«Tumore», ma la diagnosi è errata
Vince la causa con l’ospedale

Una cinquantenne della zona del Sebino risarcita con 100 mila euro: è la cifra stabilita dal Tribunale civile, che ha condannato il «Papa Giovanni XXIII» per una diagnosi sbagliata di carcinoma alla mammella.

Paragonata alla notizia che il suo tumore alla mammella era figlio di un errore diagnostico, è possibile che la sentenza le sia valso poco più di un sorriso. Ma dopo cinque anni, da martedì la signora, cinquantenne bergamasca della zona del Sebino, ha un pensiero in meno e 100 mila euro in più. È la cifra stabilita dal tribunale civile che ha condannato il «Papa Giovanni XXIII» a risarcire la paziente che nel 2014 aveva ricevuto all’ospedale la pessima notizia: carcinoma duttale infiltrante G2 alla mammella.

Necessario l’intervento chirurgico: una quadrantectomia (asportazione di un quarto della mammella) o l’asportazione della mammella e protesi di ricostruzione. Confusa, la donna si era rivolta all’Istituto Europeo di Oncologia di Milano che sulla base della documentazione del «Papa Giovanni» l’aveva sottoposta a quadrantectomia. Ma, a sorpresa, l’esame dei linfonodi aveva dato esito negativo: il tumore non c’è, deve esserci stato un errore nella diagnosi. Ritenendo di dover esser risarcita, la signora nel 2016 si rivolge all’avvocato Nicola Todeschini di Treviso che contatta l’ospedale per un accordo stragiudiziale. «Ma l’ospedale non è stato disponibile a risarcire, nemmeno dopo l’accertamento tecnico preventivo disposto dal tribunale che ha attestato l’errore diagnostico», spiega l’avvocato. Perciò, «nel dicembre 2018 abbiamo intentato causa, arrivando alla sentenza in 11 mesi. Sbagliare è umano, ma difendersi all’infinito è più colpevole dell’errore. Dovuto, riteniamo, a un probabile scambio di vetrini». Ma l’ipotesi dello scambio e la versione del legale vengono contestate dal «Papa Giovanni». «Non si è trattato di uno “scambio di vetrini”. Purtroppo si è verificato un errore di interpretazione diagnostica, un’eventualità rara ma possibile nella lettura di un campione istologico, che ha variabilità soggettiva da operatore a operatore», sostiene l’ospedale. Che contesta anche i motivi della causa. «Le tempistiche della vertenza sono dipese anche dal fatto che per lungo tempo la controparte non ha reso disponibili i vetrini per la loro revisione, e dal fatto che le richieste in sede extragiudiziale non erano accoglibili, come ha dimostrato la sentenza, che stabilisce un risarcimento pari a circa la metà di quanto preteso dal legale» (una cifra prossima a 200 mila euro, eccessiva, secondo l’ospedale, per trovare un accordo senza finire in Tribunale).

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