«Pnrr: risorse ok, poche competenze»

L’intervista. Il direttore del Kilometro Rosso Majorana: «I mezzi ci sono, ma poche riserve organizzative. Eppure credo che quest’anno ci sorprenderà in positivo, nonostante il conflitto in Ucraina e la crisi energetica».

«Il Pnrr metterà a dura prova il sistema Italia. Se è vero infatti che abbiamo enormi risorse economiche, ma altrettanta carenza di risorse organizzative: da una parte si muore di indigestione, dall’altra si muore di fame». La capacità di vedere i problemi non impedisce al direttore del Kilometro Rosso, Salvatore Majorana, di essere ottimista: «Credo che il 2023 ci sorprenderà. A dispetto della crisi energetica, della carenza di materie prime e dello scoppio della guerra in Ucraina, nel 2022 appena concluso, il sistema industriale ha retto, il che mi fa comunque ben sperare per l’anno che abbiamo davanti».

Per il comparto scientifico e tecnologico il Pnrr dovrebbe essere un’opportunità irripetibile…

«In realtà il mondo della scienza e della tecnologia è stato travolto dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. Abbiamo riversato sui centri per l’innovazione e sui Comuni l’aspettativa di riuscire a spendere una enorme quantità di soldi che, in realtà, sono frazionati su una miriade di progetti più o meno piccoli. Forse sarebbe stato meglio puntare su grandi progetti capaci di fare da volano, invece abbiamo parcellizzato lo sforzo, con il rischio di portare a casa risultati meno significativi. In più, molti centri di ricerca impegnati sul Pnrr hanno bisogno di risorse qualificate che non riescono a intercettare».

Anche lei , come tanti interlocutari che abbiamo ascoltato in precedenza, punta il dito sulla carenza di risorse umane.

«C’è un gap importante fra l’enorme disponibilità di mezzi e la scarsa disponibilità di competenze. Per i progetti legati al Pnrr le Università hanno bisogno di ricercatori, ma trovare persone qualificate è molto difficile perché negli anni scorsi non sono state formate. Per non parlare dei Comuni, soprattutto i più piccoli: sono in sofferenza perché non solo mancano le competenze, ma anche la capacità di gestirle».

Nella sua veste di direttore del Kilometro Rosso, secondo lei quali saranno le tecnologie che potranno avere un balzo di crescita nel 2023?

«Io la mia scommessa l’ho già fatta lanciando due fondi di investimento che puntano sulle imprese nascenti. Uno, in partnership tra Kilometro Rosso e Avm Gestioni, è il venture capital Cysero, focalizzato su cybersecurity e robotica e partecipato da molti gruppi bergamaschi. Credo che su questi due fronti si giocheranno interi pezzi di Pil: sul digitale viaggia una parte importante della nostra economia, che va messa in sicurezza; nella robotica siamo già forti, abbiamo le carte in regola per diventare un punto di riferimento mondiale».

Invece l’altro fondo che ha lanciato su cosa scommette?

«Eureka è un venture capital che punta su nuovi materiali che ci possono regalare un mondo più pulito e vivibile: plastiche biodegradabili, materiali intelligenti usati in medicina per offrire cure più efficaci o per rilevare agenti patogeni, nuovi tipi di batterie per la gestione dell’energia e molto altro ancora. Anche in questo campo c’è fermento e gli investimenti stanno favorendo l’emersione di iniziative che prima restavano chiuse nelle università e nei centri di ricerca».

Assumendosi il rischio di investire sulle nuove imprese il venture capital potrà portare il nostro Paese nel futuro?

«Il venture capital italiano ha vissuto un 2022 particolarmente vivace, raggiungendo il record assoluto di oltre 2 miliardi di investimenti, ed è destinato a crescere ancora. In questo comparto crede anche lo Stato, che attraverso Cassa depositi e prestiti (Cdp) ha messo sul tavolo fondi pubblici riuscendo a smuovere quelli privati in un rapporto 1 a 1: per ogni euro di Cdp i privati ne hanno messo sul piatto almeno un altro. Ma siamo ancora indietro: nel venture capital la Francia è arrivata a 11 miliardi di investimenti. Attenzione, però: in un sistema sano l’intervento dello Stato va bene all’inizio, non nel lungo termine, perciò è necessario che cresca l’apporto dei privati. Non mi riferisco alle imprese, che stanno già portando avanti investimenti attraverso i venture capital aziendali, come quelli di Brembo, Angelini, Recordati, A2A, Eni…».

A chi si riferisce, allora?

«Mi riferisco ai grandi risparmiatori, cioè le casse di previdenza: sono serbatoi di denaro impressionanti, ma non si interessano al mondo del venture capital perché lo considerano rischioso. Basterebbe allocare fra l’1% e il 3% del denaro che gestiscono, per cambiare il passo del nostro Paese. Anche perché si crea una spirale virtuosa: una gestione economica competente attira capitali che permettono di fare più ricerca, creando nuovi posti di lavoro e facendo nascere nuove imprese. È un circuito che si autoalimenta: come i semi nella foresta, quando cadono non fanno rumore, ma dopo un po’ portano frutti».

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