Aiuti di stato, Germania e Francia poco solidali

MONDO. Alla fine della scorsa settimana, la coalizione di Governo tedesca - composta da Socialisti, Verdi e Liberali - ha trovato un’intesa su nuovi aiuti pubblici per l’industria nazionale.

Berlino stanzierà ben 12 miliardi di euro per il solo 2024 per sussidiare l’acquisto di energia elettrica il cui costo è giudicato ancora troppo elevato e rischia di intaccare la competitività del «made in Deutschland». Modalità e tempistica di questa decisione dovrebbero interrogare chi abbia a cuore il processo di integrazione europea e più in generale la capacità del nostro continente di rimanere un attore all’altezza delle sfide globali. In linea di principio, ricavare spazi di manovra nel proprio bilancio nazionale è un merito, frutto di anni di relativa oculatezza nella gestione delle finanze pubbliche. Tuttavia la corsa al sussidio pubblico nazionale non può che alterare la concorrenza all’interno del nostro continente, come notato da Federacciai, oltre che costituire un’alternativa di fatto a ogni politica di finanziamento comune a livello europeo.

Lo schema d’altronde non è nuovo. Nella primavera del 2022, all’avvio del più grave shock energetico dal 1973, Bruxelles fu convinta ad allentare i vincoli agli aiuti di Stato. A settembre il governo tedesco poté così annunciare uno «scudo» pluriennale da 200 miliardi di euro per abbassare le bollette di aziende e cittadini, suscitando malumori in chi invocava una strada alternativa e unitaria, magari un piano Next Generation Eu 2.0 per l’energia. La scorsa primavera si è stabilito un ulteriore ammorbidimento di quei vincoli agli aiuti di Stato che all’origine erano stati pensati per tutelare la concorrenza nel mercato comune. La Germania è di gran lunga la principale beneficiaria di questo rilassamento normativo sugli aiuti pubblici: dei 742 miliardi di euro di aiuti di Stato erogati dal febbraio 2022 al settembre 2023, Berlino è responsabile del 48,4% del totale, seguita da Parigi (22,6%) e a distanza dall’Italia (7,8%). Per descrivere tale situazione, Andrea Greco e Giuseppe Oddo nel libro «L’arma del gas» (Feltrinelli) hanno parafrasato Alessandro Manzoni: «I Paesi della Ue sembrano come i capponi di Renzo tenuti per le zampe a spenzolare, che anche a testa in giù continuano a beccarsi». E pensare che la scorsa primavera la Commissione aveva promesso che gli aiuti di Stato sarebbero stati consentiti solo nel breve termine, mentre in estate sarebbe nato un «Fondo di sovranità europeo» per aumentare le risorse comuni dell’industria.

Passati nove mesi, proprio gli sherpa diplomatici di Germania e Francia - dopo aver trovato a metà ottobre una quadra che accontenta Parigi per inserire il nucleare nella riforma del mercato elettrico - si starebbero muovendo per prorogare ulteriormente lo stato di eccezione sugli aiuti pubblici alle imprese, mentre si è persa ogni traccia del Fondo sovrano europeo. Il Paese con maggiore disponibilità fiscale, dunque, offre maggiori sussidi pubblici alle proprie imprese che di conseguenza diventano più competitive di quelle degli altri Paesi membri.

La stessa tempistica dei nuovi aiuti di Berlino alle proprie aziende dovrebbe indurre qualche riflessione aggiuntiva. Il cancelliere socialdemocratico Scholz ha salutato questa intesa raggiunta dalla sua coalizione parlando di «notizia molto positiva», e lo ha fatto giovedì, nelle stesse ore in cui a Bruxelles si riunivano i ministri dell’Economia per discutere la riforma del Patto di stabilità e crescita, cioè quel set di regole che sovrintende a spesa e indebitamento degli Stati membri. Posizionate agli opposti, come noto, ci sono Germania e Italia. Secondo la vulgata, Berlino tutelerebbe il rigore fiscale, Roma invece col ministro dell’Economia Giorgetti si batterebbe per la flessibilità nel risanamento dei conti. Più realisticamente, come dimostra la vicenda dei nuovi aiuti alle imprese energivore, la Germania - garantendosi l’appoggio della Francia - ha scelto di ritagliarsi per sé e pochi altri maggiore «flessibilità» (con meno vincoli agli aiuti di Stato), in spregio delle regole del mercato unico. Berlino così allontana nel tempo quell’«approccio comune sul piano Ue, con qualche forma di finanziamento al livello dell’Ue» suggerito invece in questi giorni dal Fondo monetario internazionale (oltre che dall’ex premier Draghi o dal banchiere centrale olandese Knot). Il motore franco-tedesco non va a pieni giri, ma soprattutto sembra ora marciare in una direzione poco lungimirante e solidale.

©RIPRODUZIONE RISERVATA

© RIPRODUZIONE RISERVATA