamo incontrato la dottoressa Simona Lorenzi, assistente sociale, che ci ha aiutato a costruire intorno a noi una rete di sostegno. Nonostante questo, ovviamente, la nostra vita non poteva essere del tutto normale. Abbiamo cercato di essere sinceri con i nostri figli, compatibilmente con la loro età. Non gli abbiamo tolto tutte le speranze, perché non ci sembrava giusto, ma nemmeno abbiamo regalato illusioni. Abbiamo cercato di salvaguardare la quotidianità, e grazie alle persone e ai professionisti che avevamo accanto ci siamo riusciti».

L’ospedale ha indicato loro come luogo di supporto la casa Amoris Laetitia, della Fondazione Angelo Custode, comunità della Fondazione Angelo Custode dedicata ai bambini più fragili, con situazioni sanitarie complicate e disabilità gravi: «All’inizio non volevamo accettare che Anna fosse trasferita lì tra un ricovero ospedaliero e l’altro, perché avevamo la sensazione che fosse una specie di Hospice, dove portarla in attesa che arrivasse la morte. In realtà sin dalla prima visita ci siamo accorti che quel luogo era speciale, accogliente come una casa. Siamo rimasti colpiti dalla cura e dalla dedizione del il personale. Così ci siamo fidati. Non abbiamo trovato solo un forte supporto medico, di cui pure avevamo bisogno, ma anche un appoggio psicologico e spirituale, che si è esteso a tutta la famiglia. Ci siamo sentiti abbracciati da una rete di persone che a nostra figlia hanno dato il meglio».

In mezzo a tanto buio, Silvia, Alberto e i loro figli hanno raccolto la luce del sorriso di Anna: «Per noi - sottolinea la mamma Silvia - è stata un grande dono e abbiamo accettato di condividerlo con le persone che si sono prese cura di lei, con chi ci è stato vicino. Lei ha saputo far emergere le migliori qualità di tutti. Era splendida, nonostante la sua situazione era felice e serena e verso di lei c’era un amore elevato all’ennesima potenza, che a modo suo ha restituito». La sua morte non ha rappresentato la fine: «Noi abbiamo accettato di aprirci, di raccontare la sua storia agli amici della nostra comunità di Castel Rozzone, alla quale siamo molto legati. Abbiamo pubblicato anche alcuni post sui social ma in modo delicato, per tenere al corrente familiari, amici e conoscenti e abbiamo visto che hanno suscitato una forte partecipazione. Lei è diventata così la bambina di tutti, tanti pregavano per lei e continuano anche adesso che non c’è più. Questo ci ha fatto capire che Anna era destinata a qualcosa di più grande ed è stata come un seme, come un piccolo miracolo di cui siamo stati partecipi».

A febbraio il coronavirus ha segnato in modo pesante anche la vicenda di Anna e della sua famiglia: «È stata una nuova tempesta – osserva Alberto -, ci ha reso difficile stare vicini. Nostra figlia purtroppo ha anche preso il virus, ma non le ha provocato particolari complicazioni. Ha dovuto essere isolata e la mamma è rimasta con lei in ospedale, mentre io ero a casa con i ragazzi, e così la pandemia ci ha tolto il nostro asso nella manica, poter combattere restando uniti. Abbiamo dimenticato la bellezza degli abbracci. Abbiamo dovuto trascorrere il mese di marzo separati. Poi, il 7 aprile, alla risonanza magnetica di controllo è risultato evidente che il tumore non poteva più essere fermato, non c’era più nulla da fare. È stato il momento più difficile, la nostra bambina peggiorava, la sentivamo scivolare via. La casa Amoris Laetitia ci ha aiutati a starle accanto fino alla fine».

Proprio alla vigilia di un nuovo ciclo di chemioterapia Anna ha avuto una grave crisi: «Eravamo spaventati dall’idea che dovesse trascorrere i suoi ultimi momenti sola in ospedale, fortunatamente non è stato così. Tutti abbiamo potuto stare con lei, i fratelli hanno potuto salutarla. Quando ci ha lasciato, il 25 aprile, eravamo circondati dall’amore e dalla preghiera di tante persone, e da tutto il personale della Casa Amoris Laetitia. Questo ha fatto la differenza, ci ha fatto capire che non tutte le morti sono uguali; tutti avrebbero il diritto di essere accompagnati come la piccola Anna. Quando l’abbiamo condotta a casa, a Castel Rozzone, la gente ha seguito a distanza il suo passaggio salutandoci dalle finestre e lasciando fiori bianchi sulla strada».

Silvia e Alberto hanno sempre considerato cultura e istruzione come valori fondamentali per la loro famiglia: «Tutti i nostri figli – osserva Silvia - potranno seguire il corso formativo che desiderano e così sarebbe stato anche per Anna. Non potendo offrirlo a lei, abbiamo pensato di donarlo a qualcun altro. Per questo ci è venuto in mente di organizzare un concorso letterario come occasione generativa. Anna ci ha spinto a creare relazioni, ci ha aiutato a costruire ponti: il concorso offre continuità a questo cammino», stimolando la creatività dei ragazzi. «Molte fedi – conclude Alberto – è un’iniziativa a cui partecipiamo da tempo, promuovendo gruppi di lettura nella nostra zona, ci sentiamo in sintonia. Il tema è vicino alla nostra vita e a quella di tanti altri in questo momento. Ci aspettiamo di scoprire un patrimonio di buone idee e pensieri, che poi condivideremo con una pubblicazione. Anche questo è un modo per costruire ponti, come Anna ci ha insegnato»

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