5 Stelle alla deriva
Problema per Draghi

Come al Senato, anche alla Camera una parte importante di quell’arcipelago che è ormai il Movimento Cinque Stelle si è staccata e se ne è andata alla deriva. Verso dove non è chiaro. Probabilmente oggi sapremo che chi tra loro ieri sera ha votato contro il governo o ha annunciato l’astensione oppure si è dato assente senza giustificazione sarà espulso dal Movimento: è successo al Senato con quindici parlamentari, succederà a Montecitorio. Mai si era vista una scissione di partito manifestarsi in aula in questo modo plateale, con deputati che accusavano Draghi di qualunque nefandezza, mancava solo che gli attribuissero di essere a capo della Spectre contro cui lottava 007. Dove andranno i grillini contestatori?

Forse proveranno a formare un loro gruppo, ma non è detto che ci riescano: negli interventi che in sede di dichiarazione di voto una quindicina di loro hanno svolto in dissenso dal gruppo di appartenenza, abbiamo ascoltato contestazioni a Draghi che venivano dalla sinistra, dall’estrema sinistra, dai no-vax e anche da destra: se li unisce il no al governo che ieri sera ha ricevuto la fiducia definitiva del Parlamento, di sicuro non sono d’accordo su poco altro. Quindi quandanche si unissero, finirebbero per dividersi di fronte al primo scoglio: probabilmente finiranno in quell’enorme gruppone che è ormai il «Misto», una specie di Onu parlamentare.

Insomma, come era largamente prevedibile, il Movimento Cinque Stelle si sta sgretolando. Dall’esterno Alessandro Di Battista proverà a mettersi a capo dei rivoltosi; e faranno la stessa cosa Barbara Lezzi e Nicola Morra mentre il giovane Casaleggio cercherà di scagliare la sua piattaforma Rousseau contro Di Maio e i «governisti», quelli che sono rimasti ministri o saranno sottosegretari e quelli che, pur avendo perso la poltrona, restano al caldo. Quanto a Grillo ormai neanche lui è più l’Elevato dei bei tempi. Presto il Movimento sarà una esplosione di schegge vaganti nell’aria. Tutto questo naturalmente è un problema per Mario Draghi. Non per i numeri, la sua maggioranza è così vasta che non bastano una ventina di contestatori per ognuna delle Camere ad impensierirlo: al massimo lo privano della soddisfazione di raggiungere o superare il tetto di voti conquistato a suo tempo da Mario Monti, ma se ne può fare una ragione.

No, il problema è che il M5S è tuttora il partito di maggioranza relativa di questo Parlamento (anche se non più nell’elettorato). Quando il partito più grosso sbanda in preda ad una profondissima crisi di identità e di leadership, in una parola: in preda al panico, il governo soffre, si indebolisce, si muove male, deve cercare altri punti di equilibrio.

Chi offrirà questo appoggio a Draghi? Il Pd di Zingaretti, partito della responsabilità ma pur esso in difficoltà? O la Lega di Matteo Salvini il cui appoggio al governo è tuttora guardato con estrema diffidenza, non fosse per Giorgetti, da tutti gli altri soci della compagnia? O si pensa che basteranno il carisma di Draghi e la tutela del Quirinale per mandare avanti la baracca? Sarebbe arduo in tempo di pace, figuriamoci ora che siamo in guerra. Ecco dunque che il presidente del Consiglio comincia con una navigazione incerta, e la sua forza sta più nell’appoggio internazionale di cui gode - l’Europa, la Bce, gli Stati Uniti, Biden, i mercati - che nel fronte interno dei partiti, quantomai frastagliati e infragiliti, nervosi e impauriti di essere tagliati fuori dai «poteri forti» calati a Palazzo Chigi per commissariare la gestione dei 209 miliardi del Recovery Plan.

© RIPRODUZIONE RISERVATA