Nonno Jonny e l’insegnamento ai nipoti: «La natura molto meglio dei videogame»

Sabato 2 ottobre è la Festa dei nonni. La storia di Jonny Scolari, 62 anni: nella fattoria didattica «La Merletta» di Almè accoglie bambini e persone con disabilità: «Qui anche i ragazzi più chiusi, poco a poco, prendono fiducia».

«Ai miei nipoti insegno ad amare la terra», racconta Jonny Scolari, 62 anni, un nonno un po’ fuori dal comune. Anche lui sarà festeggiato oggi per la Festa dei nonni. La sua casa è la fattoria didattica «La Merletta» ad Almè, soprannominata proprio «Inawakan», che nella lingua degli indiani Lakota significa Madre Terra. Coltiva una grande passione per gli indiani d’America da quando era piccolo, ma Jonny è originario di Gorno, in Valle Seriana: da quella cultura ha preso un grande rispetto e cura per la natura e gli animali, che sono parte integrante della sua vivace, allegra e chiassosa «famiglia allargata». Jonny e la moglie Giuliana hanno tre figlie: Sara, Marta e Rossana, e due nipoti Lorenzo di nove anni e Davide di sei. Jonny però fa da «nonno» e da guida anche a tante altre persone, prima di tutto ai ragazzi con disabilità che tutti i giorni arrivano dai centri diurni di città e provincia per svolgere attività a contatto con la natura. D’estate ospita anche un «campo estivo» al quale partecipano da anni tanti ragazzi. «Jonny – sorride Sara – insegna ai miei figli moltissime cose che a scuola non potrebbero imparare. Conoscono tutti i nomi delle erbe selvatiche e delle piante del bosco, sanno distinguere quali sono commestibili e quali velenose. Li sorprendo ad assaggiare strane varietà e mi spiegano che il nonno gli ha detto che si possono mangiare».

I videogame, in fattoria, hanno una vita breve. «Non li lascio stare sul divano – dice Jonny –. Cerco di coinvolgere i miei nipoti nei compiti della nostra vita quotidiana come la cura dell’orto e degli animali. Li conoscono tutti per nome, gli danno da mangiare». Ci sono tacchini, pavoni, pulcini, galline, gli asini, le pecore inglesi, le capre, i cavalli. «Questi terreni – sottolinea Jonny – sono ancora integri, ci sono prati e boschi, rispettiamo tutte le forme di vita e lasciamo agire la natura. Stare a contatto con la natura aiuta le persone a stare bene, anche se non tutti se ne rendono conto».

La saggezza di nonno Jonny è insieme antica e attuale, un aiuto a ritrovare il contatto con le stagioni, i cambiamenti del clima, gli ortaggi, i frutti. «I miei figli – continua Sara – imparano da lui i segreti della tradizione contadina e della vita degli animali domestici e selvatici, conoscenze che possono valorizzare anche a scuola. E poi le canzoni di montagna che cantiamo spesso insieme. Sono fortunati ma ogni tanto lo dimenticano. Lo hanno riscoperto nel periodo della pandemia. I loro compagni erano costretti in spazi ristretti nei periodi di chiusura, loro avevano tanto spazio per muoversi e per giocare. In quel momento hanno potuto apprezzare fino in fondo quanto possa essere bello e prezioso vivere in un ambiente come questo». «Quando arrivano i ragazzi delle scuole in visita i miei nipoti fanno da guida, raccontano la storia delle piante e degli animali, e io mi sento molto fiero di loro, di aver avuto la possibilità di trasmettergli ciò che so, ma soprattutto l’amore e il rispetto per ciò che li circonda». Entrare nella fattoria è come scoprire un mondo nuovo, in cui Pedro, il maialino, è la mascotte di tutti i bambini, le pecore girano libere sotto lo sguardo attento dei cani, gli uccellini accompagnano tutte le attività cinguettando allegramente, e Jonny ogni tanto va a chiacchierare con Pepito, il pappagallo. Jonny ha un passato difficile, negli ultimi vent’anni ha affrontato molti problemi di salute: alcuni infarti, due interventi per aneurismi cerebrali, da quattro anni lotta con un tumore. Non ne parla volentieri, ma dalle sue parole, dai suoi gesti, affiorano molto coraggio, capacità di resistenza e gioia di vivere, che lui attinge costantemente dalla vicinanza con la natura. «Sono fortunato, questo mio percorso accidentato mi ha insegnato ad apprezzare sempre di più la vita. Dopo la malattia mi sembra tutto ancora più bello. Ne ho viste tante negli ultimi vent’anni, ma ogni giorno qui trovo la felicità attraverso gesti concreti e incontri sempre speciali. Vedo accadere tanti piccoli miracoli, semplici eppure sorprendenti: ci sono ragazzi che quando arrivano per la prima volta sono chiusi in se stessi, non parlano, ma poi pian piano prendono fiducia e si lasciano andare. Qualcuno alla prima visita ha paura degli animali ma poi riesce a superarla. Ci sono persone con disabilità motoria che con costanza e impegno, accompagnati con pazienza e dolcezza, superano i loro limiti e fanno progressi inaspettati. Nel periodo della pandemia abbiamo sentito la loro mancanza perché ci insegnano molto, a volte sono loro a indicarci la strada e ad aiutarci ad apprezzare anche la routine quotidiana, a scoprire per esempio quanto può rendere felici seguire la vita di una pianta dalla semina alla raccolta dei frutti. In questo modo la terra ti fa scoprire il senso più autentico della condivisione. Mi piace pensare a questa fattoria come a una piccola scuola dove non si imparano la scienza o la matematica, ma si impara ad amare attraverso il contatto con la natura».

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