Principesse, stelle filanti e cavalieri
Alleati preziosi per combattere il male

Amici della pediatria In campo da 30 anni per aiutare i bambini in un ambiente difficile come l’ospedale.

Principesse, ballerine, fiori, stelle filanti e cavalieri: Vanessa, 8 anni, nella sua stanza d’ospedale al Papa Giovanni XXIII ha creato con la mamma Lara un mondo tutto suo, scintillante di colori e paillettes. Perfino i vasetti dei medicinali e quelle siringhe, che le fanno tanta paura, sono stati convertiti in strumenti per lavoretti e travasi. La luce del suo sorriso è la cosa più grande e sorprendente in quello spazio, una volta nudo e bianco, ora trasformato dalla fantasia. È questa la magia dell’Associazione Amici della pediatria (Adp, www.amicidellapediatria.it), che nel 2020 compie trent’ anni. Un incanto che si ripete in modo diverso in ogni stanza all’ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo.

«La vita dei bambini - osserva la presidente Milena Lazzaroni - non si può fermare, neanche quando sono costretti a letto». Sono tante le attività, iniziative e progetti in campo perché questa condizione possa realizzarsi: giocare, imparare, crescere perfino in un momento cupo come la pandemia, anche in un ambiente «difficile» come una corsia ospedaliera, dove ogni giorno, in silenzio, ognuno dei piccoli pazienti combatte la propria battaglia, offrendo un esempio di coraggio e resistenza. All’inizio, nel 1990, c’è stata la determinazione di Federico Bergonzi, primario che sapeva guardare lontano, con la moglie Giusi Quarenghi e il collega PierEmilio Cornelli, che hanno firmato l’atto costitutivo: «Bergonzi è stato tra i primi - ricorda Cornelli - a strutturare il nido in modo che le mamme potessero prendersi cura dei neonati fin dai primi giorni, e poi ad accogliere in pediatria un genitore per 24 ore con il figlio, una pratica che si è poi diffusa nelle strutture sanitarie di tutta Italia. L’idea di creare un’associazione è nata dalla consapevolezza che l’ospedale non poteva rispondere a tutte le esigenze dei bambini ricoverati e delle loro famiglie, e che avrebbe potuto essere un sostegno prezioso anche per le attività ordinarie del reparto. E così è stato, grazie ai tanti volontari che hanno messo in campo impegno, sensibilità e competenza».

Bergonzi era fortemente convinto che «prendersi cura» sia la precisa declinazione di «curare»; come spiega Giusi Quarenghi: «Quando un bambino si ammala, in un certo senso si ammala anche la vita intorno a lui. Il benessere del bambino ha molti aspetti, che il piano terapeutico ha da tenere presenti; affettività, vissuti, relazioni, attività possono entrare virtuosamente in circolo con le terapie cliniche e impedire che ricovero e malattia siano vissuti come una brutale interruzione del flusso quotidiano del vivere. Un ambiente sereno, un modo di comunicare che informi adeguatamente, che crei vicinanza empatica possono aiutare ad affrontare percorsi difficili, generando energie e alleanze preziose. L’associazione è stata necessaria nell’accompagnare bambini e famiglie nel percorso di cura, per proporre a bambini e ragazzi malati, anche in gruppo, esperienze che sembrerebbero vietate, non attinenti alla terapia. E invece gioco, letture animate, teatro, clown, incontri, laboratori, non sentirsi malati da soli, qualche uscita insieme, perfino qualche viaggio hanno giovato a grandi e piccoli per vivere la malattia non solo come contraria alla vita».

Fra le prime iniziative avviate ci sono state la mediazione culturale, per affiancare la presenza crescente di famiglie straniere, e la presenza dell’assistenza psicologica, ora entrambe prese in carico dall’ospedale. «Non c’è a questo mondo scoperta o progresso che tenga - scriveva Albert Einstein - finché ci sarà anche un solo bambino triste». Questa è stata la molla per i molti volontari - oggi circa duecento - dell’Adp, come Stefania Madaschi, che ne fa parte da ventun anni: «Nella mia famiglia - racconta - tutti sono impegnati nel volontariato, quindi per me è stata una scelta naturale. Ho iniziato quando mio figlio era piccolo. Ricordo il periodo intenso di formazione e poi la mia prima visita in corsia: è stata un’emozione, e continua ad esserlo a ogni turno, perché ogni incontro è diverso. Questa attività ormai fa parte della mia vita, non potrei più farne a meno, e nel tempo mi ha dato moltissimo: uno sguardo diverso sulla realtà, serenità, forza, la capacità di reagire a periodi brutti come lo scorso inverno, quando ho perso entrambi i miei suoceri per colpa del covid». La pandemia ha costretto l’associazione ad adattarsi: «Prima del coronavirus potevamo offrire sostegno concreto. Stavamo per esempio con i bambini mentre i genitori si concedevano un pranzo o una doccia, potevamo stemperare, se necessario, i momenti di tensione, eravamo disponibili ad ascoltare sfoghi e confidenze. Ora non possiamo entrare nel reparto, ma solo nel magazzino dove prepariamo i kit da consegnare ai bambini ogni venerdì: borse piene di pastelli, quaderni, cartoncini, libri, giochi su misura per ognuno.

Ci colleghiamo con i pazienti a orari stabiliti e facciamo volontariato a distanza chiacchierando, giocando, cantando insieme, cercando di rendere costruttivo il tempo trascorso in ospedale». Milena Lazzaroni, ora presidente, ha iniziato la sua avventura fra gli Amici della pediatria 17 anni fa dopo aver sperimentato sulla propria pelle l’esperienza della malattia: «Ho trascorso momenti duri, durante i quali sono stata ricoverata in città diverse e ho avuto alcuni incontri con volontari ospedalieri, non sempre positivi. Quando ho conosciuto questa associazione ne ho ricavato un’ottima impressione e questo mi ha convinto a impegnarmi in prima persona. Dopo una diagnosi infausta, dopo essere riuscita a sovvertire i pronostici, ho pensato di dare così un significato in più alla mia seconda vita». L’entusiasmo dei bambini è contagioso: «In corsia si sente il profumo dell’intensità della vita, è un regalo che porto sempre con me, un invito continuo alla speranza.

Noi diventiamo compagni di viaggio per le famiglie in un periodo denso di emozioni. Per questo sentono spesso il desiderio di renderci partecipi di ogni piccola conquista: i primi passi, le prime parole, ogni piccolo miglioramento. Condividiamo fino in fondo rabbia, tristezza, sconforto, ma anche la felicità». Milena è stata consigliere, poi tesoriere, e dal 2012 ha assunto la presidenza, e man mano ha imparato anche a stare dietro le quinte, a mettere in moto fili e meccanismi che fanno funzionare progetti e iniziative, e che generano nuovi sogni: «Quando devo decidere come orientare le risorse che raccogliamo con donazioni e manifestazioni benefiche, cerco di mettermi nei panni dei bambini. Alcuni sono veri guerrieri e hanno un sorriso che riempie il cuore. Pensare a loro mi dà forza e mi aiuta a fare le scelte giuste». Ci sono tanti aspetti a cui pensare: «Prima di tutto, per esempio, benessere e formazione dei volontari, che sono sempre in prima linea. Ognuno è come un foglio bianco che entra in punta di piedi nel reparto, ascolta, consola, con la consapevolezza di non poter offrire soluzioni ma solo presenza e vicinanza».

Tra i fiori all’occhiello dell’associazione c’è il progetto «Crescendo giocando»: «Il gioco - continua Milena - è il lavoro del bambino, gli permette di crescere. Noi lo accompagniamo assicurando la presenza di tre pedagogiste. Il loro compito è mettere a punto attività mirate e costruire percorsi che si sviluppano nel tempo. Così i bambini scoprono di poter acquisire nuove abilità anche in ospedale. Questo progetto è nato vent’ anni fa e ora è in versione “pad”, pedagogia a distanza. Così la pandemia è stata per noi motore dell’innovazione che intendiamo proseguire, anche come sostegno in più per quei bambini che devono stare in isolamento a causa delle loro patologie. Abbiamo tanti progetti per il futuro, e tra essi il potenziamento della rete di collaborazione con le altre associazioni presenti in ospedale, per incanalare meglio risorse ed energie. Stiamo pensando poi di costruire una nuova casa che si affianchi a quelle già esistenti per accogliere i bambini malati che arrivano da lontano, e che risponda anche alle esigenze speciali delle situazioni più complesse, come i trapianti». L’Adp appoggia in modo significativo l’attività del reparto, come sottolinea il primario Lorenzo d’Antiga: «Per noi è una risorsa fondamentale per l’assistenza ai bisogni dei bambini e delle famiglie che non possono essere soddisfatti dall’istituzione come gioco, accudimento e accompagnamento. Contribuisce anche a rispondere a esigenze materiali come l’acquisto di strumenti specialistici e servizi come il Wi-Fi per le famiglie.

Sostiene inoltre con borse di studio la presenza di medici specializzandi e di figure dedite alla raccolta di dati per la ricerca». Le attività dell’associazione diventano cruciali per i bambini costretti a lunghi ricoveri come Einar, arrivato dall’Albania quando aveva solo due mesi: ha subito due trapianti, oggi ha due anni e non conosce altri luoghi a parte la pediatria del Papa Giovanni e, negli intervalli fuori dall’ospedale, la famiglia allargata de La Casa di Leo, comunità d’accoglienza di Treviolo. «Sono grata all’associazione - afferma la mamma Angela - per avermi aiutato a imparare l’italiano e per la vicinanza e l’affetto che ci dona. Stare all’ospedale a volte fa paura, grazie ai volontari non ci sentiamo mai soli». Uno dei giochi realizzati insieme, spiega Melania Vitali, una delle pedagogiste, è quello di soffiare desideri, sogni e preghiere nelle bolle di sapone, perché si sollevino leggeri nell’aria: «Speriamo che questo soffio - dice Angela con un sorriso - li porti molto in alto, e che qualcuno li ascolti». Non c’è covid che tenga: l’associazione ora si sta preparando a portare Santa Lucia e Natale in corsia, come ogni anno, «perché ai bambini - conclude Milena - non possono mai mancare gioia e speranza».

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