Affitti a studenti protesta fondata

ITALIA. Riuscirà a fermare la protesta in atto degli studenti italiani lo sblocco-record da parte del governo dei 660 milioni di euro previsti dal 2022 per gli alloggi universitari?

O «ce n’est qu’un début», non è che l’inizio, come gridavano i giovani di Parigi nelle piazze del maggio francese? Palazzo Chigi si è mosso con una rapidità inusitata, forse perché ha capito che la protesta non è velleitaria ma è seria e poggia su solide e sacrosante ragioni. Una protesta che potrebbe innescare – ma è ancora presto per dirlo - un vero e proprio movimento di contestazione, come quello della Pantera degli anni ’90. Dopo l’iniziativa della studentessa bergamasca Ilaria Lamera, che il 4 maggio scorso aveva montato per prima una tenda davanti al Politecnico di Milano per manifestare la sua insofferenza contro il caro affitti, sono sorte tendopoli in tutta Italia, da Venezia a Bologna, da Roma a Firenze, da Torino a Perugia, da Trento a Cagliari, da Palermo a Bari, davanti alle sedi degli atenei e al ministero. Accanto a questi accampamenti studenteschi vengono organizzati dei flash-mob davanti alle sedi istituzionali, come la Provincia di Trento, e si annunciano addirittura cortei per il fine settimana.

Anche la ministra Anna Maria Bernini ha capito che si tratta di una bella gatta da pelare e ha chiesto un censimento degli immobili inutilizzati affinché vengano messi a disposizione degli studenti. Si parla di 7.500 posti letto, che vanno ad aggiungersi ai 40mila già esistenti. Una goccia nel mare, se si pensa che gli studenti fuori sede in Italia sono 500mila.

Una camera con bagno in comune a Milano può arrivare a costare 1.000 euro al mese, la media è di 650 euro. Nelle altre città la situazione non è molto differente. In molti centri si affitta solo a studenti, poiché è più facile che garantiscano il pagamento della locazione tramite i loro genitori. Una situazione insostenibile. Studiare sta diventando un lusso, sostengono i ragazzi accampati davanti agli atenei, perché se si sommano le spese dell’affitto alle rette, alle utenze, al vitto e al materiale scolastico si arriva a una spesa insostenibile, per soli ricchi.

«Siamo stanchi», dicono gli studenti accampati. «Studio, casa e reddito» è il loro slogan. Chiedono strumenti che vadano realmente in direzione del diritto allo studio e invitano tutti i loro colleghi a una mobilitazione permanente.

Sulla questione la Chiesa sta dalla loro parte. Ieri infatti è intervenuto anche monsignor Francesco Savino, vicepresidente della Conferenza episcopale italiana. «Condivido questa protesta, mite, civile, che dice agli adulti e specialmente a coloro che hanno responsabilità politiche: vi rendete conto che non ce la facciamo? Il rischio è creare delle condizioni di una rivolta sociale. È una protesta vera, autentica, risponde ad un oggettivo bisogno, cerchiamo di ascoltarli». La questione sarà addirittura al centro dell’assemblea Cei di fine maggio. Perché, ha spiegato Savino, «non possiamo non lasciarci interrogare, vogliamo ascoltare i bisogni, soprattutto a partire dai giovani».

Qualcuno ha addirittura evocato il ’68, anche se l’epoca storica e le proporzioni del fenomeno sono completamente diverse. Inoltre, quel movimento aveva degli addentellati stranieri, perché nacque nei campus americani e si propagò in Francia - e non si vedono nemmeno all’orizzonte maîtres-à-penser come avvenne a quei tempi, a cominciare dall’esistenzialismo francese. Ma non dobbiamo dimenticare che anche il movimento di protesta guidato da Capanna nacque per ragioni non particolarmente importanti: l’aumento delle rette all’Università Cattolica. Vedremo nei prossimi giorni come e quanto andrà avanti il movimento delle tende, quali saranno le motivazioni, se si tratta solo di sacrosanti motivi pratici, il caro affitti, o si innescheranno anche ragioni ideologiche ed esistenziali.

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