Biden, fedele secondo prepara
il trampolino per Kamala Harris

A meno che a Donald Trump riesca qualche maneggio tra voto postale, tribunali locali e Corte Suprema, Joe Biden dovrebbe essere il prossimo presidente degli Stati Uniti d’America, il 46° di una serie inaugurata da George Washington nel 1789. La sua marcia verso la Casa Bianca è accompagnata da due record. Uno è quello dell’affluenza generale, intorno al 67% degli aventi diritto, ben oltre il 59,2% del voto che elesse Donald Trump. Ma soprattutto Biden è il singolo candidato più votato di sempre, avendo eclissato anche la performance di Barack Obama nel 2008.Questo già ci dice una cosa: che il successo di Biden è almeno in parte figlio dell’insuccesso di Trump.

Perché di suo, il candidato e presumibile Presidente democratico non avrebbe certo le caratteristiche per entusiasmare decine di milioni di americani. Chi l’ha conosciuto lo descrive come una brava persona, gentile e comprensiva. E non è difficile crederlo, perché la vita è stata spesso cattiva con lui. Nel 1972, cioè nell’anno in cui fu eletto per la prima volta al Senato per lo Stato del Delaware, sua moglie Neila ebbe un incidente con l’auto in cui viaggiavano anche i tre figli Naomi Christina, Beau e Hunter. La madre e la figlia (di soli 13 mesi) morirono sul colpo, i due ragazzi se la cavarono con gravi ferite. Beau, il maggiore, nel 2003 combattè in Iraq e nel 2006 divenne procuratore generale del Delaware, ma nel 2015, quando era candidato alla carica di governatore, fu stroncato da un tumore al cervello. Hunter, avvocato come tutti i maschi di famiglia, ha invece rischiato di far naufragare la corsa alla presidenza del padre, essendo rimasto invischiato nelle vicende assai poco chiare di una società petrolifera di proprietà russa in Ucraina, Paese di cui il padre, all’epoca vice-presidente, si occupava come rappresentante speciale di Barack Obama.

Detto questo, aggiungiamo pure che Biden è gradito all’establishment del suo partito e conosce i circoli politici di Washington come pochi. È stato eletto al Senato per il Delaware per sette volte consecutive, è stato per lunghi anni presidente della Commissione Giustizia e di quella Esteri del Senato. Ma da qui a sostenere che abbia il carisma del leader o le idee del politico di razza, e in sostanza che abbia la statura per essere un grande Presidente degli Usa, ancora ne corre.

Non dimentichiamo, infatti, che Biden aveva imboccato per due volte la via delle primarie del Partito Democratico per la scelta del candidato presidente, e sempre con scarsa fortuna. Nel 1988 fu sconfitto da Michael Dukakis, che poi subì da parte del repubblicano George Bush senior una delle peggiori disfatte nella storia delle presidenziali. Nel 2008 ritentò ma al primo test, nell’Iowa, il suo consenso tra i democratici fu così scarso (0,93% dei voti) da spingerlo a ritirarsi immediatamente. Lo salvò Obama, che proprio allora lo volle come vice-presidente.

Alla Casa Bianca, Biden è stato un fedele e discreto secondo, nulla più. Dicono gli esperti che lui e Obama siano davvero amici e che la collaborazione abbia resistito anche alle gaffe per cui Biden va famoso. Ma non c’è da preoccuparsi troppo, nel vederlo sulla soglia di quella Casa Bianca che ha già molto frequentato. Da Presidente avrà intorno a sé la rete di sicurezza dei clan Clinton e Obama, saprà quindi a chi rivolgersi per le decisioni più spinose. Di suo ci metterà la cortesia, la diplomazia, l’esperienza del mondo e l’arte oratoria. D’altra parte, con i suoi 78 anni, è un Presidente al quale non si chiederanno svolte clamorose o iniziative sorprendenti. Dovrà fare soprattutto la chioccia a Kamala Harris, la vice, chiaramente scelta per essere, nel 2024, il candidato forte dei democratici.

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