Romina, prima le botte e le violenze
«Ora l’inferno alle spalle e una nuova vita»

Romina aveva 22 anni quando si è innamorata di un collega. L’ha sposato, poi la lunga serie di violenze. Il coraggio di chiedere aiuto, le nuove nozze e un figlio.

La potenza dell’amore non le permetteva di vedere la verità quando non il cuore, ma erano le mani dell’amato a parlare, in una lingua sconosciuta al vero sentimento. L’ha vissuto sulla sua pelle, Romina, un amore malato.

Le dita che le accarezzavano le guance la sera si sono fatte sempre più pesanti con gli anni e il bacio del mattino si è trasformato in un soffio minaccioso che restava sulla sua pelle anche se lui non c’era. La sua forza ha vinto però i legami dell’oppressione. Si è liberata, e con la stessa forza ha fatto sbocciare un nuovo fiore nella sua vita, un uomo con cui ha dato alla luce un figlio, il seme più fertile con cui coltivare la speranza nel mondo.

Un uomo brillante

Romina aveva ventidue anni quando, tra le scrivanie dell’ufficio, le farfalle avevano preso posto nel suo stomaco. Si era innamorata convintamente, con una forza che l’aveva portata all’altare, quattro anni più tardi, con quell’uomo tanto brillante e stimato da tutti con cui sperava di poter condividere una vita. Lui viaggiava spesso per lavoro, a volte restava lontano da casa per settimane intere, e quando tornava le cose sembravano andare per il meglio. Le aspettative rosee, con l’andare del tempo, hanno però lasciato terreno a qualcosa che strideva con il legame che era stato condiviso fino ad allora. Così molte banalità si trasformavano per lui in occasioni prima per alzare la voce, poi per rimproverare con violenza. Un calcio o un pugno erano la risposta qualora lei rovesciasse lo shampoo o rompesse un piatto, gesti che erano accompagnati da quelle terribili sentenze ricorrenti: «Il problema sei tu, non io», «Non vali niente». Romina confidava che quell’insieme di colpi e di minacce fosse una difficoltà che si potesse risolvere insieme con la buona volontà, con qualche rinuncia o con una seduta di coppia, ma era l’unica ad essere di questo avviso. A tre anni dal matrimonio, dopo l’ennesimo episodio violento, lui esce di casa sbattendo la porta e lancia, convinto che lei non se ne sarebbe fatta nulla, quella sfida che Romina si fa coraggio di raccogliere: «Ce la posso fare anche senza di te». Lei sente qualcosa scattare nello stomaco, proprio quando il telaio della porta trema e fa vibrare la parete. Si mette ad ordinare la casa, invaligia un pugno di vestiti e chiude per l’ultima volta quella porta, facendo ritorno alla casa dei genitori. «Mi ero accorta che quello che stavo vivendo sulla mia pelle non era più amore – commenta Romina -. Lui mi pregava di ritornare sui miei passi ma io avevo deciso di lasciarmi quell’inferno alle spalle. Ho vinto le sue chiamate, le sue preghiere, la sua crescente gelosia che col tempo si è fatta minacciosa. Voleva sapere dove fossi, con chi fossi, com’ero vestita, ma avevo chiuso una pagina, ed ero determinata a non aprirla più».

L’ultimo capitolo

Vent’anni sono trascorsi dall’ultimo capitolo di quell’amore violento, lasciato nel passato ma che tutt’ora rievoca una cicatrice invisibile ma sensibile, che si riapre mostrando i segni di quello stato dell’animo che Romina invita tutte coloro che hanno vissuto un amore violento sulla loro pelle a superare: «Non bisogna provare vergogna nell’uscire allo scoperto – sottolinea Romina –. Mi sono sentita giudicata quando ho raccontato che per anni non sono riuscita a parlarne. Per ogni donna vittima di violenze si nascondono diversi motivi che limitano la scelta di abbandonare un rapporto amoroso deviato. Voglio sottolineare che la vera forza è in mano a coloro che subiscono e che si possono rialzare, perché non è per colpa loro che accadono queste esperienze. Bisogna credere fortemente di essere capaci di chiedere aiuto e occorre sapere che ci sono persone specializzate su cui contare per riprendere in mano la propria vita». Il supporto di un centro specializzato ha aiutato Romina a rialzarsi. La sua forza è testimoniata dall’impegno profuso a vantaggio del Centro aiuto donna di Bergamo, presso il quale esercita ancora il ruolo di volontaria. «Sono entrata a farne parte quando avevo superato il periodo più buio – prosegue – ma non ne sono più uscita. Mi hanno teso una mano e sentivo che la mia esperienza avrebbe potuto aiutare altre donne in difficoltà».

Oggi Romina, sposata e con un figlio di dodici anni, lancia un messaggio di speranza, accompagnato da un monito per tutti. «Credete nell’amore – confida –, perché le farfalle nello stomaco possono tornare a volare. Non è semplice, perché bisogna posare i propri passi su un sentiero che ha fatto molto male, ma abbiate forza e abbracciate la vita. Per tutti coloro che vedono queste esperienze dall’esterno: non voltate lo sguardo. Perché un livido, uno sguardo basso, ha sempre scritto il suo perché».

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