Autostrade e lo Stato
E la Lombardia paga

È dal 14 agosto 2018, il giorno del crollo del ponte Morandi, una delle tragedie più assurde e dolorose della storia d’Italia, che il governo, in particolare una delle sue forze di maggioranza, ovvero i 5 Stelle, dicono che Atlantia deve lasciare la gestione della principale rete autostradale. Sulle responsabilità penali sta indagando la magistratura. Sul piano politico, evidentemente, si possono subito prendere decisioni senza aspettare gli esiti delle indagini. Tra l’altro in questa faccenda non si capisce fin dove finisce l’imperizia e dove il destino, dato che negli ultimi tempi alle nostre arterie stradali ne stanno capitando di tutti i colori. L’ultimo, in ordine di tempo, è il crollo di due tonnellate e mezzo di detriti in una delle gallerie della A26 in direzione Genova, dopo le infiltrazioni d’acqua causate dalle piogge di due settimane fa. Sempre in Liguria, sempre nei dintorni di Genova, uno dei territori più fragili della Penisola. Fatalità? O mancanza di manutenzione?

Dunque da qui la richiesta di revoca gridata a gran voce, soprattutto da Di Maio, che ne ha fatto quasi una battaglia, una questione di principio, del movimento. Ma un conto sono le questioni di principio e altre la dura realtà e il pragmatismo istituzionale. Innanzitutto ci sono i contratti da rispettare, perché viviamo in uno Stato di diritto. Atlantia ha fatto sapere che un provvedimento di stop prevede penali da saldare pari a oltre 20 miliardi di euro. Gli avvocati sono al lavoro. Tra l’altro, in nome della «realpolitik» lo Stato sta trattando, segretamente (ma è il segreto di Pulcinella) per una cifra vicina agli otto miliardi (con uno sconto, dunque, del 60% da parte della società della famiglia Benetton).

Al solito nel governo non sono tutti d’accordo, almeno in superficie. Per i 5 Stelle un indennizzo sarebbe una beffa (ma intanto il governo tratta), per Renzi, che non perde occasione per distinguersi dalla linea ufficiale dell’esecutivo per far vedere che Italia Viva è viva, rimangiarsi gli accordi (presi con i gestori al tempo del suo governo) è sbagliato e sa di beffa. Ma il punto è un altro. Siamo sicuri che togliendo la concessione ad Atlantia, le autostrade finiscano in mani più sicure? E quanti posti di lavoro si rischiano? Non è che con la revoca di Autostrade per l’Italia la nostra Rete per incanto diventa il Paradiso della viabilità.

Vi è poi il rischio, anzi il sospetto, che questo provvedimento possa costituire da capro espiatorio per nascondere tutti gli altri problemi, alcuni dei quali arrivano anche dallo Stato, che evidentemente non riesce a far rispettare gli standard di sicurezza e a riformare il sistema di accordi con tutti i concessionari che gestiscono i 6.900 chilometri della Rete autostradale. Si vorrebbe una regolazione pubblica delle concessioni più vantaggiosa per lo Stato, in modo da garantire maggiori introiti e maggiori investimenti nella manutenzione e nelle infrastrutture. Ma di questo non se ne parla.

Comunque, in attesa della revoca della concessione, a pagare è sempre Pantalone, ovvero la Lombardia, la regione più produttiva del Paese, con il più alto tasso di Prodotto interno lordo, di consumi e di salari. Che infatti registra gli unici aumenti tariffari autorizzati sulla Rete autostradale (le altre regioni sono state graziate).

Dal 1° gennaio 2020 mentre nel resto d’Italia i rincari previsti dalle convenzioni sono stati sterilizzati grazie ad un accordo tra il ministero dei Trasporti e i gestori inserito nel Milleproroghe, così non è successo per la Brebemi (l’autostrada che collega Brescia, Bergamo e Milano) e per la Pedemontana lombarda (che dopo trent’anni non è ancora terminata e attualmente è sottoutilizzata). Ma l’importante è far rullare i tamburi della revoca ad Austostrade per l’Italia.

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