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Venerdì 25 Ottobre 2024
Crisi in Medio Oriente, così cambiano le rotte tagliando fuori l’Italia
SCENARI. Il conflitto ha causato il blocco del Mar Rosso costringendo le compagnie a circumnavigare l’Africa. Porti del Mediterraneo penalizzati, meno il Nord Europa.
La crisi infinita in Medio Oriente, il conflitto che si allarga ogni giorno dall’ottobre scorso in avanti, da Israele alla Striscia di Gaza, al Libano, si riflette ancora sul Mar Rosso, che sembra non avere più pace e di conseguenza anche sulle merci che trasportano molti spedizionieri bergamaschi, penalizzati, prima dagli attacchi dei ribelli Houthi e ora dai riflessi di una guerra sanguinosa dagli esiti sempre più incerti.
La tensione continua ad essere altissima, coinvolgendo importatori ed esportatori della logistica che temono che un’escalation tra Israele e Iran metta in ginocchio definitivamente la rotta che collega Asia ed Europa, passando per il Canale di Suez.
Marcello Saponaro, neo presidente di di Asco Bergamo, l’associazione degli spedizionieri e dei corrieri orobici, è molto preoccupato: «La crisi del Mar Rosso continua ad essere un grande intralcio al commercio internazionale e danneggia in particolare l’Europa e e in Italia le province più votate all’export, come Bergamo». Per Saponaro, «non c’è solo la questione dell’aumento dei costi, che pure ci sono stati, e salati. L’aspetto più grave sono i tempi della navigazione aumentati enormemente (circa 20-25 giorni in più) per la circumnavigazione dell’Africa. Ad oggi infatti, la stragrande maggioranza delle compagnie conferma la volontà di non attraversare il Canale di Suez. E così in media si arriva, per esempio in Cina, da sempre una delle mete commerciali più battute, con almeno 60 giorni di navigazione».
Ma oltre al conflitto mediorientale, restano intatti i rischi legati alla presenza nell’area dei ribelli yemeniti. «Rischi concreti - spiega l’esperto Giuseppe Arnoldi, ex Chairman di Global Logistics Alliance e ISS South Africa, originario di Bergamo ma che da 40 anni vive a Città del Capo -: nei mesi scorsi ci sono stati carichi sequestrati, navi ferme, personale ferito o ucciso». Anche Arnoldi spiega come i grandi trasportatori abbiano deciso il cambio di rotta: non più risalire il Mar Rosso e entrare nel Mediterraneo da Suez, ma circumnavigare l’Africa e arrivare nei porti europei dell’Atlantico».
«Riassestamento della logistica»
Secondo Arnoldi, «si tratta di un riassesto delle catene globali della logistica e del commercio: vengono intaccati significativamente i porti arabi del Mar Rosso ed europei del Mediterraneo, compresi quelli di Genova, Livorno e Gioia Tauro. A guadagnarci sono - benché solo marginalmente - alcuni porti europei che si affacciano sull’Oceano Atlantico, specie in Europa del Nord, come Le Havre, Rotterdam, Amburgo e Brema.
La verità, però, è che dal blocco del Mar Rosso ci perdono più o meno tutti. «La rotta Cina-Ue - spiega Arnoldi -, ora ha tempistiche quasi doppie, mentre quella tra Eurozona e India è più che raddoppiata in termini temporali. Le aziende devono impegnare più navi e spendere di più per carburante e personale. E chi paga alla fine? I consumatori, ovviamente».
Per quanto riguarda le merci, «i beni più colpiti sono quelli che partono dall’Asia e arrivano in Europa, soprattutto per una questione di volumi: in Europa si importa tanto e si esporta nettamente meno. Perciò i rincari si vedono su ciò che arriva da Cina, India, Giappone, Corea del Sud, Indonesia. «Tante compagnie hanno tolto navi dalle tratte meno redditizie - quelle che collegano Asia e Africa - per ricollocarle sulle rotte più vantaggiose, come quelle tra Cina ed Europa».
Scali minori tagliati
Infine, per ridurre i tempi di percorrenza, sono stati tagliati tanti scali minori: prima un tragitto-tipo dall’Estremo Oriente prevedeva di partire da Tokyo, fermarsi a Yokohama, spostarsi in Corea quindi in Cina e toccare porti come Shanghai, Hong Kong e poi arrivare a Singapore e ripartire alla volta dell’Arabia, del Mediterraneo e, infine Nord Europa. «Ora molti porti intermedi asiatici ed europei vengono depennati, il che significa meno prodotti disponibili nei mercati d’arrivo (tra cui quello italiano), a un costo più alto», conclude Arnoldi.
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