Nei suoi dipinti riapre il «cuore-cassetto»
dove nascondeva i ricordi più tormentati

Mamma a soli 19 anni racconta la sua vita attraverso i quadri. La mostra all’Onp Bistrò fino al 27 novembre.

Non tutte le cicatrici si vedono. Alcune restano nascoste dentro di noi, invisibili a tutti, come mappe segrete che segnano la nostra storia, le nostre scelte. Il tempo leviga e smussa i margini, ma il dolore resta lì, finché non si trova una strada per farlo affiorare, cambiargli forma e trasformarlo in qualcos’altro. La strada che Silvia Rago ha trovato è l’arte. Le sue opere sono in mostra all’Onp Bistrò fino al 27 novembre (via Borgo Palazzo 130, in città, aperto ogni giorno dalle 8 alle 16). «A volte le parole non bastano – scrive Alessandro Baricco –. E allora servono i colori. E le forme. E le note. E le emozioni». Il titolo dato all’esposizione di Silvia non a caso è proprio: «Rinascere nell’emozione».

Le cicatrici arrivano da lontano

Le sue cicatrici arrivano da lontano. I suoi genitori si sono separati quando lei aveva soltanto tre anni. Nella sua infanzia ci sono state molte solitudini: suo padre se n’è andato, lasciando dietro di sé lunghi anni di assenza e di abbandono, in preda alla sua personale oscurità. Sua madre si è dovuta impegnare molto per mantenere lei e la figlia, e allo stesso tempo riuscire a superare la sua crisi personale. Silvia ha incontrato quindi il mondo nel modo più duro, più difficile, senza la protezione di affetti solidi, camminando da sola per le strade di una periferia in cui dominava la legge del più forte, e le ragazze potevano facilmente diventare prede. Era poco più di una bambina quando si è imbattuta in qualcuno che l’ha ferita profondamente, riempiendola di lividi dentro e fuori.

L’incontro con Matteo

Ha dovuto lottare per superare quel periodo, e i suoi studi ne hanno risentito: «Ho frequentato le scuole superiori per due anni, poi ho lasciato perché volevo lavorare per costruirmi una vita diversa, solo mia. Avevo un profondo desiderio di rivincita, volevo conquistarmi l’indipendenza. Cercavo di riprendermi la leggerezza che nell’infanzia e nell’adolescenza non avevo potuto avere». L’incontro con un giovane, Matteo, le ha dato la spinta giusta, e nel giro di qualche anno si è fidanzata e sposata: «Il matrimonio ha segnato una svolta importantissima nella mia vita, anche se mio marito e io siamo molto diversi, come il sole e la luna, come la montagna e il mare». Finalmente ha avuto una casa tutta per sé, per la sua famiglia. Ha avuto la prima figlia a 19 anni, il secondo dopo altri tre, ora ne ha compiuti 31.

Silvia col tempo ha trovato la forza di raccontare la sua storia con i dipinti. Ce n’è uno speciale in cui si vede un cuore diviso in molti «cassetti». In ognuno ha deposto qualcuno dei suoi ricordi, con i sentimenti che le suscitano: «Metterli da parte mi ha aiutato a costruirmi una corazza, ad affrontare le situazioni una alla volta, quando avevo le energie necessarie per farlo».

Quei cassetti da riaprire

È stato un processo lungo, accompagnato per un certo periodo da una terapia psicologica, che l’ha aiutata a ricostituire il suo ordine personale. L’ha fatto con molto coraggio e determinazione. Ora può dire di avere le chiavi di quei cassetti, di poterli aprire e ripercorrere senza paura, seppure a volte il dolore sia ancora lì, dietro la porta. «A volte mi fanno notare che sono una persona fin troppo sincera e senza filtri, e credo che questo dipenda anche dalla mia storia. Può essere un pregio, ma mi ha creato anche tante difficoltà. Non è facile essere così, ma non voglio più maschere nella vita, sento di averne messe già troppe in passato».

È trascorso molto tempo e Silvia è maturata: «Allora mi sembrava che la scuola non mi servisse, col tempo però ho cambiato idea e ho ricominciato a studiare. Gli ostacoli mi hanno un po’ indurita, costretta a diventare adulta in fretta ma alla fine mi hanno reso anche più forte. Prenderò il diploma da privatista, e poi chissà, mi piacerebbe iscrivermi all’università, alla facoltà di Psicologia, se andrà tutto bene. Mi piacerebbe in futuro associare l’uso del colore alla psicoterapia per aiutare altre persone a stare meglio, com’è successo a me».

Le esperienze lavorative

Negli anni Silvia ha fatto molte esperienze diverse, ha lavorato come commessa e come impiegata, e svolto il servizio civile come educatrice in spazi gioco e scuole materne: «È stata un’esperienza bellissima e importante, mi sono appassionata molto a questo lavoro. Anche dopo ho continuato a lavorare come assistente educatrice». Ora però sogna di riuscire a mantenersi un giorno grazie alle sue opere d’arte.

I primi anni di matrimonio sono stati impegnativi: «Trovarsi con due bambini da crescere, quando ero ancora molto giovane e senza grandi esperienze non è stato facile, la vita familiare è faticosa, anche se piena di soddisfazioni. Per tanti anni mi sono dedicata completamente al lavoro, ai figli, alle faccende quotidiane, alle riunioni a scuola, senza cercare nient’altro». A un certo punto, però, è stato come se la vita avesse deciso di chiederle il conto: «Non sapevo più chi fossi, mi sembrava che mi mancasse qualcosa. Quello spirito ribelle - ma sano - che avevo dentro di me dall’adolescenza reclamava il suo spazio. Era un po’ come se mi fossi tagliata le ali e messa da sola in gabbia. Ho cercato di ragionare su me stessa, di ricavarmi degli spazi di silenzio e di riflessione. Mi sono accorta che nella mia vita c’erano tante cose che non andavano. Mi sono sentita un po’ sola, insoddisfatta, come se avessi dimenticato cos’era davvero essenziale, come se le giornate mi scivolassero addosso mio malgrado. È stato in quel momento che ho scoperto i colori».

La pittura intuitiva

Come scrive Vasillij Kandinskij «il colore è un mezzo per esercitare sull’anima un’influenza diretta. Il colore è un tasto, l’occhio il martelletto che lo colpisce, l’anima lo strumento dalle mille corde». L’inizio per Silvia è stato casuale, è incominciato tutto con un corso organizzato da un’amica: «La tecnica utilizzata era quella della pittura intuitiva. Mi attraeva all’inizio, ma non sapevo che cosa ne sarebbe venuto, ho tentato. È stata una vera scoperta, una rivoluzione: ho avvertito come uno scricchiolio interiore, è stato come se le serrature dei cassetti che avevo nel cuore - quelli che poi ho disegnato e che racchiudono momenti dolorosi del mio passato - saltassero una alla volta. Mi sono detta: anche quella è una parte di me, e così sono riuscita a farla uscire, a rappresentarla nei miei quadri».

Silvia ha da sempre una vena creativa, anche se prima non aveva mai avuto la possibilità di coltivarla: «Quando ero alle elementari mi appassionava disegnare cartamodelli. Ricordo che la maestra mi aveva anche proposto di partecipare a un concorso, ma poi era finita lì, non avevo dato altro spazio a quella passione, non avevo mai sperimentato in altri modi l’uso del colore. Amo il teatro, ho seguito corsi per molti anni. Mi interessano le mostre, i musei e leggo volentieri. C’è da sempre in me il desiderio di trovare un modo per andare oltre i limiti della vita quotidiana, strumenti che mi offrano la possibilità di esprimere ciò che sento».

Concentrata sulle emozioni

Ecco perché fin dall’inizio la sua pittura si è concentrata sulle emozioni: «Mi piace collegare a ogni quadro uno scritto mio o di un altro autore che sento risuonare in me. Mi sono concentrata in modi diversi sulla rabbia, sul dolore, sulla gioia, sulla maternità, sulla femminilità. Non sono in molti a cogliere subito il significato di un’opera d’arte, per me però è stato fin dall’inizio molto importante che il contenuto del quadro fosse chiaro e comprensibile. Così mi sembra di riuscire ad avvicinare meglio le persone, sento il bisogno di condividere. Questa attività mi ha aiutato a trovare un nuovo sguardo sul mondo, un orizzonte più ampio, uno scopo nella vita. I miei figli stanno crescendo e questo mi permette di avere un po’ di tempo libero. Dipingo in casa e loro sono incuriositi dai miei strumenti di lavoro, dalle mie opere, mi fanno tante domande e cerco di far capire loro perché la pittura e i colori per me siano così importanti. Mi sembrava di vivere soltanto in superficie, ora ho ritrovato un contatto con la mia parte più profonda».

Le mostre

Silvia ha incominciato a dedicare più tempo alla pittura: «Sono andata a comprare tele e colori e mi sono messa al lavoro. Pian piano sono arrivati risultati insperati. Mi piace moltissimo dipingere e ho visto che la gente comprende e apprezza i quadri. Così ho incominciato a proporli ad alcuni locali di Bergamo che ospitano mostre di artisti locali, ho organizzato qualche vernissage, ho incominciato ad accostare poesie e immagini. Ho caricato alcune foto su internet e sono stata contattata da alcune gallerie che mi hanno proposto mostre vere e proprie: è stata una soddisfazione enorme, all’inizio mi sembrava incredibile. Non so cosa accadrà ora, forse sarà un’altra parentesi della mia vita, forse no. Anche in questa nuova attività vorrei restare fedele a me stessa, continuare sempre ad attingere alle emozioni da cui sono scaturiti i miei primi lavori artistici». All’inizio aveva scelto uno pseudonimo per presentarsi alle mostre, «Red Girls», ragazze rosse. «Qualcuno mi chiedeva chi fossero le altre artiste, dato che quel termine era declinato al plurale, ma l’avevo concepito così per dare voce ai diversi aspetti della mia personalità, ai movimenti dell’anima, alle emozioni, come se ognuna fosse un personaggio della rappresentazione artistica. È passato un anno e mezzo da quando ho iniziato a esporre, e la mostra all’Onp Bistrò è una tappa importante: è la prima volta che mi presento col mio nome».

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