Benzina, le intoccabili accise: sono l’eterno carburante dello Stato

Ci sono molti malumori sul decreto legge approvato dal Governo che prevede misure urgenti per contrastare l’impennata del prezzo dei carburanti. Il loro effetto consiste nella riduzione del costo di benzina e gasolio di 25 centesimi di euro al litro per un periodo di 30 giorni (forse 40) dalla data di entrata in vigore del provvedimento. Ciascuno di noi può fare i suoi conti di quanto può risparmiare. Il decreto, come prevede la legge, entrerà in vigore il giorno successivo alla pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale e non prevede la «vacatio» di 15 giorni.

A meno di intoppi burocratici (la bollinatura della Ragioneria generale dello Stato ad esempio) potrebbe essere questione di ore. Servirà qualche giorno in più, invece, per l’arrivo del decreto con tutte le altre norme, dalla sterilizzazione degli aumenti di energia per le famiglie sotto i 12 mila euro di Isee (e tutte le altre?) alle rate per le imprese in difficoltà, fino al prelievo del 10 per cento sugli extraprofitti delle società energetiche.

Ma il problema non sono i tempi. Il problema sono i contenuti. A ben vedere si tratta di una misura risibile, soprattutto per chi il carburante lo usa per lavorare, come gli autotrasportatori. Confindustria ad esempio parla con un eufemismo di decreto «deludente perché non risolve strutturalmente il problema dei rincari dei prezzi energetici».

Ci sono persino «rischi di incostituzionalità», e proprio con gli introiti del prelievo del 10 per cento sugli «extraprofitti» delle società energetiche il Governo punterebbe a garantire la gran parte della copertura finanziaria del provvedimento (4 miliardi e mezzo di euro), il tutto senza ricorrere a uno scostamento di bilancio.

Insomma, si cerca di porre un freno senza rimetterci un centesimo, ma coi soldi degli altri. C’è anche la durissima reazione delle società che distribuiscono e stoccano i carburanti. Assopetroli e Assoenergia hanno messo in evidenza che con il taglio delle accise i carburanti già immagazzinati con la vecchia accisa saranno venduti con la riduzione e quindi «subiranno una fortissima svalutazione rispetto al prezzo di carico» con un «danno enorme per il settore distributivo». Anche gli autotrasportatori sono sul piede di guerra, come in Sardegna, dove il blocco prosegue.

Nei giorni scorsi abbiamo assistito persino a crisi di panico da parte degli automobilisti, che hanno assalito i distributori nel timore che i pressi salissero ulteriormente, o di eventuali carenze nelle forniture. Paure immotivate, perché se è vero che intorno al 10 marzo il prezzo del petrolio ha superato i 130 dollari al barile, spingendo al rialzo i prezzi della benzina, con tutte le conseguenze del caso, compresi i soliti furbetti della catena distributiva che hanno alzato i prezzi del petrolio che avevano già acquistato, già a partire dai giorni successivi i prezzi del Brent hanno iniziato a scendere, e si spera che quindi anche i prezzi della benzina possano, seppur marginalmente, ridursi. Alcune grandi compagnie petrolifere hanno già annunciato tagli ai prezzi.

Ma c’è una sgradevole verità che va gridata dai tetti a proposito degli aumenti del carburante. Il grande peso del prezzo alla pompa è ancora quello del fisco, che arriva fino al 55% del prezzo totale. Quando il prezzo della benzina sale, lo Stato ci guadagna, e non ha nessuna intenzione di perderci. Lo fa almeno dagli anni ’70 ma a ben vedere da molto prima se si pensa che nella tassazione compaiono ancora voci come la conquista d’Etiopia e il terremoto del Belice. Forse per porre fine a questa catena di aumenti potrebbe smettere di utilizzare tasche altrui e mettersi in gioco in prima persona.

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