«La mia maternità un viaggio speciale Amalia e Sveva, gemelline premature»

Mamma Annie Donghi ha partorito alla 29ª settimana: le bimbe pesavano 717 e 1.100 grammi. I mesi in Terapia intensiva e gli interventi. Il 27 maggio compiranno un anno. «Iniziamo a vedere la luce».

«Un bel viaggio», mamma Annie definisce così l’ultimo anno, una montagna russa di emozioni. Tratteggiate con garbo e delicatezza, senza eccessi, nonostante di episodi da far battere il cuore ce ne siano mille. Del resto basta guardare Amalia e Sveva mentre giocano e tutto si scioglie in armonia. Amalia ruba il ciuccio a Sveva, sorridono e sgambettano le due gemelline. Amalia è la più minuta, ma dimostra già un bel caratterino. Di lei la pediatra dice che è destinata agli sport estremi, perché non ha paura di niente. «E c’è da crederci vedendola per la prima volta sull’altalena, gli occhi sgranati per la gioia», racconta mamma Annie, pronta a festeggiare il 9 maggio insieme alle sue due «biondine». Non è scontato essere tutte insieme. «Sin dalla pancia è stata una gravidanza complicata. Poi il parto alla 29esima settimana e il ritorno a casa dall’ospedale senza di loro è stato ancora più difficile. Mi attaccavo al tiralatte per sentirmi utile nei loro confronti», la giovane donna svela le sensazioni più intime.

La piccola Amalia si è aggrappata al mondo con la forza dei suoi 717 grammi, affrontando cinque interventi e diciassette trasfusioni in sei mesi di Terapia intensiva e ora quella vita se la prende a morsi. Sveva, nata di 1.100 grammi, in Patologia neonatale ci ha passato «solo» due mesi e ora lascia correre i dispetti della sorellina, protettiva, già col piglio da primogenita. Il 27 maggio le sorelline tagliano il traguardo del loro primo compleanno, e mamma Annie Donghi e papà Matteo Sacco, in una partitura a due voci, lui un fiume in piena, lei un argine sicuro, srotolano dodici mesi col fiato sospeso, in equilibrio tra gioie e paure. E lo fanno per tre motivi: «Perché adesso finalmente iniziamo a vedere la luce; per ringraziare i medici e infermieri eccellenti che ci hanno seguito, e per dare speranza a tutti i genitori di bimbi prematuri». Sulla terrazza affacciata sui vigneti dei primi colli, tra vicolo degli Ortolani e via Fontanabrolo, si respirano amore e coraggio, ingredienti di un 2020 che se per tutti è stato difficile, per questa famiglia è stato un caleidoscopio di alti e bassi.

Trentotto anni lei, brianzola d’origini e marketing manager, quaranta lui, architetto di Città Alta, coppia da 15 anni, sposati dal 2012. Il sogno di maternità e paternità coltivato per cinque anni («Eh sì, abbiamo fatto tanta fatica») e poi la sorpresa. «Dalle prime ecografie Amalia non si vedeva tanto era piccina, poi ci hanno dato la notizia: sono due»: Annie prende una tachipirina per il mal di testa e Matteo si consola con un bicchierino di Calvados, i giovani genitori raccontano con ironia la prima reazione. Da lì inizia un percorso «emotivamente intenso». Amalia non cresce, c’è una discrepanza del 40%, e tra i medici si fa largo anche l’ipotesi di un aborto selettivo. «Una volta a settimana andavamo agli Spedali Civili di Brescia dove, in stretta collaborazione con il reparto di Ginecologia del Papa Giovanni, venivano eseguiti i monitoraggi scrupolosi e attenti: erano i mesi di marzo e aprile e il viaggio del giovedì tra Bergamo e Brescia era l’unico spostamento consentito nel nostro lockdown: alle paure della gravidanza si aggiungevano le strade deserte, i controlli delle forze dell’ordine, le visite in solitudine della futura mamma e le attese in auto del futuro papà visto il divieto assoluto di assistere se non al telefono», racconta la coppia, che nell’affrontare da sola questo periodo «blindato» si affiata ancora di più.

A maggio l’annuncio: «È ora». Annie viene ricoverata nel reparto di Ginecologia del Papa Giovanni. «Sapevamo che non sarei arrivata alle consuete 40 settimane, l’obiettivo era arrivare almeno alla 32esima. Invece dopo soli cinque giorni di ricovero, con più di 70 giorni di anticipo, con un cesareo d’urgenza, alle 11,33 e alle 11,34 del 27 maggio sono nate Amalia e Sveva». E qui, come lo chiama Annie, «inizia un altro step di questo viaggio». Le bambine vengono subito ricoverate nell’unità di Terapia intensiva del reparto di Patologia neonatale dell’ospedale, Sveva ne uscirà dopo 58 giorni, il 24 luglio, senza aver mai affrontato gravissime complicanze, Amalia dopo 170 giorni il 12 novembre, con un percorso segnato da irti, ma superati, ostacoli. Finalmente a casa tutti insieme, il momento più bello. «È stato un periodo surreale, sempre in ansia per quello che sarebbe potuto accadere – ammette Annie –, e col Covid a complicare ulteriormente le cose, prima e dopo, visto che siamo risultati positivi tutti e quattro a inizio anno. Con sintomi lievi, ma non c’era da stare tranquilli visto che le bimbe sono fragili. Non è stato facile non condividere con nessuno la gravidanza e non poter festeggiare la nascita in allegria e spensieratezza. Ricordo ancora l’effetto di non avere le bimbe accanto quando sono stata dimessa e di non poterle far vedere alle poche persone che riuscivano a venire a trovarmi».

Ora, appunto, la luce, con una ritrovata (e stravolta) quotidianità. Sveglia alle 6, cambio e pappe, Annie ha ripreso a lavorare part-time («Grazie a una “santa tata” e a Matteo che cucina, anche se poi ceniamo in 10 minuti») e poi «turno serale» e dormiveglia. «Anche se il follow up sarà molto lungo, con controlli specialistici mensili, visto il bagaglio di anomalie dato dalla loro grande prematurità», precisa papà Matteo, con gergo tecnico ineccepibile. «È figlio di un medico – scherza Annie – ma sicuramente il rapporto stretto con il personale sanitario ci ha insegnato molto in fatto di cura e gestione delle bambine, oltre ad averci dato un supporto fondamentale». Per il 27 maggio non ci sono grandi festeggiamenti in programma («Faremo quello che potremo»), ma il 30, in Santa Grata, è già stato fissato il doppio Battesimo. Perché la Vita è più forte di tutto.

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