Il tasso di disoccupazione cala ancora: 3,4%. Ci sono 4mila occupati in più ma 42 mila dimissioni

Fotografia Istat e Provincia 2022 . Aumentano le assunzioni e le cessazioni, cresce anche il tempo indeterminato. Le stabilizzazioni raddoppiano, in testa commercio e servizi: 2.243 posizioni in più. Sempre più donne al lavoro.

Un bel passo avanti quello ottenuto nel 2022 sul fronte occupazione in Bergamasca. Lo rivelano sia i dati annuali Istat usciti ieri sia quelli della Provincia, legati al sistema informativo regionale sulle Comunicazioni Obbligatorie. Il numero più importante (e più atteso) in assoluto è quello legato al tasso di disoccupazione che conferma gli ulteriori progressi post pandemia in Bergamasca, con un ulteriore piccolo ma significativo calo rispetto al 2021: si passa infatti dal 3,5 al 3,4, meno delle metà della media italiana, 8,2, ma anche molto più basso del tasso lombardo che si attesta al 4,9 (il tasso di occupazione orobico è invece del 52,4, in crescita rispetto al 2021). E se la disoccupazione maschile appare davvero attorno alla soglia fisiologica con un tasso del 2,4, comunque più basso del 2,8 del 2021, a sorprendere in positivo è il tasso del 4,8 femminile, che pur essendo doppio rispetto agli uomini, mostra progressi nella classifica regionale, che di solito vedeva Bergamo relegata nelle ultime posizioni. Questo miglioramento del tasso di disoccupazione porta Bergamo al sesto posto nella classifica nazionale (secondo lombardo) dietro soltanto a Bolzano (prima con 2,1), Belluno, Lecco, Pordenone e Verona.

Dati positivi confermati anche dalla Provincia che evidenzia una crescita netta di circa quattromila posizioni (3.951) in riferimento al lavoro dipendente. Risulta dal saldo tra le 148.860 assunzioni e le 144.909 cessazioni (le prime aumentate del 9%, le seconde del 14% rispetto al 2021).

Il saldo equivale a una variazione annua dello stock dei dipendenti di circa l’1,2% e consolida il grande recupero avvenuto già nel 2021 con un rimbalzo di oltre 9mila posizioni dal punto minimo riferito al periodo pandemico. La dinamica occupazionale, partita forte a inizio 2022, si è poi indebolita nel secondo semestre dell’anno, in parallelo al rallentamento del ciclo economico. Tanto che nell’ultimo trimestre le assunzioni hanno frenato e sono aumentate le cessazioni, soprattutto di rapporti a termine.

In calo il tempo determinato

Anche le dinamiche contrattuali sono andate verso un maggior consolidamento, con la riduzione dei contratti a tempo determinato (-3.778), compensati dall’aumento (+7.487) dei rapporti a tempo indeterminato e in apprendistato dovuto a un boom delle stabilizzazioni. Le trasformazioni di rapporti dal tempo determinato al tempo indeterminato sono raddoppiate in un anno, un segnale della scelta delle imprese di consolidare il percorso d’ingresso dei neoassunti e trattenerli in una fase in cui le difficoltà di reperimento del personale e la scarsità dell’offerta di lavoro sono generalizzate.

Per quanto riguarda i vari comparti, comandano il commercio e servizi con una crescita di 2.243 posizioni, seguito da industria (+934), costruzioni (+631) e agricoltura (+188). In tutti i settori la crescita si è poi interrotta nella seconda parte dell’anno, con saldi che si sono accentuati in negativo. Analizzando meglio i vari settori, commercio e servizi risultano ampiamente positivi soprattutto nella logistica, nelle attività professionali, scientifiche e tecniche (trainate dagli interventi di ristrutturazione edilizia) e nei servizi di informazione e comunicazione, sull’onda lunga della digitalizzazione. Per quanto riguarda l’industria, l’occupazione si è allargata specie nella componente dei dipendenti interni a tempo indeterminato, anche se alcuni settori hanno accusato la crisi energetica, mentre la meccanica ha beneficiato della fase positiva dell’export. Le costruzioni sono invece in crescita occupazionale da cinque anni e mezzo, salvo l’interruzione 2020, sostenute inizialmente dal basso livello dei tassi d’interesse, poi dagli incentivi legati agli interventi di riqualificazione edilizia.

Per quanto riguarda i vari comparti, comandano il commercio e servizi con una crescita di 2.243 posizioni, seguito da industria (+934), costruzioni (+631) e agricoltura (+188). In tutti i settori la crescita si è poi interrotta nella seconda parte dell’anno, con saldi che si sono accentuati in negativo

Gli addii, dato che fa riflettere

Un dato che deve far riflettere, è quello legato agli andamenti occupazionali e dovuto anche a movimenti di ricollocazione di lavoratori tra i settori, intensificati, nella fuoriuscita dalla pandemia e post-pandemia, dall’espansione delle costruzioni e dalle transizioni di lunga durata (digitalizzazione e sostenibilità ambientale) che stanno trasformando la struttura economica e il mondo del lavoro. La ripresa della mobilità del lavoro ha così alimentato le cessazioni volontarie: nel 2022 si tocca un massimo storico di oltre 42mila dimissioni classificate, fenomeno presente in tutti i settori, a tutti i livelli professionali e riguardante lavoratori di tutte le età.

La ripresa della mobilità del lavoro ha così alimentato le cessazioni volontarie: nel 2022 si tocca un massimo storico di oltre 42mila dimissioni classificate, fenomeno presente in tutti i settori, a tutti i livelli professionali e riguardante lavoratori di tutte le età

Secondo Orazio Amboni, dell’Ufficio studi Cgil, «sia da Istat che dalla Provincia arrivano dati positivi: l’occupazione aumenta, sia per le femmine che per i maschi, mentre diminuisce la disoccupazione ma in misura differenziata per maschi (-898, pari al -11,5%) e per femmine (in aumento: +585, pari a +6,1%). Il dato femminile va però posto in relazione ad un consistente aumento (+6.445 pari al 3,1%) del numero di donne che lavorano o che sono disponibili a lavorare, facendo così diminuire il tasso di inattività».

Inoltre per Amboni, «le tante trasformazioni dei rapporti di lavoro a tempo determinato in lavori stabili a tempo indeterminato (14.375, raddoppiate rispetto al 2021), sono un passo avanti verso il superamento, o la riduzione, di una delle piaghe dell’occupazione e cioè l’alto tasso di precariato che, nonostante le trasformazioni, rappresenta ancora il doppio delle assunzioni a tempo indeterminato».

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