Merci bergamasche bloccate dalla guerra: danni per 10 milioni

Scenario Da settimane navi e camion fermi in Ucraina «Situazioni fuori controllo a Odessa e nel Donbass Il paradosso: nuovi ordini che il sistema non soddisfa».

La situazione non si sblocca. Lo hanno detto chiaro gli spedizionieri bergamaschi che, insieme ad altri rappresentanti di varie province, sono stati ricevuti, come Confetra (Confederazione trasporti) in audizione a Roma nei giorni scorsi dal ministro Di Maio, per fare il punto sulla delicata evoluzione dei trasporti merci nelle zone di guerra. Oltre alle forti criticità legate al conflitto in Ucraina, l’aspetto nuovo, che peraltro è un «déjà vu» di mesi fa, è il fatto che in alcuni porti cinesi, il ritorno di Omicron stia determinando una nuova chiusura totale o parziale, con conseguente blocco delle merci, navi in rada per lunghi periodi, piazzali strapieni di container e attese che sembrano non finire mai. Ma è sul fronte della guerra che fatalmente la paralisi delle merci è ormai totale.

«Se consideriamo gli investimenti delle nostre aziende di spedizioni impegnate a vario titolo nella filiera, nei luoghi del conflitto - spiega Angelo Colombo, presidente provinciale Asco, l’associazione che raggruppa spedizionieri, corrieri e autotrasportatori e ceo dell’azienda Zaninoni I.f.a. di Bagnatica -, possiamo affermare che negli ultimi due mesi ci sono state perdite di fatturato complessive non inferiori ai 10 milioni di euro».

Negli ultimi due mesi ci sono state perdite di fatturato complessive non inferiori ai 10 milioni di euro

«Nell’audizione di Roma abbiamo ribadito al ministro Di Maio, la nostra fortissima preoccupazione perché non vediamo evoluzioni positive - ribadisce Sandro Cortinovis segretario Asco Spedizionieri di Bergamo -: in Ucraina abbiamo merci ferme, soprattutto nel porto di Odessa che potrebbero essere andate distrutte, camion dispersi lungo le rotte del paese, con autisti che probabilmente avranno avuto l’esigenza di mettersi al riparo. E anche in altre zone del mondo non interessate direttamente dalla guerra, ci sono settori, specie quelli che lavorano di più con i container, come legname o grano, che rinuncia perché l’impennata dei costi di trasporto vanifica i loro introiti».

Tornando a Odessa, dopo i bombardamenti dell’ultimo weekend, «i nostri importatori con cui restiamo in contatto - rivela Colombo -, ci dicono che la situazione è fuori controllo. Come Zaninoni abbiamo molte merci ferme là, oltre alle 1.700 tonnellate di tubi nel porto di Novorossiysk con destinazione Sokhna, per i quali non si trova una nave per il trasporto e non ci sono previsioni per l’imbarco. Tragica anche la situazione nel Donbass, fonte di approvvigionamento siderurgico per tante aziende anche bergamasche, che ora si guardano attorno per trovare alternative, come il Sudamerica, anche se a costi ancora più alti». Il paradosso è che, nonostante il disastro della guerra e le nuove fermate in Cina, si assiste a un forte ritorno degli ordini, che però il sistema, non riesce più a soddisfare.

Il governo deve capire che se non si sostiene adesso con misure eccezionali chi la alimenta il nostro import-export, si rischia a breve di perdere pezzi della filiera produttiva

Tra le criticità, oltre alle croniche difficoltà a reperire i container già registrate a cavallo della pandemia, c’è ormai anche la carenza di personale diretto (sulle navi) e indiretto (di trasportatori che approvigionano i porti), oltre al costo del carburante, raddoppiato in poche settimane (già a febbraio il valore del Brent era passato da 56 a 95 dollari al barile: +70%). «Senza la fine della guerra o almeno una tregua duratura - conclude Cortinovis - sarà difficile che la situazione migliori. Il governo italiano deve capire che se non si sostiene adesso con misure eccezionali chi la alimenta il nostro import-export, si rischia a breve di perdere pezzi della filiera produttiva. Aspettare ancora potrebbe essere troppo tardi»

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