La vita nella zona che rischia la chiusura: pallonate in cerca di normalità

A Nembro e Alzano in attesa della decisione del governo. I bambini giocano in piazza, i panettieri presidiano i forni con le brandine.

Piazza Libertà ha il fascino dei vuoti metafisici di De Chirico, ma oggi a incresparne le geometrie nette ci sono traiettorie di palloni e traffico di bambini. Ecco, c’è quotidianità nel cuore di quella che rischia di diventare zona rossa, c’è normalità davanti al municipio momentaneamente orfano del suo sindaco, Claudio Cancelli, in quarantena perché colpito dal coronavirus (ma è in buone condizioni di salute). Non fosse per le sirene delle ambulanze, che qui dicono siano diventate l’angosciante colonna sonora degli ultimi tempi, questa parrebbe la piazza di un giorno qualunque.

E invece sono ore di vigilia, qui a Nembro, su cui aleggia il rischio di un provvedimento che potrebbe trasformare il paese con uno dei tassi più elevati di contagi e decessi in un recinto proibito, come è accaduto a Codogno. Si attende il decreto del governo (ma fino a tarda ora non c’era la decisione) con una compostezza che s’incrina solo quando il pensiero va al lavoro. «Io sono dipendente di un’azienda a Cazzano Sant’Andrea e se scatta la zona rossa non potrò più uscire da qui. Vorrei sapere che cosa succede? - si chiede preoccupato Stefano Borlenghi, 42 anni -. Mi mettono in malattia? In cassa integrazione? Oppure, sa che faccio? Resto su a dormire in ditta». Fino a che non ha affrontato la questione lavoro Stefano s’era mostrato molto sereno, ironizzando persino sullo status di moderno appestato che resta appiccicato addosso a chi vive nelle aree di maggior contagio: «Se diciamo che siamo di Nembro, fanno battute. Ma in ditta sono l’unico ad aver resistito, gli altri sono tutti a casa malati».

Nembro, il senso di comunità

La cosa positiva dello stato d’emergenza è che qui s’è propagato pure il virus della solidarietà, esaltando il senso di comunità che caratterizza i paesi. Il dialogo che va in scena in piazza Libertà è quasi commovente nella sua semplicità. Salvatore Mazzola è all’esterno della sua panetteria, impegnato a raccontare che, per scongiurare i blocchi di un’eventuale zona rossa, stanotte dormirà nello spogliatoio sotto il suo laboratorio: «Abito a Bergamo e vengo qui all’una di notte per cominciare a impastare il pane - dice -, se non mi fanno entrare in paese sono fregato».

Passano Ombretta Offredi, giovane insegnante, e l’amica Francesca Ferri, baby sitter, e ciascuna si offre di ospitarlo a casa propria. «Dai, vieni da me e dalla mia famiglia - insiste Ombretta -, la casa è grande, c’è posto: ti fermi a cena, poi a dormire». Salvatore declina per non creare disturbo. Le due amiche insistono: «Allora ti portiamo la cena qui in negozio, dai. Se non ci aiutiamo su queste cose e in questi momenti, non ci si aiuta più». Il panettiere però rassicura: «No, grazie, grazie mille, ma mi arrangio».

Paura del coronavirus? «Più che di contrarlo, temo di poterlo trasmettere alle persone anziane», confida Ombretta. Che, al suono dell’ennesima sirena di ambulanza. aggiunge: «Tutto il giorno così, dalla mattina alla sera. Ed è un’altalena di emozioni. Senti la sirena e pensi al coronavirus e ti abbatti. Poi ti dicono che è intervenuta per un’altra cosa e ti riprendi un po’. Ma poi incontri una persona che ti informa che l’altra notte è morta una nonnina. E allora ti butti di nuovo giù. Poi vedi la tv dove si spiega che in fondo è solo un’influenza, e allora ti senti un po’ più confortata».

In giro pochissimi hanno la mascherina, forse per respirare aria di consuetudine, però molti negozi e bar del centro hanno le serrande abbassate. Un parrucchiere è chiuso «per precauzione», una boutique «per lutto» e l’ottico non ha aperto perché non ha appuntamenti prenotati. Per strada c’è meno gente del solito, fa notare un agente della polizia locale, e molti parcheggi, normalmente introvabili, sono liberi. Nelle viuzze s’infila un’aria gelida e maligna, l’atmosfera è rarefatta ma non spettrale. «Si vive un po’ sospesi - chiosa l’ex sindaco Eugenio Cavagnis -. Ma la voglia di andare avanti c’è - dice indicando i bambini che giocano in piazza -. Ci adegueremo, e ce la faremo». E l’attuale primo cittadino Claudio Cancelli, al telefono sottolinea: «Non c’è il clima cupo che potrebbe esserci in questi contesti. La capacità di reazione dei miei concittadini è un segnale positivo, non dobbiamo buttarci giù in questo periodo pesante».

Un po’ preoccupato è invece Valentino Lamera, macellaio in piazza Matteotti, pure lui a rischio stop in caso di zona rossa, visto che vive a Pradalunga. «La carne va a male se non mi fanno più entrare in paese - sospira -. In questo periodo qualcuno fa la spesa anche per chi non può uscire di casa, soprattutto anziani, altri comprano un po’ più del solito, forse per farsi la scorta». Ma niente panico da scenari post-atomici, com’era accaduto il primo giorno di questa odissea, domenica 23 febbraio, quando gli scaffali dei supermercati erano stati svuotati nella foga dell’incetta. All’Esselunga di Nembro una commessa assicura che oggi non c’è stato alcun assalto, nonostante il rischio isolamento per il paese.

Qualche chilometro più in giù, ad Alzano, altra cittadina candidata alla zona rossa, il clima è più o meno simile. Traffico scarso, pochi passanti, uno solo con mascherina, negozi vuoti o chiusi. «Zona rossa? Chiuderemo e pazienza, vorrà dire che diventeranno ricchi i supermercati», allarga le braccia il titolare del bar Mignon in via Mazzini.

Alzano, l’ospedale che dà lavoro

Alzano è stata la culla di industrie storiche, la porta d’ingresso di una valle un tempo ricca di filature e denaro e che ora, ai tempi della globalizzazione, cerca di barcamenarsi. «Qui in paese a dare lavoro a molti è rimasto solo l’ospedale», osserva uno. L’ospedale Pesenti Fenaroli, che domenica 23 febbraio si scrollò di dosso l’anonimato dei nosocomi di provincia per precipitare nel caos coronavirus.

A poche centinaia di metri Giorgio Marchiorato nella sua panetteria è in trepida attesa della decisione del governo. Anche lui, come il collega di Nembro, stanotte presidierà il forno, rinunciando a tornare a casa, a Pradalunga. «Ho brandina, tv, lavatrice e doccia di là nel laboratorio - dice -, perché nei periodi di super lavoro mi capita di fermarmi a dormire. Fossi sicuro che la zona rossa dura 15/20 giorni chiuderei per ferie. Ma in questa storia non vedi la fine. Non bisogna avere timore, però noto che molta gente è spaventata». Pablo, cliente che se ne sta uscendo con una bottiglia di birra, si ferma sull’uscio: «Siamo sopravvissuti a Chernobyl? Bòna, il coronavirus non è niente in confronto a quello», sentenzia smarcandosi dalla statistica del panettiere.

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