«L’obbligo vaccinale non è escluso. Dipende dall’evoluzione del virus»

Per il professor Giorgio Palù (Aifa) l’opzione resta sul tavolo. «Per i richiami opportuno coinvolgere l’intera popolazione over 50 in primis».

Risponde alle domande via mail il professor Giorgio Palù, virologo, microbiologo e presidente dell’Agenzia italiana del farmaco. Forse perché, come spiega, la comunicazione, pur restando «essenziale in una pandemia», ha portato come «danno collaterale» una sovraesposizione mediatica degli scienziati. E allora meglio la forma scritta. Meglio soppesare le parole a cui in tanti, in questi due anni, si sono aggrappati per cercare lo spiraglio di luce in fondo al tunnel o quantomeno un motivo per non abbattersi troppo. Non ne mancano nemmeno questa volta e sono tutti da cercare attorno al tema dei vaccini, anche se lo scenario resta delicato e la pandemia da Covid, forse per la prima volta nella storia della virologia, potrebbe anche durare più dei due anni canonici.

Professor Palù, finora la strategia vaccinale in Italia si è dimostrata vincente: basterà a contrastare la recrudescenza del virus che – in qualche misura - nella stagione invernale alle porte si farà sentire anche da noi?

«Dai dati in nostro possesso è evidente come i vaccini, allestiti contro un virus in circolazione ormai da due anni, siano le armi più efficaci nel proteggerci dal Covid-19 grave e dall’evento letale. La decisione di consentire le dosi di richiamo va nella direzione di rafforzare questa difesa e far fronte alla stagione invernale, periodo di massima diffusione dei virus respiratori tra i quali rientra Sars-Cov-2».

La terza dose non sta andando come ci si attendeva, almeno in Lombardia, ma anche in altre Regioni, il numero delle somministrazioni è inferiore a quello che si era ipotizzato inizialmente: a cosa è dovuto secondo lei questo trend? E quale target si prenderà in considerazione dopo immunodepressi e fragili?

«La somministrazione delle terze dosi di richiamo (booster) è raccomandata dopo almeno 6 mesi dal completamento del ciclo vaccinale primario; ritengo quindi sia presto per trarre delle conclusioni. Al momento, tenuto conto dell’aumentato rischio di sviluppare Covid -19 severo, la terza dose è prevista per i soggetti di età pari o superiore a 60 anni, per i quali, analogamente ai soggetti fragili, è peraltro raccomandata anche la vaccinazione antinfluenzale. Credo però, alla luce della perdurante circolazione del virus e dell’affievolirsi nel tempo dell’immunità conferita dal ciclo vaccinale a due dosi, che sia opportuno ricorrere al richiamo vaccinale anche per la popolazione generale. Si potrà partire con gli over 50 e scendere progressivamente con le fasce di età in base al rischio relativo e in linea con lo schema seguito per il ciclo primario».

A proposito, di fasce ancora non vaccinate, a livello nazionale si parla di circa 8 milioni di over 12 non immunizzati: è un dato su cui si può ancora incidere o bisogna mettere in conto uno zoccolo duro impossibile da scalfire?

«Quando si parla di sanità pubblica non ci si deve mai arrendere e bisogna continuare a informare nel modo più semplice e diretto possibile la società civile per convincere la popolazione ancora reticente, rilevante serbatoio per la diffusione del contagio, a farsi vaccinare».

A un certo punto lei si era detto favorevole all’obbligo vaccinale. Ritiene che la strada intrapresa, cioè quella del Green pass, sia stata comunque positiva o sarebbe stato più efficace imboccare la prima?

«Il Green pass a ciclo di vaccinazione completo è una misura di tutela della salute sia individuale sia collettiva e una misura di salvaguardia specialmente per chi esercita attività di contatto sociale. È stato sicuramente uno strumento efficace per favorire la vaccinazione e contenere la pandemia, strumento che, sul modello italiano, sta per essere adottato anche da altri Paesi europei. In funzione dell’evoluzione pandemica non è escluso che si possa prendere in considerazione anche per Covid-19 l’obbligo vaccinale, come previsto per altre malattie infettive».

Quanto la preoccupa lo scenario della Gran Bretagna e in che misura potrà riproporsi negli altri Paesi europei o in Italia?

«L’approccio posto in atto in Gran Bretagna, inizialmente di ritardare la seconda dose e poi, da luglio scorso, di favorire un ritorno alle abitudini pre-pandemiche senza alcuna misura di contenimento individuale o collettiva ha sicuramente avuto conseguenze negative. Il virus ha continuato a circolare ed è naturale che i britannici abbiano dovuto fare i conti con un aumento dei casi e delle correlate conseguenze. Per evitare che questo accada da noi dobbiamo persistere nella strada finora intrapresa, nell’applicare cioè misure di contenimento e una campagna di vaccinazione capillare per limitare la circolazione del virus. Sarà altresì fondamentale informare correttamente la popolazione sull’efficacia, la sicurezza e i rischi benefici della vaccinazione e dei richiami vaccinali».

La variante Delta plus non sembrerebbe destare particolari preoccupazioni: qual è attualmente il rischio che si presentino varianti nei confronti delle quali i vaccini in circolazione non offrano un’adeguata copertura?

«La presenza di una particolare sotto-variante di Delta, la AY.4.2, detta Delta plus è stata recentemente identificata per la prima volta in Gran Bretagna nel 6% dei genomi virali sequenziati ed è caratterizzata da due nuove mutazioni nella proteina S (A222V, Y145H). La variante AY.4.2. non sembra però avere caratteristiche biologiche marcatamente diverse da quelle della Delta prevalente e, come questa, è tenuta sotto controllo dai vaccini disponibili. Quindi la Delta plus è considerata una variante “Under investigation”, ma non ancora nell’alveo delle varianti che preoccupano . In Italia sono state rinvenute a oggi 93 sequenze genomiche relative a AY.4.2. Se l’ipotesi di una lieve, maggiore contagiosità di questa sotto-variante dovesse essere confermata, la situazione epidemiologica potrebbe peggiorare qualora il numero di persone non vaccinate o senza richiami resti alto».

L’Ema a breve dovrebbe autorizzare il vaccino per gli under 12: c’è chi, come Guido Rasi, ha sostenuto però che se la circolazione del virus restasse così bassa, si potrebbe anche evitare l’immunizzazione di questa fascia. Qual è il vostro orientamento?

«Se Ema darà via libera significa che il rapporto beneficio/rischio sarà considerato positivo anche per questa fascia di età dove il virus è responsabile di manifestazioni patologiche decisamente meno gravi rispetto ad adolescenti e adulti. La vaccinazione dei soggetti in età scolare è importante sia nell’ottica di una loro protezione sia in quella di ridurre la circolazione del virus».

Lei ha sempre detto che nessuna pandemia è durata più di due anni. Per il Covid ci stiamo avviando a questa scadenza: lo scenario pandemico sta effettivamente diventando endemico?

«Sicuramente era il caso delle passate pandemie causate da agenti virali e batterici responsabili di forme infettive acute (vaiolo, peste, influenza). Nel caso della pandemia da Sars-Cov-2 si presume che l’evoluzione più naturale sia, come per altri virus respiratori , quella di sfociare in un adattamento evolutivo del virus alla nostra specie. Si tratterebbe di un equilibrio con l’ospite che, in virtù anche dell’immunità naturale e artificiale progressivamente instaurate, porterebbe il virus a persistere in forma endemica tra gli abitanti del pianeta. In realtà dobbiamo anche considerare che l’epoca in cui viviamo è soggetta a forte antropizzazione e globalizzazione; il periodo di adattamento del virus per diventare endemico potrebbe di conseguenza protrarsi nel tempo, tenuto conto del perdurare in alcune aree come l’Africa, in cui la copertura vaccinale è molto scarsa, di un elevato tasso di contagi».

Alla luce di questo orizzonte, la terza dose potrebbe essere quella definitiva o dobbiamo immaginare ulteriori somministrazioni?

«Dipenderà dall’andamento della curva epidemica nel Paese, dalla circolazione globale del virus, di sue eventuali nuove varianti e dalla durata dell’immunità sia naturale sia artificialmente acquisita con la vaccinazione nei vari strati di popolazione».

Un’ultima domanda. Forse come non era mai successo prima, in questi due anni il mondo scientifico è stato al centro di un dibattito che ha coinvolto anche un pubblico a cui prima non si rivolgeva: trova che ne sia uscito rafforzato oppure il gran parlare che si è fatto ha portato più confusione che benefici?

«Stiamo assistendo ai danni collaterali di una sovraesposizione mediatica di alcuni esperti ma trovo che una comunicazione pubblica chiara e accurata da parte degli scienziati, così come da parte delle istituzioni, sia essenziale in una pandemia».

© RIPRODUZIONE RISERVATA