Mamma di due gemelli in carrozzina
«Giorgio e Alessandro, la mia salvezza»

La Buona domenica. La sofferenza trasformata in forza, gioia e bellezza: la storia di Nadia Alborghetti, di Sorisole, presidente dell’associazione di genitori «Costruire integrazione». Il peso della burocrazia: «Contribuisce a rendere situazioni come la nostra molto più difficili da sopportare».

Sulle pareti del bar che Nadia Alborghetti gestisce con il marito Massimo Pelizzoli a Sorisole ci sono tante immagini in bianco e nero che raccontano la vita della famiglia: ci sono i compleanni, le feste in cui si trovavano tutti riuniti intorno alla tavola, il matrimonio dei suoi genitori, lei e suo fratello da bambini. Sono come le tessere di un mosaico, stanno lì a testimoniare che ognuno porta con sé la propria storia, non solo negli album di fotografie, ma nei gesti, nello stile, nella vita quotidiana.

I segni distintivi di Nadia, mamma di due gemelli, Giorgio e Alessandro, entrambi sulla sedia a rotelle, e presidente dell’associazione di genitori «Costruire integrazione» di Bergamo, sono il sorriso, la capacità di prendersi cura degli altri, la consapevolezza che, come scriveva lo psichiatra americano Karl Menninger, «l’amore cura le persone, sia quelle che lo danno sia quelle che lo ricevono». Nel suo percorso c’è tanta sofferenza, ma lei ha saputo trasformarla in gioia e in bellezza, non solo per sé e per i suoi figli: «È importante impegnarsi anche per gli altri».

I suoi gemelli sono nati 29 anni fa, con un parto prematuro: «Ero incinta di sei mesi e mezzo quando mi hanno ricoverato d’urgenza. Giorgio è nato per primo e ha avuto più chance di recupero: non può camminare, ha qualche problema di manualità fine, ma per il resto ha potuto condurre una vita buona. Si è laureato come operatore giuridico d’impresa e ora sta seguendo un corso di specializzazione all’Università Bicocca di Milano, lavora come foundraiser (addetto alla raccolta fondi) per le imprese no profit, guida l’auto, si è sposato con una fisioterapista di Vercelli che abbiamo conosciuto durante un pellegrinaggio in Terra Santa. Ora hanno due figli di quattro e due anni e vivono accanto a noi. Alessandro è rimasto più a lungo senza ossigeno, quindi purtroppo ha avuto maggiori difficoltà. Alla nascita entrambi pesavano poco più di un chilo. Sono rimasti per due mesi in incubatrice, poi sono stati sottoposti a fisioterapia e trattamenti riabilitativi».

Nadia ha anche un’altra figlia, Daniela, che ora ha 31 anni e una bimba di 14 mesi: «Per molto tempo io sono stata per tutti “la mamma dei gemelli”, in paese non sapevano neppure che avessi un’altra figlia. Credo sia normale, quello che è successo ha sconvolto e condizionato la nostra vita. Ma ne sono anche un po’ dispiaciuta, perché non è giusto, all’interno della famiglia ho sempre cercato di dare la stessa importanza a tutti e tre i miei figli: l’amore non si divide, si moltiplica». I primi anni di vita dei gemelli sono stati duri: «Ero concentrata sulle loro necessità fisiche e sulle terapie di riabilitazione, sperando sempre nell’esito migliore possibile». Capita che le difficoltà spingano le persone a far emergere energie nascoste e così è stato per Nadia, che ha mostrato subito di avere un carattere reattivo: «Se c’è un problema cerco di risolverlo. Mi sentivo smarrita e disperata, ma ho sempre pensato soprattutto ai miei figli. Certamente non gli faceva bene avere accanto una madre triste e depressa. Avevano bisogno che io mi comportassi in modo allegro, attivo, che li spingessi ad avere fiducia nel futuro. Sono stati loro a darmi la forza di reagire, sono stati la mia salvezza. Si sono presi cura di me in tanti modi, con piccoli gesti quotidiani. Grazie a loro sono riuscita ad affrontare tutti gli ostacoli che si sono presentati. Ogni tanto vorrei che la gente mi considerasse debole, perché a volte mi sento così, completamente priva della forza e della tenacia che tutti mi riconoscono. Ho sempre cercato di tenermi tutto dentro e mi sono impegnata, perché ai miei figli non mancasse niente, né dal punto di vista materiale né affettivo, e perché imparassero a vedere sempre il lato positivo e bello della vita».

Un gesto, uno sguardo, un sorriso: ci vuole molta attenzione per poter comunicare con Alessandro. «Dipende in tutto e per tutto da noi – spiega Nadia –, deve essere cambiato, imboccato, trasportato. Capisce tutto ciò che gli diciamo ma si esprime con difficoltà. Solo i familiari e le persone più vicine riescono a decifrare bene parole e gesti. Ha un legame molto stretto con suo fratello Giorgio e ha frequentato la scuola finché ci andava anche lui. Ha sempre avuto la fortuna di incontrare assistenti educatori molto sensibili e competenti. Ora trascorre la giornata in un centro diurno per disabili, poi resta con noi nel bar, in cui abbiamo creato un ambiente accogliente e familiare. Pensiamo che la diversità – in qualunque forma si esprima – sia una ricchezza, e ci piace l’idea di trasmettere questo messaggio anche a chi entra nel nostro locale. Da qualche anno grazie a una convenzione con la cooperativa “Lavorare insieme” con noi c’è anche Jessica, una giovane con sindrome di Down, impegnata nel bar per tre mattine alla settimana».

Le difficoltà di movimento hanno complicato anche la strada di Giorgio: «Ha frequentato il Liceo scientifico, era molto brillante nelle prove orali ma, avendo problemi di manualità, faticava negli scritti, era necessario che qualcuno lo affiancasse scrivendo su dettatura. Questa compensazione, però, all’esame di maturità non era prevista, abbiamo dovuto combattere perché fosse accettata dai commissari, nonostante i diritti di Giorgio fossero tutelati dalla legge. Ci sono ancora molta ignoranza e pregiudizi, purtroppo, su queste situazioni. È sempre la burocrazia lo scoglio, non la scuola in sé. Per fortuna Giorgio è un lottatore ed è sempre riuscito a cavarsela comunque. Ha sempre mantenuto un atteggiamento positivo, senza lamentarsi, cercando soluzioni alternative, mettendosi in gioco in prima persona. Ho cercato di insegnargli che bisogna sempre muoversi e impegnarsi a fondo, senza aspettare che le risposte cadano dall’alto».

Anche Daniela ha vissuto la sua situazione familiare come uno stimolo: «Ha imparato a dare il massimo in tutto, a non lasciarsi scoraggiare, e spesso le difficoltà tutto sommato “normali” che incontrava le sembravano poca cosa rispetto a tutto quello che avevamo già affrontato insieme in famiglia. Quando si è trattato di scegliersi un piccolo lavoro da affiancare agli studi ha avuto l’occasione di fare l’assistente educatrice in una scuola materna. Ero un po’ perplessa, mi chiedevo se non avesse già abbastanza esperienze con la disabilità fra le mura di casa, lei invece sentiva che era la strada giusta, in cui aveva sensibilità e competenze in più da poter offrire. Si è laureata in psicologia specializzandosi nei processi evolutivi dei bambini e ora insegna in una scuola materna. Sono felice che nonostante tutto i miei figli siano riusciti a seguire la propria vocazione e siano soddisfatti di ciò che fanno».

Molti problemi di Nadia e della sua famiglia in questi anni sono nati dalle difficoltà burocratiche: «Anche solo per avere un paio di scarpe adatte alle esigenze dei miei figli bisognava provvedere a certificati, documenti, e poi fare lunghi giri tra gli uffici. Non parliamo poi delle terapie e degli ausili. Il peso della burocrazia contribuisce a rendere situazioni come la nostra molto più difficili da sopportare». Nadia si è separata quando i suoi figli erano piccoli e ha trascorso molti anni da sola prima di lasciar entrare qualcun altro nella loro vita: «Mio marito Massimo – dice sorridendo – ha instaurato un rapporto molto intenso e costruttivo con i miei figli». Da due anni è presidente dell’associazione «Costruire integrazione» (info sul sito www.costruireintegrazione.org): «Nata dall’incontro di alcuni genitori una quindicina d’anni fa, si concentra soprattutto sull’organizzazione di iniziative per il tempo libero dei ragazzi. Per noi è stata di grandissimo aiuto fin da quando i miei figli erano piccoli. Le famiglie, dopo la scuola, rimangono sole ed è importante promuovere attività che favoriscano le relazioni sociali tra ragazzi “normodotati” e quelli con disabilità. Nel tempo i nostri figli sono cresciuti, le loro esigenze sono cambiate, sono nati tanti progetti diversi».

Ora l’associazione gestisce con la cooperativa Impronta lo spazio «Clab» a Redona, in via Buratti: «Le attività si svolgono nei pomeriggi e nei weekend e sono aperte a tutti. È un luogo dove sperimentarsi, tessere nuovi legami e crescere insieme». Le proposte sono molte, alcune si concentrano anche sui ragazzi più grandi: «Abbiamo organizzato anche alcuni weekend con la cooperativa “Lavorare insieme” – racconta Nadia – in cui i nostra figli si staccano dalla famiglia e sperimentano nuove forme di autonomia. È importante per noi, che a volte pensiamo a cosa potrebbe accadere quando non ci saremo più, poter partecipare a iniziative come questa». Nei mesi estivi l’associazione – compatibilmente con la disponibilità di fondi, dato che le attività si reggono sulle donazioni – organizza anche campi estivi: «Si svolgono nei mesi di luglio e agosto e anche in questo caso il filo conduttore è l’integrazione tra bambini e ragazzi normodotati e con disabilità in contesti piacevoli di giochi, gite, viaggi. Ci piace sognare un mondo in cui questi rapporti diventino più facili e non siano più segnati dal timore, dall’imbarazzo o dai pregiudizi».

Anche in questo impegno Nadia segue il motto di don Milani, «I care», «mi sta a cuore»: «C’è stato un periodo in cui ho dovuto dedicarmi soprattutto ai miei figli, penso che ora sia venuto il momento di allargare gli orizzonti e di pensare anche agli altri, e cerco di diffondere questo stile anche fra gli altri genitori: siamo a servizio di tutti, non soltanto delle nostre famiglie. Sarebbe bello rafforzare la rete tra tutte le realtà che si occupano di disabilità sul territorio, per confrontarsi su ciò che vivono quotidianamente e trovare risposte nuove. Siamo una piccola realtà, ma abbiamo grandi sogni».

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