L’uomo che fa rinascere le orchidee, i fiori simbolo del suo cambiamento

Massimo Vavassori, 49 anni, di Castelli Calepio, sottoposto a stomia per un cancro all’intestino. «Sono rifiorito».

Come una fenice Massimo Vavassori, 49 anni, di Castelli Calepio, è passato attraverso il fuoco di un lungo intervento chirurgico per rinascere. Ha subito quella che sulla carta è una «menomazione», una stomia definitiva, ma poi ha seguito l’esempio delle orchidee, che fanno lunghe pause, in cui sembrano «morenti», ridotte a poche foglie e radici, ma alla fine - con le cure appropriate - rifioriscono, ancor più belle di prima. «Morire quanto necessario, senza eccedere./ Rinascere quanto occorre da ciò che si è salvato», come scrive la poetessa polacca Wislawa Szymnborska in «Autotomia». Nel soggiorno di Massimo sulla lunga mensola sotto la finestra, affacciata sul verde delle colline, ci sono sei vasi di questi fiori esotici, che nonostante la loro bellezza delicata diventano nelle sue mani un simbolo di resistenza: «Le mie amiche - spiega con un sorriso - me le portano quando restano soltanto le foglie perché sanno che mi appassiona prendermene cura fino a farle rifiorire».

Una diagnosi complicata

Ha seguito lo stesso percorso con il suo corpo, attraversando per anni la malattia con molta sofferenza ma senza mai perdere la voglia di vivere e la speranza di guarire. La stomia consiste nell’asportazione di una parte dell’intestino e del retto tale da produrre un radicale cambiamento nella vita di chi la subisce: «Non è una pratica chirurgica molto conosciuta - spiega Massimo -, io non ne sapevo nulla, ho incominciato a informarmi quando me l’hanno prospettata come soluzione per i miei problemi di salute. Ho scoperto così l’esistenza dell’Associazione bergamasca stomizzati (www.absbergamo.org), mi sono iscritto e sto per partecipare alla prima riunione. Mi è di grande aiuto poter incontrare persone che si trovano nella mia stessa situazione».

All’inizio c’erano un disagio senza nome, malessere, dolore, una condizione di vita non più sostenibile: «Non è stato facile arrivare a una diagnosi - chiarisce -. Nel 2017 all’ospedale di Seriate avevano il sospetto che potessi essere affetto da una patologia tumorale al retto, ma l’esito degli esami era dubbio. Dopo un ricovero di una quindicina di giorni, non risolutivo, mi hanno consigliato di rivolgermi all’Istituto oncologico europeo (Ieo) per un consulto. Ci sono andato e mi hanno prescritto subito una terapia chemioterapica per via orale mentre continuavo a sottopormi ad analisi più approfondite. Nel frattempo i miei sintomi non si erano attenuati, anzi, peggioravano. Neanche allo Ieo, però, sono riusciti a capire di preciso che cosa avessi». Nei corridoi degli ospedali Massimo si è trovato esposto non solo alla sua fragilità ma anche a quella degli altri: «Sono rimasto profondamente colpito dalle storie delle persone che ho incontrato, dalla fatica di chi arrivava da lontano per poter ottenere le cure migliori, dalle malattie dei bambini. Entrare in contatto con questa realtà mi ha cambiato profondamente, mi ha messo in crisi e mi ha spinto a pensare anche agli altri, e non appena possibile vorrei dedicarmi a un’attività di volontariato, proprio per alleviare la condizione di persone come me».

L’aiuto di Viviana Melis

Ha iniziato una sorta di pellegrinaggio da un ospedale all’altro, per ricominciare ogni volta da capo, come se il suo corpo fosse un foglio bianco con una storia da raccontare, senza che i medici riuscissero a trovare le parole giuste per decifrarla.

«C’era una massa che continuava a crescere nella parte terminale dell’intestino - racconta Massimo - e su consiglio di un’amica mi sono rivolto all’ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo per un nuovo ciclo di esami. Dai referti risultava la presenza di molte cellule pre-cancerose di cui non si comprendeva l’origine. Il chirurgo mi ha prospettato inizialmente la possibilità di sottopormi a una stomia temporanea per ripristinare poi una situazione normale». Così Massimo ha incontrato per la prima volta la stomista Viviana Melis all’ospedale di Bergamo, con cui ha instaurato subito un rapporto positivo: «Mi ha messo a mio agio e mi ha spiegato in modo costruttivo e con un atteggiamento di ottimismo realista che cosa avrei potuto fare. All’inizio avevo tanti dubbi e timori, ma lei ha trovato le risposte e le motivazioni giuste per incoraggiarmi, sapeva trasmettermi energia ed entusiasmo».

Una seconda vita

L’intervento è stato eseguito nell’ottobre 2020, quando ancora sull’ospedale si stendeva l’ombra della pandemia. «Sono rimasto in sala operatoria per 12 ore - ricorda Massimo -. I chirurghi si sono accorti strada facendo che la parte finale dell’intestino era completamente compromessa. Quando mi sono svegliato mi hanno dato subito la notizia: avevano dovuto eseguire una stomia definitiva. All’inizio il trauma è stato terribile, anche se in fondo me l’aspettavo. Non mi scorderò più la data, era il 28 ottobre: quel giorno è iniziata la mia seconda vita. In quel momento non ho nemmeno voluto vedere che cosa mi avessero fatto i medici, non riuscivo ad accettarlo. Mi sono concesso un po’ di tempo, poi finalmente sono riuscito a reagire e a fare i conti con quello che mi era successo».

Un intervento così lungo e impegnativo ha lasciato il segno: «Sono rimasto in ospedale per due settimane - dice Massimo - per superare alcune complicazioni: non riuscivo più a muovere le gambe e i miei reni funzionavano male. Così ho avuto il tempo di abituarmi alla mia nuova condizione, di prendere confidenza con una routine diversa. Mi è pesata molto la solitudine, perché le norme anti-covid non permettevano le visite. In quei giorni ho avuto come compagno di stanza un signore rimasto paralizzato dal collo in giù a causa di una caduta. Non poteva muoversi, dipendeva completamente dagli altri, eppure aveva mantenuto uno spirito fortissimo, una inarrestabile voglia di vivere. Per me è stato un esempio potente, mi ha fatto riflettere. Ci sono stati tanti amici e colleghi che mi videochiamavano tutti i giorni e mi facevano sentire la loro vicinanza. Mia sorella è arrivata diverse volte fino al parcheggio, si metteva sotto la finestra della mia stanza per salutarmi. Ci guardavamo e ci scambiavamo sorrisi e gesti attraverso una vetrata. Può sembrare poco ma questa presenza costante ha avuto per me un grandissimo significato e mi ha commosso. Quando mi hanno dimesso iniziavo a camminare con le stampelle».

Il periodo di convalescenza gli ha riservato ancora qualche asprezza: «Dopo i primi giorni mi sono adattato meglio al cambiamento soprattutto grazie all’affetto e all’aiuto costante della mia famiglia, che mi ha sostenuto in tutto. Sono rimasto per un mese a casa di mia sorella, perché non potevo ancora alzarmi, non ero autonomo. Ho continuato a mantenere un contatto costante con l’ospedale che mi ha affiancato con sollecitudine, rispondendo a tutte le mie chiamate e alle mie perplessità».

Non appena è stato possibile Massimo è tornato a casa sua: «È stato un nuovo inizio, che mi ha portato a vivere in modo completamente diverso. Ogni tanto mi sento ancora addosso le conseguenze dell’intervento, ho qualche dolore alle gambe, ma riesco a gestire la stomia con sufficiente confidenza e disinvoltura. Continuo a essere convinto di aver fatto la scelta giusta. Non sento più alcun dolore e sono di nuovo libero di mangiare ciò che desidero. Incontro periodicamente la stomista e mi sottopongo a nuovi controlli ogni sei mesi. Sono rifiorito, mi sento rinato, sono davvero grato ai chirurghi che hanno eseguito l’intervento».

Comprensione sul lavoro

Ora conduce di nuovo una vita piena, è tornato a lavorare e a coltivare le sue passioni: «Mi piacerebbe incoraggiare chi si trova in una situazione analoga e magari deve combattere con le sue paure». Certo, in ogni ambito ci sono stati cambiamenti: «Lavoro in un’azienda metalmeccanica, ho dovuto cambiare mansione e ridurre un po’ l’orario, ma il mio datore di lavoro mi ha sempre assicurato grande disponibilità e attenzione, mettendomi a disposizione anche un servizio igienico attrezzato in modo adeguato a una persona con stomia».

Massimo ha cercato nuovi contatti anche in rete: «Mi sono iscritto al gruppo Facebook degli stomizzati e mi sono reso conto di quante situazioni diverse esistano in Italia in quest’ambito. Noi bergamaschi siamo fortunati, c’è una maggiore sensibilità alle nostre esigenze rispetto ad altre città e regioni. L’associazione si sta impegnando ora perché siano realizzati alcuni servizi igienici attrezzati anche all’aeroporto, un elemento non trascurabile per la tranquillità dei viaggiatori che si trovano in questa condizione».

Teatro e musica lirica

Appassionato di teatro e di musica lirica, Massimo è tornato alle attività abituali, che aveva dovuto sospendere nei periodi peggiori di malattia: «Faccio parte del gruppo Magico Baule di Grumello, sul palco interpreto soprattutto ruoli comici e mi rende felice far sorridere gli spettatori, procurando loro momenti di leggerezza e buonumore. Negli ultimi quindici anni mi sono appassionato anche alla lirica e ho iniziato a prendere lezioni di canto. Sono un tenore, amo la musica sacra e canto in un coro locale di Tagliuno».

Il periodo della malattia gli ha regalato una nuova prospettiva sulla vita: «Prima in casa parlavamo poco, in questo periodo è cresciuta la confidenza tra noi. Ho imparato a comunicare emozioni che prima tenevo per me, ad ascoltare con più attenzione e a essere grato per l’affetto che mi viene donato. Gli anni di sofferenza intensa mi hanno impartito grandi lezioni di vita. Anche per questo sento un grande desiderio di restituire ciò che ho ricevuto impegnandomi nel volontariato, aiutando persone in difficoltà. Penso di avere ancora molto da offrire». Come le sue orchidee, è stato a un passo dalla morte per rinascere: «Il primo gennaio di quest’anno ne sono rifiorite tre tutte insieme e non era mai successo. Per me è stato davvero un bellissimo segno di rinascita».

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