Cinzia, «bed manager» al Papa Giovanni
«Sempre alla ricerca dell’ultimo posto letto»

Al Papa Giovanni Cinzia Capelli, «Bed manager», figura unica in Italia, fa la spola tra il Pronto soccorso e i reparti: «La solitudine dei malati spezza il cuore anche a noi»

Cinzia Capelli è la «bed manager» dell’ ospedale Papa Giovanni XXIII, la prima e l’ unica in Italia. Tecnicamente è chi trova un letto per il malato che lascia il Pronto soccorso per approdare in reparto. In pratica è molto di più. È rassicurare il paziente, trovare per lui un posto sicuro, nel minor tempo possibile, dove sarà accolto, accudito e curato, facendo da collante tra medici e reparti. In questi giorni di emergenza, di letti la bed manager ne ha dovuti trovare a centinaia. E in fretta.

Il peso sul cuore è grande, ma si va avanti con il sorriso, sperando che domani sia un giorno migliore: «Ieri (martedì per chi legge, ndr) per noi del Pronto soccorso è stata una giornata tutto sommato positiva - racconta Capelli -. Abbiamo avuto un minore afflusso rispetto agli altri giorni, al terzo quartile (al 75% della capacità, ndr). Abbiamo avuto la possibilità di parlare un po’ di più con i pazienti e dopo 32 giorni di emergenza, con un turno che inizia alle 6 e finisce alle 21-22, siamo riuscite a bere un caffè tra colleghe. Ci siamo scambiate un sorriso, una parola. Ho anche potuto ringraziare i coordinatori dei reparti per i posti letto che mi stavano dando, nei giorni passati dicevo loro di fare in fretta e basta. Ma non è assolutamente il tempo per festeggiare, lo dico anche ai cittadini, continuate a stare a casa, solo così potete aiutarci».

Cinzia Capelli vive nella bolla dell’ emergenza insieme ai colleghi, trascinata dall’ adrenalina, con la mente lucida per affrontare anche i momenti più cupi: «Le giornate peggiori sono state le prime, non per il numero elevato di pazienti ma perché capivamo che ci trovavamo davvero in un’ emergenza - racconta la bed manager -. Si è generato un senso di impotenza che però non ci ha demoralizzato. Abbiamo subito convocato l’ unità di crisi e abbiamo pensato in modo pro-attivo alle misure che avremmo potuto mettere in atto. Ci sconfortava però il fatto che la popolazione non capisse ciò che stava accadendo: in questo senso ci siamo sentiti soli davanti al montare dell’ emergenza e anche un po’ amareggiati».

Mentre dentro l’ ospedale si allestivano reparti Covid-19, fuori c’ era ancora chi faceva jogging in compagnia. Intanto al Pronto soccorso la pressione aumentava: «Abbiamo avuto 100 persone in contemporanea da gestire» ricorda Capelli. E ci si è trovati davanti ad un nemico sconosciuto. Al Pronto soccorso la morte è un’ assidua presenza, la si affronta nella forma più cruda. Ma il coronavirus ha trovato i sanitari emotivamente disarmati: «La cosa che fa più male è la solitudine - confida Cinzia -.

In questo momento si soffre e si muore da soli: noi cerchiamo di essere un ponte con la famiglia, però sappiamo cosa vuol dire non poter tenere la mano al proprio caro, non poterlo salutare. È terribile anche per noi».

Il fardello emotivo per ora è sospeso negli animi dei sanitari, impegnati a dare risposte sul fronte: «Sicuramente ci ha aiutato la scelta dell’ ospedale di istituire la figura del bed manager, primo in Italia ad introdurla cinque anni fa per rispondere alle esigenze di un Pronto soccorso che già normalmente registra numeri molto alti - spiega Capelli -. È una figura abituata a trovare soluzioni rapide a problemi crescenti, mettendo ordine a ciò che può sembrare caos.

Con l’ emergenza Covid continuiamo a fare il nostro lavoro, ma con più pressione. È stata fondamentale la macchina organizzativa che si è messa in moto: per trovare letti abbiamo svuotato i reparti di degenza, questo è stato possibile soltanto grazie alla grande collaborazione con l’ Istituto Palazzolo, che ora sta accogliendo anche pazienti Covid, e grazie alla clinica San Francesco. Una volta convertiti i reparti abbiamo reperito il personale, con uno straordinario spirito di squadra e sacrificio. Siamo addirittura riusciti ad abbreviare i tempi tra l’ arrivo in Pronto soccorso al reparto».

Paura di contagiarsi «non c’ è mai stata» assicura la bed manager, «solo del sano timore, la paura fa fare errori. Abbiamo le dotazioni di sicurezza che ci servono, siamo tranquilli». Il pensiero però corre in là. A quando tutto questo sarà finito: «Ne parliamo tra colleghi. Ci vorrà un momento per resettare tutto, vivere in emergenza 24 ore su 24 da oltre 30 giorni è difficile». Stremati dal punto di vista fisico e psicologico: «La centrifuga è forte» dice secca Cinzia Capelli. Che invita tutti a «rendere prezioso questo dolore. Lo dico da persona molto pragmatica: spero davvero che tutti si prendano del tempo per ripensare alla vita. Forse abbiamo esagerato in qualcosa e forse è tempo di costruire una normalità più umana, più consona ai ritmi della natura».

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