Giovani medici in trincea al Papa Giovanni
Le testimonianze: diamo il meglio di noi

In prima linea a fianco dei colleghi più esperti lavorano all’ospedale Papa Giovanni di Bergamo. «Un’esperienza che ci resterà dentro, certe cose sui manuali non ci sono».

Quest’emergenza non stava sui manuali. Il «campo» è una scrivania, il reparto la loro aula. Per i giovani e anche per chi è in servizio da molti più anni, il Covid-19 ha stravolto tutto. La routine della lotta alla pandemia è un banco di prova che vede in prima fila anche i camici bianchi più «freschi». «No, sono cose che non si trovano sui manuali», sospira Roberta Biza, 27 anni, specializzanda in Pneumologia, al lavoro all’ospedale Papa Giovanni: «Non avrei mai pensato di vivere una situazione simile, così di punto in bianco. Siamo rimasti spiazzati».

Giorni, settimane, probabilmente mesi che incideranno indelebilmente nel proprio percorso di formazione: «Viviamo una routine dinamica – prosegue Biza –. La paura è di non poter fare abbastanza, di non essere all’altezza. Ma alla fine di ogni turno si vede che ognuno tira fuori il meglio di se stesso, nessuno si tira mai indietro. La fortuna, soprattutto per i più giovani, è avere colleghi molto disponibili che sanno darti un appoggio fondamentale».

Ogni ospedale è attraversato dal costante sommovimento del lavoro. Ricalibrare le strategie, perfezionare l’organizzazione, coinvolgere nuovi professionisti. Ognuno dà un contributo, anche quei medici che arrivano da specialità ben distanti dalle malattie respiratorie. Dietro le quinte dell’emergenza c’è allora un lavoro straordinario di formazione: «Più ci penso e più è incredibile pensare a come tanti pneumologi, infettivologi e anestetisti si siano messi a tenere corsi oltre a dedicarsi incessantemente alla cura dei malati e alla ricerca – spiega un giovane ortopedico del Papa Giovanni –. È complicatissimo, e uso una metafora per farlo capire: è come se un padre di famiglia debba cambiare una lampadina e contemporaneamente spiegarlo al figlio, poi a tutta la famiglia». Il rapporto con i colleghi di più esperti non soffre di soggezione: «Arrivi e non ti senti inadeguato – prosegue –. Grazie a questa formazione, tutti durante ogni briefing sanno di cosa si stia parlando».

Dall’altro lato, c’è la necessità di continuare a garantire le più attente prestazioni anche agli altri pazienti. Con una premessa: «Le emozioni si cerca di tenerle da parte: se ci si lascia alle emozioni, e in questi giorni sono tante e pesanti, può diventare un problema», riflette Marco Corvino, 34enne ortopedico al Papa Giovanni, che si divide tra i traumi e i malati Covid. Una provocazione: ma ci sono ancora fratture, nel pieno dell’emergenza da coronavirus? La riorganizzazione della sanità lombarda ha fatto sì che i politraumi vengano prevalentemente elitrasportati in altri ospedali della regione, ma l’attività dell’Ortopedia lì alla Trucca è ancora vivace: «Purtroppo i traumi arrivano ancora, penso a chi si fa male col bricolage o il giardinaggio in questi giorni di isolamento a casa. Sembra essersi però annullata tutta quella patologia per cui le persone affollavano il pronto soccorso, e questo deve far riflettere», prosegue Corvino. Il giovane medico era in servizio in una data che la sanità bergamasca – ma anche lombarda, italiana, forse mondiale – non dimenticherà mai: domenica 23 febbraio 2020, il giorno in cui è tutto cambiato, con i primi casi in terra orobica. «Iniziammo tutti quel giorno a lavorare con mascherine. Quella sera mi resi conto con mano, prima da medico poi da uomo, di quello che stava accadendo – ricorda –. Da quel giorno è iniziato il fiume di pazienti con criticità respiratorie, e da lì le giornate sono cambiate profondamente».

«A inizio mese sono stati creati i reparti appositi per accogliere i pazienti Covid-19 e hanno chiesto personale da vari reparti per turnare: mi sono offerto per partecipare, mi sembrava una buona cosa. Lo sforzo fatto da lì in poi è stato incredibile», racconta Giuseppe Gritti, 39 anni, dirigente medico dell’Ematologia al Papa Giovanni. Da una specialità all’altra: «Tra tanti colleghi serpeggiava un po’ di panico, perché da un giorno all’altro ci si è trovati ad affrontare pazienti con problematiche respiratorie importanti. Tra le varie discipline noi ematologi abbiamo più attività clinica: questo è stato importante – aggiunge –. La mia percezione è che le persone giovani siano particolarmente adatte ad affrontare l’emergenza: sono più fresche, seppur meno esperte, ma hanno voglia di imparare e mettersi in gioco, dando un contributo importante. Penso poi agli specializzandi che danno continuità nelle altre specialità: una delle fortune del nostro ospedale».

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