L’agricoltura di montagna
in ginocchio: «Risalita dura»

Dopo lo stop forzato per oltre 200 aziende tanti problemi. Chi può, attiva la vendita a domicilio.

Momento drammatico per l’agricoltura di montagna, che spera nell’estate per riconquistare un po’ normalità, dopo la battuta d’arresto legata alla pandemia e il maltempo che non dà tregua negli ultimi giorni. La risalita sarà dura, perché alla perdita di fatturato di oltre il 90% per i circa 50 agriturismi e del 50% per le oltre 200 aziende che fanno anche trasformazione e vendita di prodotti caseari, si aggiunge la fienagione compromessa, frutteti e orti dilaniati e vigneti feriti per un 30% a Scanzorosciate. Sui circa 76 mila gli ettari di superficie aziendale complessiva in montagna, con oltre 2.200 addetti, la multifunzionalità si riflette nella varietà delle attività aziendali, perlopiù realtà familiari.

I dati Coldiretti Bergamo (che rappresenta il 90% della realtà imprenditoriale montana) restituiscono tale complessità: 173 aziende hanno parte della superficie a vigneto, 71 a oliveto; 186 hanno anche frutteti mentre 174 sono anche orto-vivaiste; 1.320 hanno superfice a foraggio comprensiva di pascolo. In 587 aziende sono allevati bovini, in 206 gli ovini; 237 allevano anche capre e 214 anche asini; in 312 si allevano equini e in 242 suini. Quasi tutti i produttori che effettuano vendita diretta di formaggi, per contenere le perdite causate dalla mancanza di clienti e turisti e dalla chiusura dei mercati, hanno attivato le consegne a domicilio.

«Il virus - spiega Carlo Belotti, referente Coldiretti Bergamo per la Valle Seriana -, ha danneggiato molto chi fa vendita diretta e gli agriturismi. Qualcosa si sta muovendo, perché i mercati sono ripresi, anche se siamo lontani dalla realtà ante Covid». Con l’aggravante dei danni da maltempo, si chiede una sburocratizzazione «delle pratiche che possono portare una certa liquidità – afferma Belotti -; la possibilità di accedere ai contributi del Psr (Piano di sviluppo rurale) e che a livello regionale si riaprano i bandi per l’efficientamento aziendale. Difficile accedere al credito fino a 25 mila euro di fatturato perché le nostre aziende sono medio piccole».

Per Alessandro Breda, che con 60 capre e 20 vacche produce formaggio che vende nello spaccio dell’azienda agricola Cà del Stongia a Abbazia di Albino: «Non possiamo continuare così a lungo – commenta -. Con la stalla da seguire, poi dalle 8 alle 12,45 sono in caseificio, da solo è stata dura. Ho scelto di fare il formaggio la notte per poter partire il mattino a consegnare le spese». Per Bruno Redaelli di Coldiretti, che segue Valle Brembana e Imagna, un bilancio si farà dopo l’estate per capire quanto i produttori, i florovivaisti e chi fa ricettività saranno riusciti a recuperare. Redaelli mostra preoccupazione anche verso l’altra minaccia: «Un pascolo danneggiato dai cinghiali è impossibile ripristinarlo e se piove, scivolando il terreno, abbiamo problemi anche a valle. Con la riapertura degli alpeggi, stiamo rivivendo il dramma che da anni causa gravi perdite economiche alle aziende e danni ambientali alla collettività».

I giovani ci sono ma qualche riflessione va fatta, come spiega Andrea Oberti di 23 anni, che trasforma latte e vende formaggi di capra presso la sua azienda agricola La Camosciata a Bracca: «Il mercato è cambiato in questi mesi. Essendo isolato, in località Pregaroldi, ho attivato le consegne a domicilio per lavorare ma da solo è dura; credo si debba fare tutti uno sforzo per metterci in rete e vendere i nostri prodotti al giusto prezzo ampliando il mercato».

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