Il dono di vita
nutre la fede

Un’attesa, un bisogno di vita: non solo di buone ragioni per vivere, ma di attingere alla sorgente stessa della vita. È come se avvertissimo che la vita così com’è non ci basta e che neppure le grandi scoperte scientifiche e loro applicazioni straordinarie corrispondano alle nostre attese. Le stesse espressioni e manifestazioni di rancore sociale, di sbracata violenza verbale, di disprezzo e a volte di odio, rivelano un bisogno più profondo delle soluzioni che queste perentorie condizioni vogliono perseguire. Abbiamo bisogno di vita come dell’aria e paradossalmente stiamo facendoci mancare l’aria e anche l’acqua e la terra e i mari che rappresentano la casa della vita. Abbiamo bisogno di vita, ma la condizione di molto Paesi socialmente ed economicamente evoluti, segnata da una impressionante e misteriosamente sottovalutata contrazione demografica, sembra negarsi questo bisogno. Abbiamo bisogno di vita, ma ad una ostentata vitalità si contrappone, debolezza da nascondere, una diffusa stanchezza. Abbiamo bisogno di vita e la stiamo voracemente divorando, consumatori accaniti del presente e ladri di futuro. Questo bisogno comunque non è nuovo: appartiene ad ogni essere vivente.

Prende il nome di istinto di sopravvivenza, ma per quella particolare stirpe di viventi che è la stirpe umana, la sopravvivenza non basta. Le grandi narrazioni, i miti, le religioni hanno rappresentato intensamente questo bisogno e, attraverso la potenza dei simboli, anche la chimerica possibilità di soddisfarlo. Chi non ricorda le narrazioni, anche bibliche, dell’albero della vita o della sorgente dell’eterna giovinezza, e altre ancora. Racchiudono, come in uno scrigno, le attese dell’uomo e il segreto delle risposte.

La vita non consiste soltanto nel suo prolungarsi, nella moltiplicazione affascinante delle possibilità, in un sistema che funziona e neppure nel potere, nel piacere, nelle risorse disponibili. L’intuizione che sembra unire tutta la specie umana e che in certi momenti della storia e della vita ciascuno appare luminosa come stella è che la vita di cui abbiamo bisogno non sta sul mercato, non si può comprare, vendere e nemmeno conquistare. Tutto si può vendere, comprare o conquistare: la libertà, l’onore, la giustizia, la verità, addirittura le persone. Solo l’amore a nessun prezzo si può mercanteggiare e quello che si mercanteggia niente a che fare con l’umano amore. Abbiamo bisogno di questa vita: una vita, il cui decisivo codice genetico è rappresentato dalla infinita gioia di essere amati e di amare. Una vita così appartiene alla dimensione del dono, anche se paradossalmente è ciò di cui abbiamo maggiormente bisogno, un’autentica necessità.

La Pasqua cristiana è proprio questo: la rivelazione dell’amore e della sua potenza generante. La rivelazione che Dio è proprio così. La croce tanto inquietante, repellente e nello stesso attraente, perché vi riconosciamo l’emblema in cui ogni dolore umano si identifica, è in realtà la rivelazione dell’amore più grande: quello che non si sottrae al male. È un amore che abita le regioni dell’odio e le attraversa con la sconvolgente energia del perdono; un amore che attraversa l’oscurità della violenza e la illumina con la luce della grandezza di cuore, è un amore che viene sepolto dall’indiscutibile potere della morte e lo scardina con la sorpresa della risurrezione. I cristiani celebrano questo amore nella vicenda di Gesù di Nazareth, il Figlio di Dio, nella sua morte e risurrezione: il germogliare di una vita nuova, proprio lì dove questa possibilità appare definitivamente negata. Questa fede diventa principio di vita, ma non basta. È il dono della vita nuova del Risorto che nutre questa fede.

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