Intesa, smart working e settimana corta: «Ma non è per tutti»

Il debutto a gennaio. Per i bancari che lavorano in filiale le due modalità sono più difficilmente applicabili. I sindacati: «L’attività svolta non diventi un discrimine».

«Per molti... ma non per tutti» era uno slogan pubblicitario degli anni ’80 di un noto spumante italiano. E il concetto ben si adatta al nuovo modello organizzativo di lavoro che Intesa Sanpaolo adotterà da gennaio. Dato che si tratta di uno dei rari casi in cui la banca non ha trovato una quadra con i sindacati - la trattativa ha preso il via il 5 luglio per concludersi il 15 dicembre con un mancato accordo - da settimana scorsa e fino al 31 gennaio i dipendenti hanno la possibilità di sottoscrivere un accordo individuale sullo smart working. Con il nuovo anno potranno inoltre usufruire della settimana corta. Parliamo di una vasta platea di bancari: circa 75mila a livello nazionale; poco meno di 2.500 nella nostra provincia.

Ma, per l’appunto, se è facile immaginare che chi lavora negli uffici centrali possa usufruire di entrambi questi istituti, la cosa si complica per chi lavora in filiale: 45mila bancari del gruppo in tutta Italia, un migliaio in Bergamasca. Il classico esempio è quello del cassiere, che, per ovvi motivi, non è immaginabile che possa svolgere la propria attività da casa.

Mancato accordo Ma vediamo qual è la ricetta di Intesa e perché i sindacati - Fabi, First Cisl, Fisac-Cgil, Uilca e Unisin - non hanno apposto la loro firma sul testo. Innanzitutto va detto che, in entrambi i casi, l’adesione del singolo lavoratore è volontaria. Intesa propone la settimana corta di quattro giorni da nove ore lavorative a parità di retribuzione e accelera sullo smart working, offrendo la possibilità di lavoro flessibile fino a 120 giorni all’anno, senza limiti mensili. Il tutto, come precisa una nota dell’istituto, «compatibilmente con le esigenze tecniche-organizzative e produttive della banca». Vale a dire che l’ultima parola spetta ad Intesa, che valuterà caso per caso.

La banca spiega che «sarà anche avviato un periodo di sperimentazione in circa 200 filiali». Già dal 2014, un accordo sindacale stipulato in Intesa prevedeva la possibilità di lavorare otto giorni al mese in modalità agile. Mentre il contratto nazionale dei bancari in scadenza il prossimo 28 febbraio fissa un massimo di 10 giornate al mese. E per le cinque sigle sindacali diventa complicato sovrapporre una trattativa aziendale ad una nazionale che deve ancora prendere il via su un tema delicato come lo smart working. Altro motivo di frizione sta nel fatto che a fronte della richiesta del riconoscimento di un buono pasto giornaliero di sette euro anche a chi svolge la propria prestazione da remoto, l’azienda si sia fermata ad un’indennità di tre euro al giorno, «per tener conto anche delle spese sostenute lavorando da casa».

Secondo Paolo Citterio, coordinatore nazionale Fabi, «i contratti individuali che l’azienda sta proponendo ai dipendenti sono esattamente l’opposto dei contratti collettivi sottoscritti tra le parti sociali e rischiano di indebolire la tenuta del Ccnl».

«Come sindacati - continua Citterio - chiedevamo di rendere fruibile lo smart working anche a chi lavora in filiale, almeno per un giorno a settimana, per le attività compatibili, partendo da chi ha figli sotto i 14 anni o situazioni di legge 104 in famiglia. Volevamo cercare di ridurre la forte differenza tra colleghi, ma purtroppo così si acuisce ancor di più». Per Emilio Contrasto, segretario generale di Unisin, «settimana corta e smart working devono essere a vantaggio di tutti i lavoratori: il tipo di attività svolta non può essere un discrimine». «È in sede di contrattazione nazionale che si affrontano le questioni relative agli istituti normati dal Ccnl».

© RIPRODUZIONE RISERVATA