Aiuto ai poveri?
Economia forte

In Italia vi sono 5 milioni di poveri. Sono la platea alla quale guardano i Cinque Stelle con il reddito di cittadinanza. Si capisce la preoccupazione per un Paese con una disoccupazione all’11%. Lombardia, Veneto Trentino Alto Adige e Emilia Romagna hanno indici di senza lavoro inferiori alle media europea, il resto è Garlic Belt. La fascia dell’aglio dove il ritardo è cronico. Colpisce quindi come la Germania con un indice di disoccupazione intorno al 5%, che è come dire quasi piena occupazione, registri 13 milioni di persone sotto il cosiddetto livello di povertà.

Lo dicono i dati di «Der Paritätische Gesamtverband», nella pubblicazione annuale delle rilevazioni statistiche. La povertà è un dato relativo. Secondo gli indici Onu è povero chi dispone di meno di un dollaro al giorno e a persona. Le condizioni di sopravvivenza le fanno il territorio, l’ambiente sociale, la struttura della società e il suo livello di sviluppo. La Germania vede migliorare il Prodotto interno lordo, 3.277 miliardi di euro nel 2017 a fronte di 1.580 miliardi nel 1991. In ventisei anni più che raddoppiato. L’occupazione si mantiene sempre a livelli sostenibili ma aumenta l’indice di povertà. Quest’anno si registra il picco. Vuol dire quindi che ad una ricchezza complessiva in aumento non corrisponde un’adeguata redistribuzione.

I colpiti sono le famiglie con molti figli, i genitori separati o divorziati con figli a carico, i migranti ma soprattutto persone con bassi livelli di istruzione. Il 60% dei disoccupati rientra anche nel calcolo complessivo ma verrebbe da dire che questo, in termini statistici, è normale. Ciò che invece è anomalo è il fatto che molte famiglie non gliela facciano con le loro entrate. Il che vuol dire che le retribuzioni sono alte solo quando i lavori hanno un alto indice di produttività e il plus valore lo offre chi ha formazione professionale adeguata e livello di istruzione medio superiore.

Esiste quindi una fascia di «working poors» che è nuova in Europa mentre in Usa è da tempo la regola, visto che la disoccupazione è ufficialmente al 4%. Il secondo miracolo economico tedesco a partire dal 2005, primo anno del cancellierato Merkel, avviene con la decurtazione salariale per le occupazioni che non richiedono abilità specifiche e sono di servizio e/o di pura manovalanza. Per le categorie industriali ad un primo contenimento sino al 2010 sono poi seguiti adattamenti in funzione della produttività e redditività. Un Paese che sta vincendo la sfida della globalizzazione può gestire una fascia di malcontento solo se ha uno Stato sociale efficiente. Non a caso il governo della grande coalizione su spinta socialdemocratica affronta i temi del salario minimo, di un aumento dei posti negli asili e nei giardini d’ infanzia e quindi di un aiuto alle famiglie con il Kindergeld, del reddito di cittadinanza. Tutte conquiste di cui andare orgogliosi ma ottenibili solo in un’ economia in crescita, con un bilancio statale sano, e una riscossione efficiente delle imposte. Non a caso anche quest’anno il ministero delle Finanze tedesco registra un incremento delle entrate proporzionale all’aumento della ricchezza nel Paese. Per questo appaiono in Europa velleitarie le richieste italiane di un reddito di cittadinanza. Un lusso che l’ economia italiana in questo momento non può permettersi. Uno Stato sociale efficiente lo abbiamo anche in Francia ma contrariamente alla Germania le risorse scarseggiano per eccesso di spesa pubblica. E lo si è visto nella rivolta dei gilet gialli. In Italia il ceto produttivo si è emancipato da solo, abituato da sempre a non poter contare sull’aiuto dello Stato centrale. E questo spiega perché l’ imprenditoria competitiva degli italiani sia l’unica forza in grado di sottrarre il Paese alla decrescita infelice per eccesso di assistenzialismo.

© RIPRODUZIONE RISERVATA