Librerie aperte e cibo d’asporto
Ecco la fase 2 del commercio

Oltre alla ristorazione, anche le librerie hanno adottato la formula «take away». «È dura ma almeno ci siamo e serve al morale»

Si lavora per la testa, non per la cassa. La fase due del commercio – vista con lo sguardo dei piccoli imprenditori – è la necessità di reinventarsi, è il desiderio di costruire frammenti di normalità in una routine rivoluzionata. Al di là dei clienti, l’importante è esserci, per trovare forza mentale più che ossigeno economico.

In tarda mattinata, via XX Settembre è un pullulare di persone, spesso di famiglie. In pochi comprano, in tanti passeggiano. La maggior parte delle saracinesche, quelle dei negozi di abbigliamento, sono ancora abbassate, ma la via dello shopping ha ritrovato alcuni riferimenti preziosi: le librerie, aperte con una formula tutta particolare, quella dell’«asporto»: i libri non si possono sfogliare; vanno chiesti al libraio e, una volta, pagato si esce subito. È la cultura che si «mangia», almeno nella forma (l’acquisto stile-pizza) e nella metafora, per tornare cioè a cibarsi di parole.

Chi ha un sacchetto fresco di scontrino, infatti, ha soprattutto comprato dei libri. «Si riparte piano, con tanta speranza – sorride Pierpaolo Arnoldi, titolare dell’omonima libreria in piazza Matteotti, un’istituzione nel settore per longevità imprenditoriale -. Ci sono ancora tanti problemi: l’emergenza sanitaria non è terminata, poi c’è la questione di chi è in crisi col lavoro o con la propria attività, e dunque fare shopping non è prioritario. Ma il nostro è uno shopping di riflessione, non di sfizio: in tanti c’è il bisogno di ritrovare un momento per la lettura, o magari regalare un libro ai parenti che ora si possono andare a trovare. I titoli più venduti? Già con la consegna a domicilio, erano andati esauriti i libri legati all’emergenza, dai saggi più scientifici ai classici della letteratura incentrati su un’epidemia». Nella libreria come in ogni altra attività d’asporto, si entra uno alla volta, dopo essersi sanificati le mani, per poi essere assistiti dal commesso; pagato l’acquisto, si esce subito. Solo dal 18 riaprirà i battenti il commercio al dettaglio nella forma più classica, pur con le solite misure di sicurezza e una sfilza di incognite, per esempio la questione della prova-vestiti nei negozi d’abbigliamento.

Tra i ristoratori, invece, serpeggia maggior scoramento. Il presente racconta di una ripresa slow, il futuro è invece irto d’interrogativi, a partire da come dovranno essere stravolti i locali, tra distanze e «separé». «Siamo aperti solo per far presenza, per il morale, più che per l’afflusso dei clienti – spiega Gaetano Vitale, titolare di Biif, locale grill e pizza in piazza Pontida -. Stare fermi è dura, non riusciamo neanche a pagare l’affitto, gli aiuti non arrivano: ho venti dipendenti, è difficile far quadrare i conti. Questa riapertura è un modo per tenerci vivi e non buttarci giù: servirà a combattere la paura, nel rispetto della sicurezza. E ci devono dire anche rapidamente come dovranno essere adeguati i ristoranti dal 1° giugno in poi. Con altri locali vicini, ci stiamo muovendo per chiedere al Comune l’utilizzo di una parte più ampia della piazza. Qui abbiamo 160 coperti, al momento la stima è che li dimezzeremo».

Si sono mosse le persone, non l’economia. Oscar Fusini, direttore di Ascom, sintetizza così l’inaugurazione della fase due del commercio: «Sicuramente si è visto un flusso alto di gente, specie in centro, ma per il commercio non si è mosso tantissimo: in molti non hanno ancora riaperto, sia per il timore dei contagi, sia perché non sono pienamente pronti dal punto di vista degli adempimenti di sicurezza – è la premessa -. Certamente c’è voglia di ripartenza, pur con l’apprensione del momento. L’incertezza economica pesa per i clienti ma anche per i commercianti, che sono a loro volta consumatori». «Questa è più una svolta mentale, sperando che la riapertura non ci faccia ricadere nel dramma sanitario – è il parere di Cesare Rossi, vicedirettore di Confesercenti Bergamo -: per chi ha dei dipendenti, in queste giornate sono più i costi dei ricavi. Chi in questo periodo ha puntato sulle consegne a domicilio e ora sull’asporto, riesce a pagarsi le utenze. E anche attività non certo abituate a questo tipo di servizio hanno reagito con impegno, penso alle librerie, peraltro questi sono i giorni tradizionali della Fiera dei Librai. Resta un dato: la necessità di contributi a fondo perduto è davvero decisiva, occorrono risposte».

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