Turismo e terziario, in provincia
a rischio 20 mila posti di lavoro

L’allarme dei sindacati: tra i più colpiti gli addetti alle pulizie e il personale di alberghi, ristoranti e bar. «Intervenire con misure tempestive e immediate».

Mala tempora currunt, come direbbero i latini, ovvero: corrono tempi cattivi. L’ennesima riprova la forniscono i sindacati del turismo, dei pubblici esercizi e del terziario in generale, che prospettano, in caso di fine del blocco dei licenziamenti (al momento il termine è fissato al 31 marzo), la perdita del posto di lavoro da parte di «oltre 20 mila lavoratori nella sola provincia di Bergamo». Lanciando l’allarme, Filcams-Cgil, Fisascat-Cisl e Uiltucs-Uil tracciano un identikit delle categorie più a rischio: «Particolarmente esposti sono coloro che operano in settori cosiddetti poveri, a partire dai comparti di pulizie, alberghi, bar, ristoranti e nel commercio». Si tratta di «persone che potrebbero trovarsi disoccupate non appena il blocco dei licenziamenti sarà tolto», avvertono i segretari generali Mario Colleoni (Filcams-Cgil), Diego Lorenzi (Fisascat-Cisl) e Anila Cenoli (Uiltucs-Uil).

«Il calo di assunzioni e le chiusure di rapporti lavorativi nei nostri settori incidono già oggi pesantemente - proseguono i tre -. La crisi sta colpendo i lavoratori che già prima della pandemia erano definiti fra i più fragili, che operano in comparti in cui l’occupazione è spesso frammentata, con redditi generalmente più bassi rispetto ad altri settori e che necessitano di importanti misure di protezione. Bisogna intervenire subito con misure tempestive e immediate per non rischiare una vera e propria emergenza sociale». Un’emergenza sociale che potrebbe essere anche più pesante rispetto a quella dell’anno scorso: «Nel 2021, il rischio di finire in povertà assoluta in tutta la Bergamasca potrebbe riguardare più persone che nel 2020», denunciano ancora le tre sigle sindacali.

«Dobbiamo andare oltre l’illusione che si uscirà da questa crisi rapidamente - proseguono Colleoni, Lorenzi e Cenoli -. I dati legati alla crescita del nostro Paese negli ultimi anni ci dicono che se non ci sarà un importante cambio di paradigma ci vorranno molti anni prima di tornare ai livelli occupazionali e reddituali precedenti, al riparo dalla soglia di povertà».

A questa situazione non certo rosea, se ne sovrappone un’altra: «L’80% dell’occupazione del settore è femminile: questo crea un ulteriore dramma sociale aumentando la disparità di genere e limitando maggiormente l’emancipazione femminile». Ecco, perché, secondo i sindacati, «è necessario agire su più fronti, a partire dalle misure di sostegno al reddito per i lavoratori e le famiglie, valorizzando il tema delle politiche attive, operando per ottenere dallo Stato le risorse del Recovery Fund utili al nostro territorio». Inoltre «agire sul piano delle politiche industriali sarà fondamentale per dare un impulso alla crescita economica e dunque alla creazione di nuova occupazione, puntando a un lavoro di professionalità, competitività e qualità». «Il vero cambio di passo sarà visibile solo se ci saranno delle direttive diverse rispetto al passato, più orientate alla creazione di lavoro di qualità e funzionali ad attrarre investimenti in settori ad alto valore aggiunto per il bene del territorio e dei cittadini, perché al centro di tutto ci sono le persone».

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