«Ciao Elio, anche i nemici ti amavano»: il ricordo di Carminati

Il ricordo di Carminati, il collega Lesi: «Vent’anni insieme, ci rispettavano anche i “nostri” arrestati». Ricciardi: «Nascosti in ambulanza vestiti da infermieri, ma li prendemmo». L’ex pm Pugliese: «Grande sensibilità».

Se si potesse riassumere in poche parole l’essenza di una persona, Elio Carminati sarebbe il poliziotto dal volto umano. Chi lo ha conosciuto ha tante storie da raccontare: aneddoti di lavoro, indagini, arresti, le domeniche allo stadio quando c’era davvero da aver paura. Ma alla fine, di lui resta una lezione impareggiabile: si può essere un poliziotto integerrimo, far rispettare la legge, prendere i cattivi ma ricordandosi sempre che si tratta di persone che meritano di essere trattate con umanità. E questo suo lato del carattere, l’umanità, glielo riconoscono per prime le persone che sono state al di là della barricata, quelle a cui ha dato la caccia in tutta la sua carriera: «Quando siamo andati in pensione, a volte è capitato che ci fermassero per strada le persone che avevamo arrestato, i “nostri clienti”, li chiamavamo, per fare quattro chiacchiere – conferma il suo storico collega Stefano Lesi, compagno per vent’anni alla squadra Mobile – perché nonostante tutto ci portavano rispetto».

«Abbiamo fatto la guerra agli ultrà, ma mai con cattiveria» ribadisce Vincenzo Ricciardi, ex questore che negli anni Ottanta portò alla Mobile Carminati quando lui ne era dirigente. «Perché essere un poliziotto umano non vuol mica dire fesso, eh» sottolinea. E ricorda che «quando a quei tempi le partite dell’Atalanta erano un problema, lui era sempre accanto a me. Non è mai mancato una domenica, io ero uno di quelli che non indietreggiava e avere lui al mio fianco era una sicurezza».

Già, perché Elio Carminati, con la sua stazza, incuteva timore anche da 50 metri di distanza. «Quando c’era da aprire una porta e qualcuno chiedeva un piede di porco, io gli dicevo: Elio va’, è il tuo momento. Ma oltre alla forza aveva delle qualità uniche: fedele, riservato, sensibile, era uno dei miei più stretti e fidati collaboratori. Tra noi c’è sempre stata una stima e un affetto reciproci». Tanti i chilometri macinati a piedi e in auto, gli appostamenti, le persone da ascoltare negli anni in cui Carminati è stato alla Mobile. Anni in cui il lavoro era diverso e la criminalità era per lo più nostrana. «Mi ricordo un appostamento fuori dall’ospedale che allora si chiamava Maggiore, per un’indagine su un’estorsione – ricorda Ricciardi –. Eravamo su un’ambulanza, io vestito da portantino e lui da autista. Alla fine, però, li abbiamo presi».

«Forte anche nella malattia»
Difficile pensare che «Mazinga» non ci sia più, che abbia trovato un avversario più forte di lui. Si fa fatica a crederlo, che se lo sia portato via in così poco tempo. «La diagnosi a giugno, ed è stato uno choc – racconta Lesi – ma non si è lasciato abbattere. Mi ha detto: voglio combattere fino alla fine con tutte le mie forze. Non posso credere che sia morto. Ci sono delinquenti che vivono duemila anni e non è giusto che Elio sia in una bara». Durissima vederlo così, per chi lo ha conosciuto: «Negli ultimi mesi non ce la facevo a sentirlo così, chiamavo sua moglie per sapere come stava. Non volevo ricordarlo sofferente» spiega Ricciardi.

«L’ho visto l’ultima volta venerdì – confida Lesi – io come sempre lo prendevo in giro, lui non riusciva a ridere ma sorrideva. Ieri (lunedì, ndr) sono andato a trovarlo ancora ma dormiva, non sono più riuscito a parlargli. Abbiamo passato vent’anni di vita insieme, praticamente più che con le nostre fidanzate e mogli. Non c’era bisogno di parlare, ci si capiva al volo e si portavano a casa grandi risultati. Per gli altri eravamo “quello grande e quello piccolino”, anche se io sono alto 1,70. Ma lui era talmente grosso che al suo confronto sembravo minuscolo. Allo stadio eravamo in due ma vedevano lui. Tra noi invece ci chiamavamo “i rimbambiti”, la “squadra Inps”, era un continuo prendersi in giro. Di indagini insieme ne abbiamo fatte tante ma erano indagini di tutti i giorni, mica abbiamo preso Totò Riina: noi arrestavamo lo spacciatore, il rapinatore, il tifoso violento. Dentro di noi sentivamo lo spirito del poliziotto di quartiere, il servizio al cittadino, la voglia di ripulire la città da certe situazioni e i risultati li abbiamo fatti perché abbiamo sempre lavorato bene insieme. Abbiamo anche avuto discussioni sul lavoro, certo, ma non abbiamo mai litigato, nessuno screzio tra noi».

«Rigoroso, ma sempre umano»
Elio Carminati era anche generoso e sempre pronto ad aiutare gli altri: «Per far capire com’era basta raccontare un episodio – ricorda l’ex pm Carmen Pugliese –. A novembre sono caduta in casa e lui, nonostante stesse facendo la chemioterapia, ha voluto a tutti i costi accompagnare in ospedale me e mio marito per una visita di controllo. Se avevi un problema lui ti aiutava a risolverlo. Aveva doti professionali indiscusse, riuniva in sè il rigore dell’uomo delle istituzioni e l’umanità e la sensibilità che bisogna avere nel nostro lavoro. Gli volevano bene anche quelli che aveva arrestato. Aveva un estremo rispetto per gli altri, ci conoscevamo da trent’anni e ci davamo del tu, ma quando arrivava in Procura mi chiamava dottore, anche se non c’era nessuno. Mi veniva quasi da ridere ma lui era così. Sua moglie è stata mia testimone di nozze (il 5 ottobre scorso, ndr) ed è stata una gioia infinita vederlo in chiesa, anche se era malato. Del tumore ne parlava, e aveva una grande voglia di combatterlo, ma sfortunatamente non sono cose che puoi combattere come arresti un criminale». L’ultima visita prima di Capodanno: «Poi non l’ho più visto perché non volevo ricordarlo in quel modo, ci mandavamo dei messaggi».

Con Carminati se n’è andato anche un genere di poliziotto che non esiste più. «Mi ricordo l’omicidio di un’anziana in casa in via Torretta – continua Pugliese – quando l’abbiamo vista è scattata la ferma volontà di trovare il responsabile. Ed Elio lo ha trovato: sapeva come muoversi nell’ambiente, parlava con la gente, non si chiudeva in una sala intercettazioni come si fa oggi. Allora non c’erano i cellulari, si andava in giro, si sentivano le persone, si parlava con quella giusta e si riusciva a risalire al colpevole. Quando andavamo a cena ci piaceva ripercorrere tanti vecchi aneddoti, ricordare le nostre indagini, ma gli dicevo: abbiamo fatto bene ad andare in pensione, anche se lui all’inizio aveva un po’ di nostalgia del suo lavoro. Ma ormai i tempi erano cambiati, il lavoro era cambiato».

La salma di Elio Carminati è composta alla Casa del commiato di via San Bernardino 139: martedì c’è stato un continuo viavai di parenti, amici, colleghi, conoscenti. I funerali saranno celebrati giovedì alle 10 nella chiesa di San Paolo da don Alessandro Locatelli.

«Se il mondo fosse abitato da persone come lui non ci sarebbe bisogno della Polizia – commenta Lesi –. La sua è stata una vita difficile, ha perso il papà e la sorella da giovane e si è sempre occupato della mamma da solo. Poi si è creato la sua bellissima famiglia con la moglie Stefania e la figlia Paola, che adorava. Ma si era sempre speso per aiutare gli altri, chiunque ne avesse bisogno. Prima di Natale eravamo soliti organizzare una cena tra amici ed ex colleghi e mi aveva detto: che peccato, per il Covid e la mia malattia quest’anno non riusciamo. Ma la faremo di sicuro l’anno prossimo». L’anno prossimo magari la cena si farà e si brinderà a Elio, il poliziotto dal volto umano, il gigante buono della questura, il collega fidato e l’amico generoso che ha lasciato il segno in tutti quelli che lo hanno conosciuto, al di qua e al di là della barricata.

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