Tutti i dati della «generazione perduta»
In Bergamasca quasi 29 mila Neet
Gli esperti l’hanno già definita «la generazione perduta», forse con un po’ di paternale pessimismo. Certo, guardando i numeri nudi e crudi dei Neet non si può guardare al futuro con il sorriso. «Not in Education, Employment or Training»: l’acronimo inglese non aiuta ad addolcire il significato di un fenomeno troppo spesso sottovalutato, anche in provincia di Bergamo. Sono i giovani che non studiano, non lavorano e non partecipano a percorsi di formazione.
In passato sono stati chiamati «fannulloni», «choosy», incontentabili, esigenti, difficili, schizzinosi. In realtà queste definizioni dispregiative nascondono le ansie e la preoccupazione di migliaia di ragazze e ragazzi che non riescono a darsi un obiettivo di vita. A differenza dei coetanei disoccupati non girano da un ufficio di collocamento all’altro. Finiscono solo per cadere su loro stessi. E rappresentano un costo enorme per la società, sia in ambito economico che sociale. Perché sono una risorsa preziosa non sfruttata, uno spreco di potenziale e un rischio per il futuro. Senza un ruolo preciso nei processi innovativi di un Paese e di una provincia sempre più vecchi, dove i giovani - quelli veri, non i «nuovi» giovani - faticano a imporsi. Lo dimostrano i numeri.

Giornalista
professionista, lavora a L’Eco di Bergamo dal 2016. Redattore della cronaca
cittadina dal marzo 2019 dopo tre anni in redazione web. Amante dei dati in
tutte le loro forme.
© RIPRODUZIONE RISERVATA